Si susseguono gli articoli sulle figure motivazionali al lavoro: una giovane bidella si sposta quotidianamente tra Napoli e Milano, appare sorridente nelle pose, un giovane rider dichiara che ha consegnato il panino ad un cliente pedalando per cinquanta Km, afferma di non sentirsi sfruttato e mai accetterebbe un lavoro d’ufficio. Si potrebbero sollevare dubbi su queste storie di lavoro estremo, ciò non toglie che l’ammirazione di cui sono oggetto è anch’essa sospetta.
Il primo ragionevole dubbio è che tali storie dirette principalmente alle nuove generazioni hanno lo scopo di insegnare che il lavoro in qualsiasi condizione è “onore” e “gloria”, per cui non devono lamentarsi del precariato e degli stipendi minimi, in quanto vi sono giovani che accettano condizioni estreme, le accolgono col sorriso e si adattano. Per cui se non ci si adegua a ciò che il mercato offre si è colpevoli di non essere all’altezza del sistema.
L’umanità la si può dividere in due categorie: i vincenti che si adattano e i perdenti disorganici al migliore dei mondi possibili, per cui si autoeliminano. Le storie motivazionali sono parte di un dispositivo che ha lo scopo di colpevolizzare, per cui non è “il mercato” che deve cambiare ma i lavoratori. Il mercato è la misura della giustizia, se non si è capaci di cambiare se stessi e di strappare dal proprio cuore e dalla propria mente sogni e ideali si è “giustamente condannati” alla sconfitta e ad essere dei paria senza lavoro e ruolo sociale. Le parole dei giovani lavoratori e la supina accettazione delle logiche mercantili nascondono una immensa solitudine. I lavoratori e le lavoratrici non hanno partiti o sindacati degni di questo nome, per cui sono senza prospettive, si dispera di poter cambiare le condizioni presenti, non si ha scelta, se non ci si adatta si è espulsi dal mercato e condannati alla morte sociale. Un trentenne senza lavoro, al massimo delle energie fisiche e psichiche, corre il rischio di essere un invisibile: senza lavoro e senza progetto, per cui pur di non cadere nel baratro del nulla cede all’adattamento che gli offre l’illusione di un ruolo sociale nel tritacarne della precarietà.
La speranza di una vita migliore è sempre collettiva, l’unità consente la prassi, invece l’atomismo dei lavoratori precarizzati nel vuoto dei corpi medi, delle idee e dell’individualismo indotto non può che comportare il fatalismo adattivo usato dai media per educare i potenziali ribelli e scontenti. Questi ultimi devono imparare da questi modelli, nuovi santini della contemporaneità, a pensare positivo, ovvero qualsiasi condizione avversa ti offre il mercato non vi sono limiti all’adattamento. Il lavoratore precarizzato è liquido deve prendere la forma che il lavoro esige e comanda. Il dispositivo adattivo agisce secondo due movimenti che convergono verso lo spesso obiettivo: la conservazione.
In alto il dispositivo invita i politici a Davos, la nomenclatura dei magnati elargisce alla politica i suoi ordini, in basso gli oratores nei media convincono le nuove generazioni che per ricoprire un ruolo sociale, anche modesto, devono capire che non c’è alternativa, non devono lamentarsi ma accettare il giudizio e le sacre leggi del mercato. Mentre sui giornali la campagna motivazionale procede a ritmo marziale, in Francia un milione di francesi è in piazza per protestare contro la riforma delle pensioni. Sui giornali e nei TG nazionali la notizia non è contemplata, è espunta dalla visibilità e dal dibattito. Le immagini dei francesi che non vogliono adattarsi al nuovo corso ma vogliono far sentire la loro voce e le loro ragioni marciando insieme, sono rimosse, potrebbero mostrare alle nuove generazioni che l’adattamento non è l’unica scelta, che vi sono una pluralità di possibilità che il dispositivo del dominio vuole neutralizzare. Ancora una volta l’Italia è terra di sperimentazione, le nuove generazioni spogliate dei loro sogni e costrette ad accettare condizioni lavorative inaudite sono il vero successo del liberismo che non può che ispirarsi alla condizione italiana per continuare la sua azione di smantellamento globale della politica. La via alla servitù volontaria è il vero obiettivo del neoliberismo, la strada che conduce alla servitù volontaria è lastricata dal vuoto di idee e dall’assenza della politica, in tale contesto il liberismo può apparire invincibile, ma la verità non la si può rimuovere, è incarnata nelle vite che subiscono l’olocausto della precarietà, pertanto la via della servitù può diventare percorso di emancipazione collettiva.