Una riflessione sulla cultura non può che prendere le mosse dall’art. 9 della Costituzione, dal concetto stesso di cultura e da una nuova branca dell’economia ossia quella della cultura che, sorta tra gli anni 70 e 80 del secolo scorso, ha dato origine ad un’ ampia letteratura sul tema. Ciò premesso provo a sviluppare un ragionamento tenendo insieme tutti e tre i punti.
La cultura è espressamente richiamata tra i “Principi “ della nostra Costituzione. L’art. 9 recita <<La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione>>. Per l’importanza che i “Principi” contenuti nella Costituzione rivestono, tutta l’attività politica, giuridica ed economica deve essere indirizzata ad applicarli. L’attività di governo, parlamento e regioni, pur se condizionata dai contesti entro i quali ha operato, si è mossa approvando norme e mettendo in campo azioni di politica economica finalizzata all’attuazione del “Principio” costituzionale.
Con la sottoscrizione del Trattato di Maastricht, del Trattato di Lisbona, ecc. l’azione legislativa ed economica si è adeguata all’impostazione Comunitaria uscendone, almeno nei principi, ancora più rafforzata. Oggi siamo di fronte a un quadro normativo abbastanza complesso che regolamenta i vari aspetti del settore nel quale rientrano tanto la produzione quanto il consumo del bene cultura.
Come dicevo l’economia della cultura è una disciplina abbastanza recente per capirne il campo di indagine dobbiamo rifarci all’economista Walter Santagata che nel lavoro di definizione della disciplina ha evidenziato come il binomio economia e cultura non è presente nella disciplina economica tradizionale. Ci sono voluti quarant’anni e passa di studi per definire la disciplina. Oggi essa riveste un ruolo non indifferente ponendosi come obiettivo il superamento dell’approccio tradizionale orientato soprattutto alla conservazione del patrimonio artistico, culturale a favore di politiche miranti alla produzione culturale. L’impulso al cambiamento del paradigma tradizionale è dovuto al ruolo che la produzione culturale ha assunto in ambito politico. Negli anni 90, in un articolo pubblicato dalla rivista The Atlantic, Joseph Nye nel fare la distinzione tra hard power e soft power attribuiva alla “cultura” un ruolo fondamentale. L’idea di fondo è che gli USA potevano esercitare il proprio potere imperiale non solo utilizzando la forza militare ma appunto utilizzando la “ cultura”.
Nel contesto attuale la produzione culturale, attraverso l’utilizzo di canali televisivi, riviste, centri di ricerca , cinema, musica, moda, ecc.; contribuisce in modo significativo a quel “ potere morbido” che gli USA esercitano sul mondo. Attraverso la produzione culturale Individui e Società vengono disciplinati al pensiero unico Liberale e al modello Sociale americano come se fosse, quella USA, l’unica Civiltà possibile. L’azione di persuasione e disciplinamento biopschico mira all’annientamento delle culture altre rispetto a quella americana provocando reazioni da parte di Società che ancora hanno una forte identità culturale, in merito penso al conflitto con il Mondo Islamico, alle relazioni conflittuali con la stessa Cina. Quanto teorizza S. Huntington in “Scontro di civiltà” è parte integrante di quella narrazione che vuole gli USA come unico modello di civiltà. Di contro quando Amartya Sen teorizza l’esistenza di modelli di Democrazia diversi da quello USA fa un’operazione critica al modello USA sostenendo la specificità propria di modelli culturali autonomi.
L’azione di egemonia culturale condotta dagli USA attraverso canali televisivi quali NETFLIX, Disney, Apples ecc. ha spinto Macron a farsi portatore di un’alleanza tra Paesi europei a difesa della cultura Europea e per far crescere un sistema dell’industria creativa in grado di competere con quella USA. La Francia non è la prima volta che mette in campo azioni di questo tipo. Il modello culturale che gli USA stanno imponendo al Mondo spaccia spesso e volentieri falsi per verità storiche. A titolo di esempio cito la serie trasmessa da NETFLIX Bridgerton che, purtroppo non è l’unica. Attraverso la produzione culturale le elite americane impongono l’ideologia del politicamente corretto con l’unico scopo di annientare le differenze culturali al fine di creare una società massificata funzionale all’egemonia USA. Pensate solo agli effetti deleteri dell’ideologia meritocratica descritta molto bene dal sociologo britannico M. Young nel romanzo distopico “ L’avvento della meritocrazia”.
Il soft power che gli USA esercitano attraverso la cultura, sottolineavo, sta portando a reazioni a difesa della propria identità culturale, della propria lingua e dei propri stili di vita. Le reazioni non riguardano solo il Mondo islamico, la Cina, la Russia, ecc. coinvolge anche Paesi che fanno parte dell’U.E.. Non è da escludere che gli stessi movimenti Nazional – Populisti nati nei Paesi dell’Europa dell’Est sono da ascrivere al rifiuto del modello culturale americano rappresentato dalla Globalizzazione e dal Wasghington Consensus.
L’Italia, forse più di altri Paesi facenti parte dell’U.E., ha subito l’influenza della cultura americana. Per rendersene conto basti pensare alla produzione cinematografica degli anni ’50 e ’60. In quella produzione cinematografica non troviamo solo l’ironia del grande Alberto Sordi in quel film stupendo che è un “Americano a Roma” ma anche un giovanissimo italo – americano Mike Bongiorno che, a differenza di Sordi, prima come attore e successivamente da conduttore di programmi TV di successo, ha contribuito all’americanizzazione della cultura popolare italiana e quindi della società. La produzione culturale e non solo quindi la conservazione del patrimonio culturale è un campo dove le potenze mondiali competono tra di loro per l’egemonia politica ed economica del modo.
Per avere un’idea di ciò che rappresenta la conservazione e la produzione della cultura in Italia sul piano economico bisogna far riferimento oltre che ai dati ISTAT, del Mi.BAC, alla ricca letteratura scientifica in materia, al rapporto che ormai da diversi anni viene pubblicato dai “Quaderni di Symbola” relativo all’industria culturale . Come si legge in un passo dell’ultimo studio pubblicato <<la cultura grazie a un moltiplicatore che abbiamo stimato essere pari a 1,8: in altri termini, per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,8 in altri settori. I 95,8 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 169,6 per arrivare a 265,4 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, il 16,9% del valore aggiunto nazionale, col turismo come primo beneficiario di questo effetto volano. Un effetto competitivo confermato anche dal fatto che le aree geografiche dove maggiore è il fatturato della cultura sono anche quelle dove è forte la vocazione manifatturiera. Il Sistema Produttivo Culturale e Creativo (da solo, senza considerare gli altri segmenti della nostra economia) dà lavoro a più di 1,55 milioni di persone, il 6,1% del totale degli occupati in Italia>> .
La produzione culturale è il principale strumento utilizzato sia dagli USA per imporre la propria egemonia che all’interno dei singoli Stati dalle elite nazionali legate a filo doppio al modello americano. Gli strumenti sono sempre gli stessi: televisione, la rete, libri, riviste, spettacoli, personaggi del mondo dello spettacolo, delle università. Negli ultimi anni con l’affermarsi dei social network sono emerse figure di comunicatori che influenzano in modo determinante la coscienza individuale.
Di fronte ad una presenza così vasta di strumenti qualcuno potrebbe pensare che siamo in presenza dell’allargamento della Democrazia e invece così non è. Il pluralismo al quale assistiamo non è realmente tale perché i modelli offerti alle masse sono tutti inseriti nello stesso alveo del pensiero unico Liberale che pone al centro l’esaltazione dell’individuo, del mercato, dell’individuo e della globalizzazione . Un sistema Democratico è realmente tale quando siamo in presenza di produzioni culturali realmente alternative. Il pluralismo e quindi la Democrazia erano realmente tali quando ad esempio vi erano quotidiani, riviste mensili e settimanali, istituti di ricerca, case editrici in grado di offrire modelli culturali realmente alternativi a quelli offerti dalle elite. Non è il mercato in grado di garantire la pluralità della produzione culturale. Non sono Fondazioni e mecenati capaci di garantire il pluralismo culturale. Chi dona lo fa per favorire una propria visione del Mondo. Chi dona essendo una persona che per status economico e sociale appartiene alle elite non può fare altro che finanziare la produzione di cultura funzionale all’egemonia della classe sociale di appartenenza. E’ il solo intervento pubblico capace di garantire il pensiero critico. Aver pensato che il mercato e quindi il profitto fossero gli strumenti idonei a garantire la produzione di cultura altra rispetto a quella funzionale alle elite egemoni ha fatto si che il contesto attuale fosse egemonizzato dal “Liberaltotalitarismo” nel senso che l’unica libertà ammessa è quella che risponde alla logica del mercato e del profitto.
I dati economici che ho riportato in precedenza provano ciò che sostengo. Prodotti tipici del Liberaltotalitarismo sono le ideologie polically correct e la cancel culture. Entrambe rispondono alla logica del mercato e del profitto. Il mercato ha bisogno di raggiungere fette sempre più ampie di consumatori e nel contempo di includere i consumatori nel modello culturale unico rappresentato dalla Globalizzazione, dall’esaltazione dell’Individualismo e del sistema Capitalista.
Fonte foto: Huffington Post (da Google)