Da tre anni per il mainstream e per il senso comune dell’occidente collettivo le cause strutturali sono sinonimo di “propaganda russa”. L’espansione della Nato ad est è obiettivamente una delle cause strutturali del conflitto ucraino, e non certo una velina del Cremlino. Lo stesso dicasi per il colpo di Stato di Maidan (2014) e per la durissima repressione delle minoranze russe e russofone del Donbass attuata dal governo di Kiev. Come ebbe a dire con grande chiarezza l’attuale vescovo di Roma, è stato un errore “l’abbaiare della Nato alla porta della Russia” (3 maggio 2022, intervista rilasciata al Corriere della Sera). Tutti pregano per lui, in pochissimi lo ascoltano quando più sarebbe il caso.
Nella logica fattuale del conflitto ucraino, la Russia è aggressore sul piano della causa occasionale ma aggredita su quello delle cause strutturali. Per altro, in tempo di guerra la propaganda del “nemico”, diciamo così – perché non ho mai considerato mio nemico la Russia, mie nemiche sono le mie classi dirigenti che ci vogliono trascinare al disastro – dovrebbe sempre essere considerata preferibile a quella di casa propria, che merita un sospetto molto maggiore. Perché?
Le ragioni sono sia semplici che ragionevoli. Durante un conflitto, all’informazione si sostituisce la propaganda. Questa è la ragione di fondo per cui sui conflitti non è mai possibile”informarsi”, bensì occorre studiarli a fondo, se si vuole provare a capire. In primo luogo analizzandoli secondo le logiche profonde che si riconducono alle cause strutturali e che obbligano sempre a risalire indietro di alcuni decenni (in questo caso, alla fine della Guerra Fredda). I sistemi informativi vengono facilmente e pienamente asserviti alla narrazione funzionale alla guerra. Così da tre anni e più assistiamo all’ottuso fanatismo della propaganda di guerra ultra-atlantista. Da sempre le élite scatenano i conflitti convincendo le proprie classi subalterne che il “nemico”, investito degli attributi della malvagità, costituisce una minaccia esistenziale per la loro libertà. Lo schema è greve e rozzo nel suo manicheismo, eppure funziona sempre. Del resto le classi subalterne dell’occidente collettivo, dopo quattro decenni di espansione dell’ideologia di mercato hanno interiorizzato le logiche dell’individualismo competitivo e sono predisposte a distogliere la loro critica dal cuore del potere per deviare le istanze di cambiamento verso obiettivi periferici, secondo l’agenda “liberal” predisposta dalle stesse èlite. Quelle èlite che vogliono la guerra. Chi ripudia la guerra dovrebbe guardare con totale sospetto e decodificare in primo luogo la propaganda della propria parte. Chi vuole capire può essere più indulgente con la propaganda del campo avversario, o almeno prenderla in seria considerazione, sebbene criticamente, perché se non altro può fornire elementi per mettere in discussione e per bilanciare le menzogne dalle quali è giornalmente bombardato dalla propaganda del proprio campo. Anche quando la propaganda del campo avversario produca speculari menzogne, è ragionevole interessarsene per mettere in controluce due menzogne, dalle quali si può sperare che si possa aprire uno squarcio di verità.
Ma la cosa peggiore è fermarsi alle menzogne di casa propria. Perché in questo caso si resta prigionieri di un racconto unilaterale e si diventa esattamente ciò che le élite guerrafondaie desiderano: ottusi, acritici, cinici. E a quel punto può accadere di tutto. Persino credere che Serra dica cose sensate.