Le scomode verità (che non vogliamo vedere) di Bifo

Questa disincantata, spietata e per questo lucidissima analisi di Franco Bifo Berardi non lascia apparentemente scampo. Di certo non ci permette di nasconderci in nessun modo e ci inchioda ad una riflessione necessaria quanto urgente. Certo ha un sapore decisamente amaro, oscilla tra il crepuscolare (quando rivolge lo sguardo al passato) e il pessimista (quando guarda al futuro). Ma tant’è. La verità non è mai rassicurante, come sostengo da tempo.
Personalmente non la condivido in toto. Ad esempio non penso – a differenza sua – che dobbiamo prendere atto che “la sola forza capace di abbattere la dittatura finanziaria europea sarà la destra (naturalmente Bifo non se ne compiace affatto e al contrario questa prospettiva lo inquieta…). E non lo credo non perché penso che esista una sinistra capace di farlo al suo posto bensì per la semplice ragione che la destra, vecchia o nuova, non rappresenti affatto un’alternativa al sistema capitalista dominante e ne sia soltanto una variante, o meglio, uno dei suoi diversi volti.
E non condivido neanche la chiusura, o la condivido solo in parte. Perché se è giusto “riflettere, immaginare e diffondere la coscienza di una possibilità che è iscritta nel sapere collettivo, quella di fare del sapere la leva per liberarci dallo sfruttamento”, è altrettanto vero che questo non può bastare, che non ci si può limitare “a sopravvivere collettivamente, sobriamente, ai margini, in attesa”, e che quella “riflessione e quell’immaginazione ” a cui lui stesso fa riferimento e che rimandano ad una possibilità (di trasformazione della realtà), devono marciare di pari passo con la prassi, con l’azione concreta di chi le contraddizioni di questo sistema le vive in prima persona sulla propria pelle, come si suol dire. Senza di questo, non si da neanche la possibilità di trasformare l’esistente e quella stessa possibilità resta solo un puro concetto.
Per il resto, condivido la sua analisi, sullo stato dell’attuale “sinistra”, sull’esaurirsi della “democrazia” (nel merito, nel suo ultimo libro “Dello spirito libero”, il pur criticabile Mario Tronti (per le sue scelte politiche) ha prodotto un’ interessantissima analisi sul “totalitarismo democratico”, cioè la nuova forma di dominio che secondo lui caratterizza le società occidentali) e sulla necessità di mettere in discussione quella che lui stesso definisce “la superstizione che si chiama crescita, che si chiama lavoro salariato”, di cui neanche la sinistra si è mai liberata (e anzi, l’ha addirittura alimentata, spiega sempre Bifo).
In breve, questa riflessione che Bifo ci propone, può essere condivisa in toto, in parte o per nulla, ma certamente pone sul piatto questioni e interrogativi che non possono essere elusi e che certamente ci faranno discutere. Per quanto mi riguarda, assolutamente da leggere:

C’è vita a sinistra. Per il 5 o anche il 10% forse c’è vita. Per una svolta sociale e politica del mondo non c’è e non ci sarà nel tempo prevedibile. Per uscire dall’inferno dobbiamo abbandonare la superstizione che si chiama crescita e quella del lavoro salariato”

L’organismo della sini­stra è assai poco vitale, ma com­pren­si­bil­mente non vuole dir­selo e nem­meno sen­tir­selo dire. E se pro­vas­simo ad affron­tare la que­stione da un punto di vista un po’ meno pre­ve­di­bile? Se comin­cias­simo a dirci che no, ragazzi, non c’è vita a sinistra.

Per­ché que­sta è la verità: non c’è vita, se mai c’è soprav­vi­venza eroica ma sten­tata di un vasto numero di asso­cia­zioni e orga­ni­smi di base che cer­cano di garan­tire la tenuta di alcuni livelli minimi(ssimi) di solidarietà.

Se comin­cias­simo col dirci la verità che dal tronco della sini­stra del Nove­cento non sboc­cerà più alcun fiore, forse allora riu­sci­remmo a vedere la realtà pre­sente in maniera più rea­li­stica e forse anche a imma­gi­nare una via d’uscita per il pros­simo futuro.

Se sini­stra vuol dire una for­ma­zione capace di rag­giun­gere il 5% o forse anche il 10% allora sì, forse può esserci vita a suf­fi­cienza. Gra­zie alla demo­gra­fia, gra­zie all’ampiezza dei ran­ghi degli ultra-sessantenni pos­siamo ancora spe­rare di costi­tuire una for­ma­zione che mandi in par­la­mento qual­che depu­tato prima di esau­rirsi per estin­zione pros­sima della gene­ra­zione che si formò negli anni della democrazia.

Ma se sini­stra vuol dire una forza capace di imma­gi­nare una svolta nella sto­ria sociale eco­no­mica e poli­tica del mondo, una forza capace di attrarre le ener­gie della gene­ra­zione pre­ca­ria e con­net­tiva, se sini­stra vuol dire una forza capace di rove­sciare il rap­porto di forze che il capi­ta­li­smo glo­ba­liz­zato ha impo­sto all’umanità — allora è meglio non rac­con­tarci bugie pie­tose. Non c’è e non ci sarà nel tempo prevedibile.

I con­tri­buti che ho letto sul mani­fe­sto sono più o meno apprez­za­bili, alcuni mi sono pia­ciuti molto. Ma non ne ho tratto la per­ce­zione che qual­cuno voglia vedere quel che sta acca­dendo e che acca­drà, e soprat­tutto quel che noi dovremmo e potremmo fare.

La prima lezione che mi pare occorre trarre dall’esperienza degli ultimi anni è che alla parola demo­cra­zia non cor­ri­sponde nulla.

Per­ché dovrei ancora pren­dere sul serio la demo­cra­zia dopo l’esperienza di Syriza? Ma non occor­reva l’esperienza greca, per sapere che la demo­cra­zia non è più una strada per­cor­ri­bile. Basta ricor­darsi del refe­ren­dum ita­lico con­tro la pri­va­tiz­za­zione dell’acqua, i suoi risul­tati trion­fali, e i suoi effetti pra­ti­ca­mente nulli sulla realtà eco­no­mica e politica.

E allora, se la demo­cra­zia non è una strada per­cor­ri­bile, ce ne viene in mente un’altra? A me no. A me viene in mente che tal­volta nella vita (e nella sto­ria) è oppor­tuno par­tire da un’ammissione di impo­tenza. Non posso, non pos­siamo farci niente.

Cioè, fermi un attimo. Due cose dob­biamo farle, e se volete chia­marle sini­stra allora sì, ci vuole la sinistra.

La prima cosa da fare è capire, e quindi prevedere.

Pos­siamo pre­ve­dere che nei pros­simi anni l’Unione euro­pea, ormai entrata in una situa­zione di scol­la­mento poli­tico, di odii incro­ciati, di pre­da­zione colo­niale, finirà nel peg­giore dei modi: a destra. Pos­siamo dirlo una buona volta che la sola forza capace di abbat­tere la dit­ta­tura finan­zia­ria euro­pea è la destra?

Dovremmo dirlo, per­ché que­sto è quello che sta già acca­dendo, e le con­se­guenze saranno vio­lente, san­gui­nose, cata­stro­fi­che dal punto di vista sociale e dal punto di vista umano. Dob­biamo allora smet­tere i gio­chi già gio­cati cento volte per met­terci in ascolto dell’onda che arriva.

Pos­siamo pre­ve­dere che nei pros­simi anni gli effetti del col­lasso finan­zia­rio del 2008 mol­ti­pli­cati per gli effetti del col­lasso cinese di que­sti mesi pro­durrà una reces­sione glo­bale. Pos­siamo pre­ve­dere che la cre­scita non tor­nerà per­ché non è più pos­si­bile, non è più neces­sa­ria, non è più com­pa­ti­bile con la soprav­vi­venza del pia­neta, e ogni ten­ta­tivo di rilan­ciare la cre­scita coin­cide con deva­sta­zione ambien­tale e sociale.

La decre­scita non è una stra­te­gia, un pro­getto: essa è ormai nei fatti, nelle cifre e negli umori. E si tra­duce in un’aggressione siste­ma­tica con­tro il sala­rio, e con­tro le con­di­zioni di vita delle popo­la­zioni. E si tra­duce in una guerra civile pla­ne­ta­ria che solo Fran­ce­sco I ha avuto il corag­gio di chia­mare col suo nome: guerra mondiale.

La seconda cosa da fare è: imma­gi­nare.

Imma­gi­nare una via d’uscita dall’inferno par­tendo dal punto cen­trale su cui l’inferno pog­gia: la super­sti­zione che si chiama cre­scita, la super­sti­zione che si chiama lavoro sala­riato. Le poli­ti­che dei governi di tutta la terra con­ver­gono su un punto: pre­di­cano la cre­scita in un momento sto­rico in cui non è più né auspi­ca­bile né pos­si­bile, e soprat­tutto è ine­si­stente per la sem­plice ragione che non abbiamo biso­gno di pro­durre una massa più vasta di merci, ma abbiamo biso­gno di redi­stri­buire la ric­chezza esistente.

Le poli­ti­che dei governi di tutta la terra con­ver­gono su un secondo punto: lavo­rare di più, aumen­tare l’occupazione e con­tem­po­ra­nea­mente aumen­tare la pro­dut­ti­vità. Non c’è nes­suna pos­si­bi­lità che que­ste poli­ti­che abbiano suc­cesso. Al con­tra­rio la disoc­cu­pa­zione è desti­nata ad aumen­tare, poi­ché la tec­no­lo­gia sta pro­du­cendo in maniera mas­sic­cia la prima gene­ra­zione di automi intel­li­genti. Da cinquant’anni la sini­stra ha scelto di difen­dere l’occupazione, il posto di lavoro e la com­po­si­zione esi­stente del lavoro. Era la strada sba­gliata già negli anni ’70, diventò una strada cata­stro­fica negli anni ’80. Era una strada che ha por­tato i lavo­ra­tori alla scon­fitta, alla soli­tu­dine, alla guerra di tutti con­tro tutti.

Per­ché dovremmo difen­dere la sini­stra visto che è stata pro­prio la sini­stra a por­tare i lavo­ra­tori nel vicolo cieco in cui si tro­vano oggi?

Di lavoro, sem­pli­ce­mente, ce n’è sem­pre meno biso­gno, e qual­cuno deve comin­ciare a ragio­nare in ter­mini di ridu­zione dra­stica e gene­ra­liz­zata del tempo di lavoro. Qual­cuno deve riven­di­care la pos­si­bi­lità di libe­rare una fra­zione sem­pre più ampia del tempo sociale per desti­narlo alla cura l’educazione e alla gioia.

So bene che non si tratta di un pro­getto per domani o per dopo­do­mani. Negli ultimi quarant’anni la sini­stra ha con­si­de­rato la tec­no­lo­gia come un nemico da cui pro­teg­gersi, si tratta invece di riven­di­care la potenza della tec­no­lo­gia come fat­tore di libe­ra­zione, e si tratta di tra­sfor­mare le aspet­ta­tive sociali, libe­rando la cul­tura sociale dalle super­sti­zioni che la sini­stra ha con­tri­buito a formare.

Quanto tempo ci occorre? Baste­ranno dieci anni? Forse. E intanto? Intanto stiamo a guar­dare, visto che nulla pos­siamo fare. Guar­dare cosa? La cata­strofe che è ormai in corso e che nes­suno può fer­mare. Stiamo a guar­dare il pro­cesso di finale disgre­ga­zione dell’Unione euro­pea, la vit­to­ria delle destre in molti paesi euro­pei, il peg­gio­ra­mento delle con­di­zioni di vita della società. Sono pro­cessi scritti nella mate­riale com­po­si­zione del pre­sente, e nel rap­porto di forza tra le classi.

Ma natu­ral­mente non si può stare a guar­dare, per­ché si tratta anche di sopravvivere.

Ecco un pro­getto straor­di­na­ria­mente impor­tante: soprav­vi­vere col­let­ti­va­mente, sobria­mente, ai mar­gini, in attesa. Riflet­tendo, imma­gi­nando, e dif­fon­dendo la coscienza di una pos­si­bi­lità che è iscritta nel sapere col­let­tivo, e per il momento non si can­cella: la pos­si­bi­lità di fare del sapere la leva per libe­rarci dallo sfruttamento.

Atten­dere il mat­tino come una talpa.

http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/5798-franco-bifo-berardi-scomode-verita-che-non-vogliamo-vedere.html

Fonte: http://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/5798-franco-bifo-berardi-scomode-verita-che-non-vogliamo-vedere.html

 

4 commenti per “Le scomode verità (che non vogliamo vedere) di Bifo

  1. Animus
    4 Ottobre 2015 at 11:42

    E Terzo, il gregge s’incamminerà docile e belando, al mattantoio, uno, perché è quello che ha sempre fatto, due, perché non è per niente vittima…

  2. armando
    6 Ottobre 2015 at 14:58

    Il pezzo meriterebbe ben altro approfondimento. Mi limito a dire che affidarsi alla tecnologia come leva per la soluzione dei problemi, o addirittura per la liberazione dell’uomo, mi sembra almeno pericoloso. Perchè la tecnologia può risolvere molti problemi, ma sono quelli che lei stessa crea in un continuo avvitamento su se stessa. E poi, succintamente, chi controlla la tecnologia, i suoi scopi, le sue applicalzioni, e le ricerche connesse? Quanto la tecnologia può essere “democratica” e quanto invece simboleggia la polarizzazione e la concentrazione del sapere (quello vero) diffuso in poche mani e in pochi cervelli? E chi è abilitato a decidere?

  3. Andrea Boari
    6 Ottobre 2015 at 23:03

    Articolo di rilievo, nel quale “le cose” vengono pensate fino in fondo.
    La sinistra come l’abbiamo finora conosciuta è un ramo secco dal quale non germinerà più nulla se non il colpo di coda di qualche partito destinato ad essere riassorbito.
    La lotta di classe, celata dai conflitti fra le elite, rimane come costante ontologica in sè.
    Non è obbligatorio che l’iniziativa provenga dalla la sinistra. Può essere la destra, quando i ceti dominanti si sono appropriati della sinistra degradata.
    Per secoli fra ceti dominanti e ceti subordinati si è creata tensione. Nessuno si pensava di destra o di sinistra.
    La fine dell’URSS è stata determinata dall’ascesa di una “borghesia” sovietica in danno del proletariato russo. La fine del capitalismo finanziario cosmopolita iperliberale, verrà non solo dai ceti popolari vagamente rinazionalizzati, ma dall’ascesa di civilizzazioni che si mantengono estranee al cosmopolitismo. Nei prossimi decenni nessuno si penserà di destra o di sinistra, ma il conflitto di classe non finirà per questo.
    L’unica lieve nota di perplessità che mi suscita l’articolo è la proposta di immaginare.
    Quello che Bifo si propone di immaginare è già in corso.
    saluti Andrea

    • armando
      7 Ottobre 2015 at 12:11

      La domanda da porsi è quale concezione del mondo hanno le classi popolari dei paesi non ancora pienamente capitalistico/globalizzati.
      Se quelle concezioni, intese come tradizioni, credenze, stili di vita, valori, cultura materiale, si pongono in modo antagonista rispetto a quelle dominanti nell’occidente, allora diventa evidente che questione di classe e questione nazionale tendono, in questa fase, a sovrapporsi, con le relative implicazioni geopolitiche. Se invece tendessero a omologarsi rispetto a quelle occidentali, allora la geopolitica diverrebbe puro scontro fra potenze uguali per il dominio del mondo. Vincesse l’una o l’altra sarebbe indifferente. Ma non credo proprio sia così. Faccio un esempio; nello scontro con gli USA, Putin o l’Iran non mettono in campo solo la loro esigenza di sicurezza nazionale, peraltro legittima, ma anche ciò che è radicato nei loro popoli, anzi più nelle classi popolari che nelle broghesie nazionali.

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