Onlyfans rappresenta un esito consequenziale e non casuale del capitalismo digitale, esattamente come lo sarà la nuova piattaforma del momento che sbucherà fuori domani o dopodomani. Non presenta alcuna discontinuità con gli altri social, è un esito naturale del capitalismo delle piattaforme e, dunque, non c’è davvero molto di che sorprendersi. È una delle propaggini del capitalismo digitale oggi in piena egemonia, evidentemente in grado di generare continuamente nuovi contenitori che non fanno che spingere un passo oltre la riduzione dell’uomo a merce. La prostituzione è nelle premesse, prima che in qualsiasi conclusione, è una conseguenza intrinseca della mercificazione.
Quindi non bisogna trattare onlyfans (oggi, altra piattaforma o contenitore domani) come fenomeno distinto da instagram o da tik tok. Non sussiste alcuna differenza qualitativa. Al contrario, siamo in piena continuità. I social precedenti consentono già l’illimitata ostensione della propria immagine, sono le protesi narcisistiche offerte dal cuore del potere economico all’utente-suddito. Chi decide di spostarsi su onlyfans per prostituirsi, per esempio provenendo da Instagram, si porta dietro la sua “fanbase”. In altre parole, aveva già orientato l’uso di Instagram nel senso dell’ostensione del proprio corpo per il gradimento del proprio pubblico. In questo caso, Instagram costituisce l’invito, onlyfans la monetizzazione.
Il lettore avrà notato che ho parlato da subito di prostituzione. Nulla di strano, stiamo semplicemente dando alle cose il loro nome. Una delle più notevoli capacità dell’odierno capitalismo digitale, che per molti versi realizza il “capitalismo magico”, è far passare per emancipazione il culmine della mercificazione. A radicare nel senso comune la logica di questo vero e proprio capovolgimento provvede il politicamente corretto, che del capitalismo digitale costituisce la stampella ideologica.
Rispetto alla prostituzione classica ci sono delle novità. Nella triangolazione dello sfruttamento sessuale “vecchia maniera”, il cliente paga in contanti e generalmente una terza persona, il magnaccia o gli aguzzini del racket, guadagna una quota. Nelle nuove forme di prostituzione il cliente (maschi nell’87% dei casi) paga con carta di credito, chi si prostituisce (donne nella maggior parte dei casi) deve impegnare in misura minore sia la propria coscienza che il proprio corpo (può addirittura coltivare la convinzione di non vendersi mentre si vende) e il capitalista della piattaforma, che guadagna una percentuale su ogni transazione, entra nel commercio sessuale digitale occupando il ruolo del magnaccia, è l’aguzzino digitale. A differenza, però, della prostituzione tradizionale, che presenta profili penali quando si configura come sfruttamento, la nuova prostituzione può tranquillamente prosperare sotto il cielo della legittimità e della piena legalità. Basta scandire chiaramente che si sceglie a titolo volontario di aprirsi un profilo su onlyfans. Nessuno, si dirà, ti obbliga con la pistola alla tempia. Ci si richiamerà alla libertà della scelta individuale, architrave del meraviglioso mondo digitale che offre a tutt* opportunità di ascesa competitiva. Che gran bella cosa, questa libertà.
Del resto, rimane perfettamente chiaro che se alcuni adulti decidono di realizzare dei contenuti pornografici, e altri adulti decidono di fruirne, non si vede cosa si debba sindacare. In effetti non è sul piano individuale, bensì sistemico e sociale che il fenomeno deve essere inquadrato, compreso e descritto. Qualche giorno fa è circolata la notizia di una ragazza ventenne licenziata dal suo datore di lavoro perché aveva un profilo su onlyfans. La ragazza, che prima guadagnava meno di mille euro al mese, ora ne guadagna 30.000. Questa la notizia, simile ad altre. Ho scarsissima empatia per il datore di lavoro e per il suo comportamento (e questo al di là della possibile legittimità del licenziamento sul piano giuridico), ma come dicevo, uscendo dal caso individuale, il punto è un altro. Quello stesso sistema tardo-capitalistico che produce precarietà e sfruttamento generalizzati, offre al contempo anche la via di fuga, rigorosamente individuale e competitiva, ossia la possibilità e la prospettiva di arricchimento usando gli strumenti che generosamente dispensa. Toglie diritti, distribuisce illusioni. Insomma non ci vuole molto a capire che i padroni del vapore ci guadagnano due volte: la prima, continuando a precarizzare il mondo del lavoro; la seconda, offrendo sempre nuovi giocattolini a chi, oppresso nel mondo vero della propria condizione lavorativa ed economica (ma ovviamente anche a chi non ha problemi economici ma ambisce a fare un viaggio esotico in più, o a comprarsi una borsetta firmata in più), può far passare le proprie speranze di riscatto non attraverso la lotta sociale, ma sfruttando le opportunità offerte dal nuovo grande scenario della prostituzione disimpegnata e in linea di principio privata del rapporto consumato fisicamente. Questa è l’altra grande differenza rispetto alla prostituzione “vecchia maniera”.
Anche la prostituzione diventa liquida. È una conseguenza della disarticolazione del tessuto collettivo, della monadizzazione, della rarefazione dei legami sociali connaturata al modello neoliberale egemone e accelerata dalla pandemia. Diventano più liquidi i rapporti e il sesso, e la prostituzione è la mercificazione del sesso, cioè evidentemente lo presuppone.
Ma la differenza forse più rilevante è che il magnaccia, che prima era considerato moralmente reprensibile al punto che tendenzialmente non appariva, è ora glorificato, anzi non viene nemmeno riconosciuto, propriamente, come tale. Eppure ci vuole poco a rendersi conto che nella pratica del commercio del sesso digitale il capitalista della piattaforma svolge esattamente quella funzione, prende una commissione da chi si prostituisce (il 20% lordo, per la precisione). Mette a disposizione l’ambiente nel quale si consuma ogni interazione e avviene ogni transazione. Il pappa digitale è al riparo dal giudizio di una società che in linea di massima lo idolatra, non lo mette in discussione, perché dispensatore di “possibilità”, di tutte le possibilità perché prodotto di una Tecnica che è divenuta completamente fine a se stessa; vale a dire, nel momento in cui si incontra con il Mercato, la Tecnica cessa di essere un mezzo nella nostra disponibilità per diventare, piuttosto, il mezzo per realizzare qualunque fine. La società, del resto, potrà essere facilmente portata a discutere dei casi individuali in termini giusto/sbagliato, ha fatto bene/male, e cioè in definitiva in termini moralistici, dai flussi pseudo-informativi al servizio permanente del capitalismo digitale e della sua irrefrenabile espansione.
Anche qui, si può prevenire, si potrebbe dire che è meglio così, se le prostitute, o i prostituti, o prostitut* così non sbagliamo (ma ci vuole proprio tanto, allora, a capire che il capitalismo, più che mai nella sua forma odierna, aliena, mercifica e disumanizza tutti in egual misura?) non devono esporsi agli accidenti della vita sulla strada e di rapporti sessuali indesiderati. Poco avrei da ridire, non essendo appunto avvezzo ad esercizi di moralismo, se non fosse che le nuove forme di prostituzione non vengono riconosciute come tali ma spacciate per emancipazione. Se non fosse che costituiscono il complemento e la giustificazione circolare della precarizzazione del lavoro. Se non fosse vero che frontiere inedite sono state aperte all’alienazione e che il modello imprenditoriale alla base del capitalismo digitale, o “di sorveglianza” (Zuboff) è sia opaco che profondamente manipolatorio. Se non fosse vero, quindi, che all’arricchimento per alcuni/e, che hanno i prerequisiti, in primis estetici, per avvantaggiarsi delle possibilità offerte dai social, corrispondano per molti estese conseguenze patologiche che si fa di tutto per minimizzare e per non voler censire; se non fosse vero che la solitudine di un’intera generazione, quella dei più giovani, non fa che crescere (di pari passo, per altro, all’aumento degli episodi di autolesionismo nell’adolescenza, come si apprende per esempio dal docufilm Social dilemma, 2021). La prostituzione digitale è, quindi, solo il culmine della mercificazione, non un processo qualitativamente distinto da essa. Con il capitalismo digitale sembra realizzarsi compiutamente la previsione di Marx: ogni aspetto della vita umana è stato mercificato
Si cercheranno invano antecedenti storici di imbarbarimento umano confrontabili con quelli che si sono ottenuti al punto di incontro della Tecnica con il Mercato. Siamo così entrati in una fase completamente nuova. Abbiamo a lungo denunciato i meccanismi passivizzanti della televisione, ma eravamo nient’altro che all’inizio. Alle starlette (sempre beninteso con *** finale) del mondo dei social non sarà nemmeno riservata, quando la bellezza inevitabilmente sfiorirà, l’indulgenza che la televisione ha più o meno garantito. Per le star decadute che non vogliono o non sanno uscire di scena c’è pur sempre roba come il grande fratello VIP. La televisione, insomma, sia pure in modo paternalistico, strumentale e funzionale a dare in pasto al pubblico uno spettacolo di livello sempre più infimo, appartiene ancora a un mondo che non abbandona del tutto i suoi eroi sul viale del tramonto. Diversamente, il mondo dei social, prodotto della disgregazione neoliberale del tessuto collettivo, lascerà soltanto la possibilità di pubblicare vecchie foto quando il ciclo biologico avanzerà nel suo corso naturale e inesorabile.
La forma odierna del capitalismo produce sia lacerazioni profonde che i mezzi per illudersi di sanarle. Ma i mezzi offerti sono puramente cosmetici, non possono lenire le lacerazioni se non in apparenza e con il rischio concreto che esse riemergano con forza non appena gli effetti della cosmesi si esauriscono. Nonostante le più convincenti lusinghe, l’io digitale non può davvero surrogare la coscienza sociale.
Il modello imprenditoriale alla base dei social si basa su un’ingegneria di stampo comportamentista e si caratterizza per essere consapevolmente manipolatorio. L’ultima frontiera della mercificazione e della disumanizzazione. La prostituzione digitale non è che la punta dell’iceberg. In cambio della crescente alienazione degli utenti e non esitando a indurre conseguenze patologiche estese anche nei pre-adolescenti, e ormai nei bambini, le multinazionali digitali realizzano utili senza eguali nella storia e privi di termine di paragone nei precedenti cicli industriali.
Le multinazionali digitali dovrebbero essere chiamate a rispondere direttamente per i danni che stanno facendo alle persone.
(grazie alla mia classe 4G per una molto proficua discussione sui temi oggetto dell’articolo)
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