La storia si ripete, la Russia si difende da un’aggressione, l’ennesima, ma l’aggredito è rappresentato come l’aggressore e demonizzato. Le ragioni della Russia non sono da utilizzare per giustificare la guerra, ma per favorire la soluzione diplomatica al conflitto. Lavorare per la pace significa “capire” e non schierarsi in modo preconcetto e alzare le grida per facili invocazioni alla pace. La guerra è sempre da evitare, ma la cultura della pace ridotta a flash mob e a manifestazioni arcobaleno non incoraggiano la cultura della pace, ma un semplicismo utile al potere che usa l’ingenuità di molti pacifisti per affilare le armi. Manca la dimensione della complessità, una guerra la si studia nei suoi elementi e nelle sue variabili genetiche allo scopo di comprenderla per agire politicamente allo scopo di consolidare la pace. Tutto questo manca, anzi, se si pongono domande e si fanno emergere problemi si è osteggiati dai media del potere che controllano l’informazione. Tale atteggiamento svela l’inautenticità delle invocazioni della pace, si inneggia alla pace, ma le oligarchie preparano la guerra usando i popoli, schierandoli in battaglia e manipolandoli. La parola pace muore sulla bocca di coloro che la pronunciano: al concetto è stato sostituito lo spettacolo, per cui i popoli sono solo spettatori, gli oligarchi invocano la pace, ma riforniscono le parti in guerra di armi. Capire il presente significa ricostruire il passato senza pretese di decodificarlo totalmente. Se gli storici tentano di spiegare le condizioni che hanno condotto alla guerra sono accolti da un riso beffardo, si vedano gli interventi di Luciano Canfora e il risolino dei giornalisti, abituati ad adattarsi a un eterno presente, pertanto sono incapaci di ricostruire la genealogia dei fatti storici. La decadenza dell’Occidente è in quei sorrisi, è nel rifiuto dell’uso pubblico della ragione.
La violenza è la normalità dell’Occidente planetario e globale, se si irride a chiunque tenti di far capire la gravità del momento, non si può che constatare la regressione barbarica di una civiltà che ha sostituito il concetto con la forza, la cultura con la potenza, la complessità con l’adattamento alla versione dell’ordine del discorso dei padroni. Con il passare dei giorni lo studio della guerra ci restituisce un numero notevole di elementi che si dovrebbero considerare per rendere il reale razionale. Non è un’operazione semplice per l’ostilità generale verso coloro che vorrebbero costruire un percorso di pace collettivo nella solidità del concetto. Uno degli elementi non sufficientemente trattati è la storia della Russia nell’ultimo secolo, ovvero la Russia è stata oggetto di una serie di invasioni provenienti dall’Occidente particolarmente sanguinose e distruttive. La prima è la guerra civile tra il 1917-1922, la guerra civile tra bianchi e rossi è stata lunga e terribile per i contingenti e le armi dell’Occidente che per fermare l’ “infezione” comunista hanno aggredito la Russia sperando di farne una colonia da saccheggiare. La guerra civile è costata circa tre milioni di morti e un disastro economico immane con carestia annessa. L’aggressione è stata esterna, in quanto i bianchi nulla avrebbero potuto, se non fossero stati foraggiati dalla potenze vincitrice della prima guerra mondiale. All’interno della guerra civile la Polonia ha attaccato la Russia allo scopo di fondare la grande Polonia, guerra conclusasi con la pace di Riga del 1921. Durante la seconda guerra mondiale l’operazione Barbarossa nel 1941 portò i nazisti fino a Mosca. La guerra è costata ai sovietici circa 24 milioni di morti. Il tributo di vittime dei sovietici è stato immenso, per cui i paesi dell’Est liberati dai sovietici erano per la potenza comunista una cintura di sicurezza dalle potenziali aggressioni degli occidentali. La crisi dei missili di Cuba nel 1962 rientra all’interno di tale logica di aggressione, i missili furono impiantati in Turchia, Italia e Gran Bretagna contro l’Unione Sovietica, quest’ultima rispose con i missili puntati sugli Stati Uniti a Cuba. Alla fine della crisi l’Unione Sovietica ritirò i missili, ma l’embargo contro Cuba continua ancora oggi nel silenzio e nell’indifferenza generale. Rammentiamoci che il Patto di Varsavia fu sancito nel 1955 a seguito del Patto Atlantico formalizzato nel 1949. Il Patto di Varsavia è stato sciolto, ma la NATO continua ad esserci, quest’ultimo fu istituito in funzione anticomunista, dal 1991 l’Unione Sovietica è entrata nella storia, ma la NATO continua il suo accrescimento geografico e militare. La ricostruzione delle aggressioni ci consente di capire quanto l’allargamento della NATO ad Est dal 1989 possa essere vissuto dai russi come la preparazione ad un nuovo assalto dell’Occidente, non è paranoia, ma i precedenti storici non possono che inquietare i russi.
La pace esige la concretezza filosofica e non la semplice astrazione: il concreto è inserire la parte nel tutto, mentre l’astratto significa ridurre la totalità a semplici astrazioni da usare nella propaganda, il concreto è la verità imperfetta contro la doxa la quale è l’opinione senza argomentazioni verificate con la dialettica e la pubblica ragione. La guerra attuale dimostra l’immane bisogno di filosofia e di senso del limite per poter fondare una pace condivisa e autentica. La guerra nell’Occidente capitalista è uno stato continuo, in quanto la tensione competitiva ed aggressiva è la normalità del vivere, per cui tra militari e civili vi è una differenza quantitativa e non qualitativa. Siamo sempre in guerra, su ciò dovremmo riflettere, ma nulla trova più ostilità che pensare la guerra nella sua tragica radicalità. Senza filosofia la realtà storica è irrazionale, ciò favorisce lo strutturarsi di comportamenti senza misura e razionalità critica. L’intera civiltà rischia l’inverno dello spirito, il quale non può che preparare, anche, all’inverno nucleare. Le vite dei popoli sono in questo inverno dello spirito, non dobbiamo farci prendere dal fatalismo delle passioni tristi, ma dobbiamo continuare a comunicare alle nuove generazioni il valore della complessità condivisa senza la quale non vi è speranza e non vi è futuro.