Il conflitto tra Stati Uniti e Federazione Russa,
combattuto attraverso l’Ucraina, ha rappresentato un momento cruciale per gli
equilibri geopolitici globali. Fin dall’inizio delle ostilità nel febbraio
2022, gli Stati Uniti hanno esercitato una forte pressione diplomatica sugli
alleati europei, ottenendo un sostegno economico e militare senza precedenti da
parte dell’Unione Europea e dei suoi Stati membri. Secondo il Kiel Institute
for the World Economy, al gennaio 2024 l’UE e i suoi Stati membri hanno stanziato
oltre 85 miliardi di euro in aiuti all’Ucraina, superando perfino il contributo
diretto degli Stati Uniti, pari a circa 75 miliardi di dollari.
Perchè quest’adesione
così marcata dell’UE contro la Federazione russa? Dipendeva tale adesione
soltanto dalla subalternità, pur presentissima, alla sovranità Americana? Io
credo di no. Molti Paesi membri dell’UE, in particolare quelli dell’Est Europa,
avevano un interesse strategico diretto nella stabilizzazione dell’Ucraina,
vista la loro vicinanza geografica alla Russia e la necessità di prevenire quello
che pensavano come espansionismo russo. L’idea che la Russia stesse perseguendo
un “espansionismo” pericoloso in Ucraina, mi sembra una posizione
che, da una prospettiva storica e geopolitica, è quantomeno problematica. Piuttosto
che un’aggressione imperialista verso territori stranieri, le azioni della
Russia potevano essere meglio interpretate come una risposta difensiva, legata
al timore crescente di un’allargamento dell’influenza occidentale, rappresentata
in questo caso dal rafforzamento della NATO e dall’orientamento
filo-occidentale del governo attuale dell’Ucraina.
Dal punto di vista
russo, invece, la questione ucraina voleva essere un tentativo di proteggere i
propri confini e la propria sfera di influenza da un allargamento percepito
come minaccia esistenziale, alimentato anche dai tentativi dell’impero
americano di estendere il proprio dominio politico, economico e militare in
Europa messo in atto nei decenni precedenti. Pertanto, ritenere che la Russia
stesse compiendo un’aggressione, senza considerare un quadro di riferimento più
ampio, ha presentato una visione distorta dei fatti, incapace di tener conto delle
sfumature della politica internazionale recente e dei legittimi timori di un
paese che si sente minacciato dalle mosse di un altro attore globale.
In questo scenario,
l’interpretazione occidentale della Russia come aggressore non è altro che una
giustificazione ideologica a favore dell’Occidente, che non considera le
dinamiche di sicurezza e le paure di un paese che si trova al centro di un
confronto globale tra potenze.
Tuttavia, dopo oltre tre anni di guerra, il quadro
appare ben diverso rispetto alle aspettative iniziali. La Russia ha resistito
alle sanzioni occidentali, mantenendo una crescita economica stimata tra il
2,5% e il 3% nel 2023 (FMI), grazie a un
riallineamento commerciale con Cina, India e altri
partner non occidentali. Nel frattempo, le economie europee hanno subìto invece
un rallentamento significativo, con la Germania, principale motore economico
dell’UE, che ha registrato una contrazione del PIL dello 0,3% nel 2023
(Eurostat), anche a causa della crisi energetica innescata dalla riduzione
delle forniture di gas russo.
L’avvicendamento alla guida della Casa Bianca, con l’elezione
di Donald Trump nel 2024, ha determinato un riposizionamento della politica
estera statunitense. Trump ha già espresso in passato critiche all’impegno
americano in Ucraina, sostenendo che l’Europa dovrebbe assumersi maggiori
responsabilità in termini di spese militari. Tutto questo si tradurrà in una
riduzione degli aiuti statunitensi, costringendo gli europei a gestire
autonomamente il conflitto e le sue conseguenze. In tale scenario, la posizione
dell’Europa risulterebbe parecchio indebolita: dopo aver investito risorse
economiche e politiche nella guerra, rischia ora di essere esclusa dalle
trattative per la definizione di un nuovo equilibrio geopolitico.
L’Europa fatica a esercitare un ruolo autonomo sulla
scena internazionale per motivi strutturali piuttosto che contingenti. In primo
luogo, l’UE non è uno Stato unitario, bensì un’unione di Stati privi di una
politica estera e di difesa comune. La frammentazione istituzionale impedisce
una risposta coesa e incisiva: mentre Francia e Germania hanno assunto
posizioni di leadership nel sostegno a Kiev, altri paesi, come Ungheria e
Slovacchia, hanno espresso riserve, creando divisioni interne all’Unione.
Un altro fattore critico è l’assenza di una capacità
di difesa autonoma. L’Europa dipende dalla NATO per la propria sicurezza, con
il 70% delle spese dell’alleanza a carico degli Stati Uniti. Questo squilibrio
lascia l’UE vulnerabile alle decisioni di Washington: senza un comando militare
indipendente, la sua capacità di agire nei momenti di crisi è fortemente
limitata.
Dal punto di vista economico, l’assenza di una
fiscalità comune, infine, riduce la capacità dell’Unione di finanziare
strategie indipendenti. Mentre gli Stati Uniti possono reagire rapidamente con
massicci interventi federali, come l’Inflation
Reduction Act (2022), l’UE rimane vincolata ai limiti di bilancio dei
singoli Stati membri e alla rigidità dei trattati europei. Ciò ostacola
investimenti in settori strategici come la transizione energetica, la difesa e
la ricerca scientifica.
Un aspetto cruciale della gestione del conflitto,
infine, è stato il ruolo dei media europei, che hanno spesso adottato una
narrazione allineata alle posizioni governative, trascurando analisi critiche e
alternative diplomatiche. La guerra in Ucraina non è iniziata nel 2022, ma
affonda le sue radici nel 2014, con la crisi del Donbass e l’intervento armato
di Kiev contro le milizie separatiste filo-russe. Tuttavia, questa prospettiva
è stata marginalizzata nel dibattito pubblico, limitando la possibilità di un
confronto aperto sulle opzioni disponibili per una soluzione negoziata.
Secondo un rapporto del Reuters Institute (2023), il 65% delle notizie sul conflitto
pubblicate dai media europei si è concentrato sulle azioni militari e sulle
decisioni politiche occidentali, mentre meno del 20% ha discusso gli impatti
economici della guerra sull’Europa o delle prospettive diplomatiche. Tale polarizzazione
informativa ha contribuito a creare un’opinione pubblica poco consapevole delle
alternative alla strategia adottata dai governi europei.
Alla luce di questi fattori, l’Europa si trova ora di
fronte a un bivio: continuare a seguire una linea subordinata alle decisioni
statunitensi o tentare di costruire una politica estera più autonoma. Alcuni
passi potrebbero essere intrapresi per rafforzare la posizione dell’UE:
- Creazione di una difesa comune
europea, con un comando operativo indipendente dalla NATO e finanziato da un
bilancio condiviso.
- Riforma della governance economica che significa
anzitutto una fiscalità comune che ha come obiettivo la realizzazione d’investimenti
strategici in autonomia, senza dipendere dalle dinamiche politiche interne
degli Stati membri.
- Un approccio più equilibrato
all’informazione, incentivando un dibattito non conformista sui temi
geopolitici e sulle implicazioni economiche delle scelte politiche.
Senza una trasformazione strutturale profonda, l’Europa rischia di restare una potenza economica relativa ma un attore politico del tutto marginale, incapace di influenzare le dinamiche globali e di difendere i propri interessi in un mondo sempre più multipolare.