La decisione della Corte Suprema USA di abolire la sentenza con cui la stessa Corte nel 1973 aveva legalizzato l’aborto (ora, in seguito a questa nuova sentenza i singoli stati potranno decidere se mantenere il diritto alla libera e volontaria interruzione di gravidanza oppure seguire la decisione della Corte), è un atto contro il diritto delle donne all’autodeterminazione in tema di maternità, e va contrastata con forza senza se e senza ma.
Per capire cosa ha portato a questa decisione è necessario un approfondimento politico. Prima però una riflessione scabrosa, me ne rendo conto, che non può essere elusa per chi come noi ha scelto di scavare in profondità e di affrontare la complessità delle cose, specie quando sono affatto rassicuranti.
Le donne, per lo meno nel mondo occidentale (che comprende anche tanta altra parte di mondo geograficamente non occidentale) e non solo, hanno totale giurisdizione in materia di maternità, come è giusto e legittimo che sia, ma anche in materia di paternità. E questo invece non è giusto, anzi, è uno squilibrio evidente. In parole povere, hanno il potere di decidere sia sull’una che sull’altra, mentre gli uomini non hanno nessun simmetrico diritto. Logica e giustizia vorrebbero che se a decidere sulla maternità debbano essere le donne, e su questo non ci piove, gli uomini dovrebbero godere del simmetrico diritto di decidere sulla paternità. Ma così non è, come sappiamo.
Per la verità non si potrà mai arrivare ad una perfetta simmetria perché è ovvio che se una donna vuole interrompere una gravidanza indesiderata deve essere libera di farlo anche se il proprio compagno, marito o fidanzato, preferirebbe invece che la portasse avanti. Nel caso contrario, quello in cui la donna vuole portare a termine la gravidanza anche contro il parere del compagno, bisognerebbe dare a quest’ultimo il diritto di scegliere se essere o meno padre. Oggi così non è e di fatto gli uomini sono completamente esautorati e subordinati rispetto ad una decisione che riguarda esclusivamente le donne su una “materia” di fondamentale importanza che è la vita stessa e il potere di darla o toglierla. Su questo aspetto, che mi rendo conto essere assai delicato, nessuno/a mai riflette, e invece sarebbe opportuno e anche urgente cominciare a farlo. Diciamo pure che è un tabù.
Veniamo ora alla riflessione politica. Nel mondo occidentale destra e “sinistra” sono ormai da tempo facce di una stessa medaglia. Nessuna delle due mette in discussione la struttura economica e sociale del sistema (capitalista e imperialista) se non per alcuni aspetti che certamente possono avere e spesso hanno il loro peso; ad esempio i democratici americani sono tradizionalmente più guerrafondai e imperialisti dei repubblicani che tendono ad essere in genere più isolazionisti. Anche sulle politiche economiche e sociali possono esserci delle differenze (più o meno liberisti gli uni rispetto agli altri, più o meno favorevoli a politiche di welfare ecc.) ma nessuno metterà mai in discussione la natura capitalista (e imperialista) del sistema. Questo è evidente ormai anche in Europa dove le varie destre, al di là dei soliti slogan necessari all’imbonimento mediatico, alla fin fine sono tutte allineate, coperte e prone alle logiche atlantiste e imperialiste.
In tal modo, la dialettica – impoverita, disinnescata e sostanzialmente resa innocua – si sposta sul piano culturale e dei diritti civili (completamente separati da quelli sociali) dove la destra si fa portatrice di una visione conservatrice e tradizionalista mentre la “sinistra”, diciamola meglio, lo schieramento liberale e neoliberale, sposa in toto e aprioristicamente l’ideologia politicamente corretta, femminista e lgbtq. Il fatto che tale dialettica sia stata completamente o quasi disinnescata sul piano strutturale (economico e sociale) fa sì che si radicalizzi sempre più sul piano sovrastrutturale (culturale e ideologico).
La decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti in tema di aborto è il risultato di questa radicalizzazione ideologica. Una radicalizzazione sempre più parossistica sia da una parte che dall’altra, proprio perché i due schieramenti, sostanzialmente omogenei dal punto di vista politico ed economico, devono in qualche modo differenziarsi sul piano valoriale/ideologico con l’obiettivo di demonizzarsi vicendevolmente. Naturalmente si tratta di una reciproca demonizzazione, come ho già detto, finalizzata a stabilizzare il sistema. Lo schieramento vetero conservatore, fortemente radicalizzato, funge paradossalmente da stabilizzatore del sistema stesso. Proprio i tratti e i rigurgiti reazionari di questo schieramento favoriscono il fronte liberale e neoliberale – altrettanto ideologicamente radicalizzato – che ha buon gioco nell’aggregare consensi giocando sulla psicologia dello spauracchio, cioè del pericolo della deriva populista e ultrareazionaria. Negli USA, come da tradizione, questo scontro ha raggiunto livelli esasperati (pensiamo al fenomeno “trumpista” e all’assalto, lasciato pressochè indisturbato, dei suoi seguaci più estremisti, al Congresso).
La mia opinione è nota. Queste due forme di integralismo ideologico (comunque, sia pure per ragioni diverse, del tutto funzionali al sistema) sono entrambe errate alla radice, perché sono il risultato di una visione volutamente parziale e unilaterale della realtà.
Svelare con la forza della logica, della razionalità, della dialettica e dell’analisi concreta della realtà e della sua complessità questo inganno ideologico, è il lavoro che umilmente cerchiamo di fare.
Fonte foto: Il Messaggero (da Google)