Se c’è un’essenza dell’Europa, essa è data dalla capacità di ospitare varie identità al proprio interno. Era già questa la cifra della civiltà greca antica. L’Europa è la civiltà delle differenze, della bellezza e della filosofia. In Grecia, culla della civiltà occidentale, la democrazia è filosofica e la filosofia è democratica poiché pone la differenza alla radice del proprio metodo…
Sul piano più strettamente politico, il sogno di riunificare le identità europee sotto un’unica, e dunque forte, sovranità politico-economica, ma con modalità differenzialistiche e federalistiche, da poter poi giocare sullo scacchiere geopolitico del mondo, è stata nei secoli un’utopia molto forte. Nei decenni scorsi, sulla scia di tale nobilissima aspirazione, è nata l’Unione europea, accolta dagli spiriti progressisti come un tassello importante sulla strada del cosmopolitismo e dell’internazionalizzazione libertaria. Per molti, donne e uomini in assoluta buona fede, sostenere l’Europa Unita in quel periodo era non soltanto un dovere morale, ma anche una necessità strettamente legata allo spirito migliore del tempo. Ma quali sono i fatti? Purtroppo, questi non sono affatto confortanti. Intanto, a partire dalla fondazione dell’Unione Europea abbiamo dovuto subire un’immensa crisi economica che non ha precedenti nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Essa ha investito in modo particolare alcuni dei paesi dell’eurozona (fra cui il nostro) con una virulenza particolare, avvantaggiando soltanto una ristrettissima parte della popolazione europea. Abbiamo assistito, inoltre, impotenti, alla progressiva ed incessante tecnicizzazione e finanziarizzazione della politica, e cioè di fatto alla sua cancellazione e degenerazione in populismo mediatico. E allora abbiamo meglio compreso ciò che già sospettavamo. Il sogno europeo, l’antica utopia della civiltà occidentale, era stato utilizzato per produrre un’offensiva mortale nei confronti della democrazia e della sovranità dei popoli. Qual era lo scopo? Presto detto. Il fine era realizzare quelle riforme in senso ultra-liberiste – più difficili da portare a termine all’interno dello Stato nazionale – che servivano per adeguare la politica alle esigenza dell’ultima fase del capitalismo. Quella fase, appunto, in cui esso non trova alcun ostacolo alla propria, esclusiva, religiosa, gelosa e ormai onnipervasiva divinità. Dov’è la solidarietà necessaria fra membri di una famiglia unica? Dov’è la differenza? E dov’è inoltre lo scambio virtuoso che arricchisce tutti coloro che vi partecipano? Dov’è, infine, la necessità di un confronto fra uomini liberi e non (soltanto) fra esseri caratterizzati dalla propria nazionalità e dalla propria carta di credito? Di queste esigenze, io credo insopprimibili in una unione che non si vuole soltanto economica, non c’è alcuna traccia. Le parole utilizzate sono ben altre: vincolo di bilancio, troika, patto di stabilità, banca centrale europea etc. etc.. Che cosa concluderne? Mi sembra che, in questo caso, non dobbiamo avere paura delle parole. L’Europa con cui abbiamo a che fare è un mostro che non lascia alternative. Si cominci a lavorare, se se ne ha la forza, per una Europa davvero politica e davvero federale. Per una Europa senza centro e multicentrica, una Europa dei territori e delle infinite identità. Se ciò non è possibile, ricominciamo a pensarci da soli con i nostri problemi, Sono tanti, sono troppi ma – almeno – siamo sicuri che sono i nostri…
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