La scuola italiana è ormai da tempo ridotta ad una sorta di enorme parcheggio per masse di giovani che in qualche modo devono essere tenuti occupati. Questo vale sia per le scuole di serie B o di bassa classifica, per utilizzare una metafora calcistica, cioè gli istituti tecnici e professionali, sia per quelle di serie A (e che solo parzialmente lo sono ancora…), cioè i licei, classici, scientifici e artistici. Situazione parzialmente diversa per i licei linguistici e gli istituti magistrali che si trovano nella parte medio bassa della classifica, diciamo così, più vicini agli istituti tecnici che ai licei classici e scientifici.
I giovani che frequentano gli istituti tecnici e professionali (pressoché quasi tutti maschi di estrazione proletaria e popolare) ma ormai anche di molti licei di periferia (in questo caso sia maschi che femmine), sono appunto “parcheggiati” in attesa che siano abbastanza grandi per poter essere abbandonati a loro stessi e soprattutto ad un futuro, o meglio, ad un non futuro – già scritto e deciso in partenza – di precarietà professionale e di lavoro dequalificato, privo di ogni prospettiva, creatività e gratificazione. L’abbandono scolastico è la norma, in questi casi. Anche una sola bocciatura e spesso anche meno può determinare l’abbandono degli studi da parte dello studente, già demotivato (non a torto) di suo, e in molti casi non adeguatamente sostenuto dalla propria famiglia che si trova molto spesso in condizioni di disagio complessive, economiche, sociali e psicologiche. I licei linguistici e gli istituti magistrali (a grande maggioranza femminile, di estrazione per lo più piccolo borghese e popolare) sono invece preposti a sfornare impiegate di vario genere e tendenzialmente di bassa qualifica e insegnanti di scuola primaria.
Ogni tipologia di scuola, come possiamo osservare, corrisponde ad una condizione sociale ben precisa. Da questo punto di vista non è cambiato nulla nella scuola italiana fin dai tempi della fondazione dello Stato unitario nel 1861.
I licei “centrali” (non quelli periferici, ovviamente), in particolare i classici e in misura leggermente inferiore gli scientifici, sono invece quelli frequentati dai figli delle classi borghesi e benestanti. Anche per questi la scuola è comunque un parcheggio, in attesa di andare all’università oppure di essere collocati nello studio o nell’azienda di famiglia o comunque nell’indirizzo di studi che si è scelto, in ogni caso supportati dalla famiglia. Sempre più in crescita – ho potuto notare nella mia esperienza – la tendenza a preferire le facoltà economiche.
In tutti i casi sopraelencati, la scuola è comunque considerata e vissuta non come una esperienza formativa, culturalmente e umanamente, né tanto meno educativa, ma, appunto, come un parcheggio, un periodo della vita che, obtorto collo, si ha da fare.
Gli insegnanti sono stati ridotti nel corso del tempo a dei facenti funzione, avendo perduto ogni ruolo formativo ed educativo. Una gran parte sono precari e vengono fatti girare per le varie scuole come delle trottole. E’ ormai del tutto normale che una classe cambi due/tre/quattro docenti ogni anno per ciascuna materia. Il risultato di questa girandola è evidente a chiunque. In tal modo diventa impossibile costruire quella relazione umana e psicologica che è di fondamentale importanza sia per gli studenti che per i docenti. La didattica diventa sempre più tecnica e nozionistica, il docente viene sempre più vissuto dagli studenti come un “funzionario” come tanti altri che ha il compito di impartire una serie di nozioni rese necessariamente asettiche. E’ solo grazie alla buona volontà dei singoli, sia docenti che studenti, che si riesce in alcuni casi a fare della didattica un momento di effettiva crescita culturale e umana, soprattutto nelle materie umanistiche. Queste ultime dovrebbero costituire il cuore dell’insegnamento, della crescita dei giovani come uomini, donne e cittadini maturi, consapevoli e dotati di coscienza e autonomia critica – anche e soprattutto negli istituti tecnici e professionali – ma tendono ad essere sempre più considerate materie come tutte le altre. Con questo, naturalmente, non ho nessuna intenzione di diminuire l’importanza dell’insegnamento delle materie scientifiche – me ne guardo bene – ma soltanto ribadire la necessità di una adeguata formazione umanistica-filosofica-storica (in tutte le scuole) che è fondamentale ai fini della costruzione del cittadino inteso come soggetto pensante e consapevole, dotato di un autonomo punto di vista, membro a pieno titolo della “polis”, e non di una specie di replicante.
Sotto questo profilo – il che è veramente paradossale – la vecchia scuola “gentiliana”, pur essendo, ovviamente, una scuola di classe, garantiva quanto meno, anche se ad una minoranza dell’intero corpo studentesco, una formazione umanistica e filosofica degna di questo nome. Lo studente di estrazione borghese dell’era gentiliana non viveva la scuola come un parcheggio ma come un momento essenziale di formazione. E lo stesso valeva anche per il giovane di estrazione proletaria o contadina che frequentava (per coloro che erano in grado di farlo…) una scuola tecnica, comunque vissuta come un momento di crescita. La scuola e l’istruzione erano concepiti e vissuti come “mezzi” fondamentali ai fini della propria crescita personale e anche e soprattutto della mobilità sociale, cioè della possibilità concreta di modificare e migliorare la propria condizione all’interno della società.
Tutto ciò, con tutte le contraddizioni che abbiamo già evidenziato, sia chiaro, è evaporato da tempo e le (contro)riforme che sono state pensate e applicate per lo meno da una quarantina di anni a questa parte non hanno fatto altro che impoverire la scuola come momento formativo e di crescita complessiva della persona per renderla subordinata alle logiche e alle esigenze del mercato e dell’ “azienda”, quindi del capitale.
E’ di “facenti funzione”, ai vari livelli della gerarchia sociale, dai più bassi ai più alti (con le dovute differenze), che il sistema ha bisogno, non di cittadini evoluti, consapevoli e dotati di spirito critico. Un numero sempre più crescente (direi senz’altro la maggioranza) di giovani pensano o sono stati indotti a pensare che studiare le lettere classiche, la storia o la filosofia non sia di nessuna importanza ai fini della propria affermazione nella società e nella vita e, da un certo punto di vista, è difficile dargli torto, per come stanno oggi, drammaticamente, le cose. E’ stato introiettato il pensiero in base al quale per fare soldi studiare Leopardi o Hegel non serve a nulla, perché ciò che servirà sarà la capacità di muoversi nel modo più cinico e astuto nella società del mercato globale. Naturalmente solo una minoranza riuscirà nell’impresa, il famoso uno su mille che ce la fa (anche se fossero cento o duecento non cambierebbe nulla…), ma questo è tragicamente considerato secondario perché il messaggio è stato interiorizzato dai più. Chi ce la fa è un vincente, chi non ce la fa è un fallito. Naturalmente soltanto una esigua minoranza di coloro che non hanno risorse e una famiglia solida alle spalle ce la faranno ma proprio l’esistenza di questa più o meno sparuta minoranza serve a legittimare il sistema.
La scuola, che non è una istituzione neutra ma uno degli strumenti di perpetrazione del dominio sociale, non poteva essere immune da tutto ciò. Per questo la sua progressiva, inesorabile degenerazione proprio in ciò che non dovrebbe essere. E anche e soprattutto da questo punto di vista la nostra Costituzione è stata tradita.
Denunciare questo stato di cose, per cercare di invertire la rotta, è compito fondamentale di una forza politica autenticamente Democratica e Socialista (nel senso più ampio e profondo di questi due termini) e per questo non subalterna al Mercato e al Capitale.
Fabrizio Marchi, candidato alla Camera dei Deputati di Italia Sovrana e Popolare nel Collegio di Latina e provincia.
Denunciare questo stato di cose, per cercare di invertire la rotta, è compito fondamentale di una forza politica autenticamente Democratica e Socialista (nel senso più ampio e profondo di questi due termini) e per questo non subalterna al Mercato e al Capitale.
Fabrizio Marchi, candidato alla Camera dei Deputati di Italia Sovrana e Popolare nel Collegio di Latina e provincia.