Il Trattato di Velsen e l’Eurogendfor
Senza che nessuno se ne sia accorto, col silenzio-assenso della stampa italiana, la Camera e il Senato hanno ratificato all’unanimità il Trattato di Velsen, che istituisce un corpo di polizia continentale con ampi poteri, l’Eurogendfor.
Il 14 maggio 2010 l’assemblea di Montecitorio ratifica all’unanimità – 443 presenti, 442 assensi e un solo astenuto – con la legge n. 84 il “Trattato di Velsen”. Il Senato, poco prima, il 28 aprile, vota alla stessa maniera. Il 12 giugno il “Trattato” entra in vigore. Di che si tratta? Di uno dei casi più inquietanti di cedimento di sovranità nazionale che la storia del Parlamento italiano ricordi. Perché se la ratifica del Trattato del Nord Atlantico, che istituiva la Nato, firmato a Washington il 4 aprile 1949, e l’accordo che ratificava nello stesso Trattato lo statuto dei vari eserciti, firmato a Londra il 19 giugno 1951, furono discussi apertamente in aula e su tutti i quotidiani – con tanto di stampa filogovernativa che si aizzò contro un Pci, accusato di esser contrario alla Nato in quanto “servo di Mosca” – animando un dibattito citato tutt’oggi su tutti i manuali di storia dell’Italia contemporanea, il “Trattato di Velsen”, al contrario, passa nel silenzio più totale. Ma, in sintesi, cosa contempla in concreto il Trattato? Esso si propone di dar vita ad un insolito organismo: la Forza di gendarmeria europea (European Gendarmerie Force), conosciuta come Eurogendfor o Egf, che viene ora a proporsi come il primo corpo poliziesco-militare dell’Unione Europea, a cui partecipano cinque nazioni, cioè l’Italia, la Francia, l’Olanda, la Spagna e il Portogallo ai quali, in seguito, si è pure aggiunta la Romania, un’istituzione, quindi, con valenza sovranazionale. Il suo motto – perchè tutti i corpi di polizia, come le famigerate SS, devono averne uno – è il seguente, “Lex Paciferat”, cioè “La legge porterà la Pace”. Di che legge si tratta? E qual’è la “Pace” che verrà imposta agli europei? È il caso di analizzare i retroscena che hanno portato alla nascita di questo trattato e vedere, articolo per articolo, i suoi punti salienti.
Il progetto iniziale è del l’8 ottobre 2003, in occasione della riunione informale tenutasi a Roma dei ministri della Difesa della Unione europea nel corso della presidenza italiana, con un contributo decisivo del Ministro della Difesa francese Alliot-Marie. L’anno dopo, il 17 settembre 2004, viene firmato a Noordwijk, in Olanda, il primo trattato fra i cinque stati che istituisce la Forza di gendarmeria europea. I fautori sono sempre Alliot-Marie e il forzista Antonio Martino. Fra il 2006 e il 2007 il processo di genesi dell’Eurogendfor fa passi da gigante: il 23 gennaio 2006 viene inaugurato il quartier generale a Vicenza, la stesa città dove ha sede il Camp Ederle delle truppe Usa, divenendo operativa a tutti gli effetti, mentre Il 18 ottobre 2007 viene firmato il trattato di Velsen, sempre in Olanda. Tutti e cinque i paesi firmatari hanno una caratteristica peculiare, cioè la presenza di una polizia militare: in Italia l’Arma dei Carabinieri, in Francia la Gendarmerie, in Spagna la Guardia civil, in Portogallo la Guardia national e in Olanda la Marechaussée. Il provvedimento, non dimentichiamolo, cambia alla radice l’identità stessa dell’Arma dei Carabinieri. All’art. 3 si legge che «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa EUROGENDFOR». Questa nuova “super-polizia” è, recita l’art. 1 del Trattato, «una Forza di Gendarmeria Europea operativa, pre-organizzata, forte e spiegabile in tempi rapidi al fine di eseguire tutti i compiti di polizia nell’ambito delle operazioni di gestione delle crisi», al servizio, non tanto dei cittadini dell’Ue o degli Stati firmatari del Trattato (le “Parti”), ma, sostiene l’art. 5, sarà «messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche». Quindi un’Arma che può essere a disposizione degli Stati Uniti, dato che la Nato è, tutt’oggi, il braccio armato di Washington in Occidente. Una funzione radicalmente diversa da quella dell’Arma dei Carabinieri. Quindi, la Nato può avere voce in capitolo nell’ordinare a Eurogendfor le sue missioni, ma a chi risponde tale organismo? All’Unione europea? No. Eurogendfor non risponde né agli Stati né all’Ue, ma, come viene detto nell’art. 7, al Cimin, un comitato interministeriale con sede a Vicenza nella caserma dei Carabinieri “Chinotto”, ed è composto dai vari rappresentanti ministeriali dei Paesi aderenti (cioè i Ministri della Difesa e degli Esteri), e ha il compito di «esercitare il controllo politico di EUROGENDFOR, definire il suo orientamento strategico ed assicurare il coordinamento politico-militare tra le Parti e, ove opportuno, con gli Stati contribuenti». È solamente questo organismo, che ha ampi poteri (nomina il comandante di Egf, le nomine in seno al Quartier Generale e il Presidente del Consiglio finanziario, ecc.), a determinare la politica dell’Eurogendfor, e nessun altro. In sintesi: l’European Gendarmerie Force non risponde affatto ad alcun Parlamento, né nazionale né europeo (che già non ha alcun potere decisionale).
Colpisce, inoltre, il fatto che l’European gendarmerie force goda di una completa immunità internazionale. L’art. 4, recita che l’«EGF potrà essere utilizzato al fine di: condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico; monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi comprese l’attività di indagine penale; assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale d’intelligence; svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti; proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici; formare gli operatori di polizia secondo gli standard internazionali: formare gli istruttori, in particolare attraverso programmi di cooperazione». Insomma, se ci si era scandalizzati per all’ingerenza della Cia nella politica italiana in relazione al rapimento del mullah Abu Omar, ora gli europei potrebbero iniziare ad abituarsi all’esistenza di una «super-polizia» che, oltre a proteggere gli interessi di Bruxelles (si noti bene, quelli dell’Ue e dei Cd’A delle banche private, e non dei suoi “cittadini”), potrà svolgere un vero e proprio lavoro di intelligence stile 007, addestrare le varie forze di polizia locali e proteggere «le persone e i beni», mantenendo «l’ordine in caso di disordini pubblici». A quali casi si fa riferimento nel trattato di Velsen? A quelli inquadrate nel «nel quadro della dichiarazione di Petersberg». Cioè? A Petersberg, nei pressi di Bonn, si riunì il 9 giugno 1992 il Consiglio ministeriale della Ueo che approvò una Dichiarazione che individuava una serie di compiti precedentemente attribuiti all’Ueo da assegnare all’Unione europea, cioè le cosiddette «missioni di Petersberg», cioè le “missini umanitarie” o di evacuazione, missioni intese cioè al mantenimento dell’ordine pubblico, nonché operazioni costituite da forze di combattimento per la gestione di crisi, ivi comprese operazioni di ripristino della pace. Ergo, oltre all’intervento in caso di catastrofe naturale, l’Eurogendfor può intervenire per sedare delle manifestazioni in assetto da «forze di combattimento». Insomma, in conformità alla dottrina di Charles Darwin, anche la celere di Scelba si deve evolvere. Quindi, le scene viste al G8 di Genova del 2001 – dove la stampa arrivò a parlare di «premiata macelleria cilena» e dove Massimo D’Alema arrivò ad attaccare il governo del premier Berlusconi, accusato di «fascismo» e di «autoritarismo» – potrebbero diventare il «pane quotidiano» per tutti coloro che si oppongono ai diktat draconiani della trojka neoliberista.
Ma le prerogative e le immunità di Eurogendfor non finiscono qui: l’art. 21 parla di «Inviolabilità dei locali, degli edifici e degli archivi»; l’art. 22 sostiene che «Le proprietà e i capitali di Egf e i beni che sono stati messi a disposizione per scopi ufficiali, indipendentemente dalla loro ubicazione e dal loro detentore, saranno immuni da qualsiasi provvedimento esecutivo in vigore nel territorio delle Parti»; l’art. 23 afferma che «Le comunicazioni indirizzate ad Egf o da queste ricevute non possono essere oggetto di intercettazioni o interferenza»; l’art. 28 recita che «i Paesi firmatari rinunciano a chiedere un indennizzo per danni procurati alle proprietà nel corso della preparazione o esecuzione delle operazioni. L’indennizzo non verrà richiesto neanche in caso di ferimento o decesso del personale di Eurogendfor»; mentre l’art. 29 sostiene che «gli appartenenti ad Eurogendfor non potranno subire procedimenti a loro carico a seguito di una sentenza emanata contro di loro, sia nello Stato ospitante che nel ricevente, in uno specifico caso collegato all’adempimento del loro servizio». Insomma, il potere dell’Arma dei Carabinieri e dei vari corpi di gendarmeria nazionale aumenta così vertiginosamente, dato che risponde solo al CIMIN (ergo, solamente ai suoi rappresentanti e ai rappresentanti del Ministero Esteri e Ministero Difesa, quindi al governo, e non al Parlamento, quindi al cosiddetto “popolo sovrano”), mantiene i suoi classici poteri in Italia (che vengono però centuplicati) e gode di diritti assolutamente impensabili in un normalissimo Stato di diritto, cioè la totale immunità e l’insindacabilità.
Le riflessioni da fare sono parecchie. I poteri del comandante del corpo sono ampissimi, e, mentre sfogliando le riviste “ufficiali” edite in Italia dal Ministero della Difesa, come l’articolo La Gendarmeria Europea, scritto da Andrea Paris e apparso nel n. 4 dell’aprile 2005 della «Rivista Italiana Difesa», l’Eurogendfor (in relazione al trattato di Noordwijk) viene presentata, per ovvi motivi, in maniera edulcorata, come la naturale evoluzione in chiave europeista delle gendarmerie nazionali, la situazione, invece, non è affatto così rosea. Le gendarmerie nazionali, infatti, non hanno devoluto, come è successo con gli Stati nazionali, le loro naturali prerogative ad un organismo comunitario con sede a Bruxelles, ma con Eurogendfor, invece, nasce un corpo di polizia che, come fa riferimento l’art. 5 del trattato di Velsen, non è a disposizione solamente dell’Unione europea (che già con tutti quei poteri è qualcosa di inquietante), ma è a disposizione dell’Onu, dell’Osce e della Nato, ergo degli Stati Uniti d’America. Infatti, e pochissimi osservatori se ne sono accorti, la base è a Vicenza, la stessa città dove c’è il Camp Ederle delle truppe Usa, in fase di ampliamento multiforme fuori e dentro l’area urbana, una base a disposizione soltanto del Pentagono (cioè degli Usa), che vi mantiene un buon numero di testate nucleari. Quindi si evince che sulla carta risulterebbe un’istituzione europea, nei fatti, visto la supervisione statunitense, si dimostra un’istituzione atlantista. È interessante vedere la questione delle spese, che graveranno sia sullo Stato italiano, visto che la base è in Italia. in base all’art. 10, l’Italia è completo servizio delle sue forze: «Lo Stato ospitante si impegna a fornire a titolo gratuito al QG permanente le infrastrutture necessarie ad EUROGENDFOR per svolgere i suoi compiti. Tali infrastrutture sono definite in uno specifico documento approvato dal CIMIN. (…) Lo Stato ospitante adotterà tutte le misure opportune necessarie a garantire la disponibilità dei servizi richiesti, in particolare l’elettricità, l’acqua, il gas naturale, i servizi postali, telefonici e telegrafici, la raccolta dei rifiuti e la protezione antincendio al QG permanente. Le condizioni relative ai servizi di supporto dello Stato ospitante saranno ulteriormente specificate in accordi di attuazione conclusi tra le competenti autorità delle Parti». La cosa, se Eurogendfor fosse la classica Arma dei Carabinieri e se rispondesse a Roma o all’Unione europea, avrebbe senso, ma se la struttura è collegata alla Nato, che senso ha se non quella di rendere l’Europa ancora più legata agli al dominio degli Usa? Perché le spese relative al personale, inoltre, in base agli artt. 34 e 35, che rientrano invece nel capitolo di spesa «spese comuni», finanziate da tutti gli Stati partecipanti all’Egf.
Eurogendfor, e la cosa deve far riflettere, non è solamente una forza esistente sulla carta di due trattai, Noordwijk e Velsen, ma è già stata impiegata in ben due missioni ufficiali e in una “ufficiosa”: nel 2007 l’Egf era in Bosnia Erzegovina, e nel dicembre 2009 è stata ufficialmente impiegata anche in Afghanistan, all’interno della missione Isaf, mentre, dopo il Terremoto di Haiti del 12 gennaio 2010, un contingente di Eurogendfor è stato inviato sull’isola, composto da 120 Carabinieri, 147 agenti della Gendarmeria francese e un plotone spagnolo composto da 23 unità della Guardia civil. Questo è quello che si evince dalla semplice consultazione del sito web dei Carabinieri o dal sito informativo Euronews. A questa ufficialità bisogna aggiungere, quindi, l’ufficiosità, cioè quello che la stampa ufficiale ha taciuto, se non in qualche sito “alternativo” o in qualche blog: l’Eurogendfor, infatti, è duramente intervenuta per reprimere le manifestazioni antieuropeiste e antiausterity in Grecia, un paese stremato non solo dalla crisi economico finanziaria, ma dalle misure adottate da Bruxelles per salvare le banche, che la classe dirigente greca ha accettato senza colpo ferire. Tra l’8 e il 10 ottobre 2011, infatti, in base a fotografie che sono apparse in diversi siti Internet greci, una brigata di Eurogendfor, è sbarcata con un traghetto a Igoumenitsa in abiti civili. Si capiva che erano poliziotti del corpo di gendarmeria europeo, perchè sui vestiti, sulle borse vi era il logo di Egf, una spada con le parole “Lex Paciferat”. Sempre da fonti greche, si è appurato che il giorno dopo sono stati caricati su trasporti militari camuffati da civili e trasportati a Larissa, sede di un aeroporto militare chiuso da poco tempo e usato come base militare per i corpi di fanteria. La presenza dei “super-poliziotti” europei è confermata, oltre che dalla popolazione del posto, da una radio locale e dalla popolazione di Markopoulo, vicino ad Atene, dove si trovano molti Bus dell’Esercito con fuori molti giovani in abiti civili che divisi in gruppi parlano tra di loro, ma non in greco. Ma perchè, quindi, mandarli in Grecia? Perchè, come è evidente dalle notizie sui giornali e da come si comprende dalle prerogative di Eurogendfor presenti nell’art. 4 del Trattato di Velsen, la principale funzione di questo corpo è quello di «mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici», e con le violente manifestazioni ad Atene e non, di «disordini pubblici» la Grecia ne ha visti tantissimi, così come ha visto la sua sovranità assottigliarsi giorno per giorno alla pari della sua ricchezza e della dignità.
Ma quello che colpisce del Trattato di Velsen è, come detto all’inizio, la reazione del Senato e della Camera dei deputati in Italia, che votando all’unanimità il documento (Pd, Pdl, Udc, Lega Nord e Idv), ha sostenuto la più evidente delega verso il Cimin di uno dei più importanti poteri che, normalmente, appartengono ad uno Stato nazionale, ovvero la gestione della sua politica estera e, in barba all’art. 11, già più volte infranta con le numerose «missioni umanitarie» in Serbia, in Afghanistan e in Iraq, il potere decisionale di dichiarare o meno le guerre. Perchè i dibattiti al Parlamento italiano sulle missioni militari – non “di pace” – sono stati da sempre uno dei temi più sgradevoli e pericolosi per ogni esecutivo, specie se retto da tutte quelle forze cosiddette “progressiste”. Il 21 febbraio 2007, non dimentichiamolo, l’ordine del giorno sulla politica estera presentato dall’allora ministro degli Esteri Massimo D’Alema, venne bocciato, e il governo Prodi oscillò vertiginosamente, crollando poco dopo, non a caso, proprio sul rifinanziamento della missione in Afghanistan grazie al “niet” del trockijsta Franco Turigliatto (Prc, poi fra i fondatori di Sinistra critica) e del comunista Ferdinando Rossi (Pdci). Un governo, di qualunque colore esso sia, per sostenere una missine all’estero deve usare la più classica delle armi, ben nota al ministro nazista Goebbels: la costosissima propaganda. Ed ecco che spunta fuori Milosevic, il malvagio dittatore nazional-comunista che, in un’operazione di reductio ad Hitlerum, diventa uguale, a eccezione dei baffi, a un mix fra Adolf Hitler e Josif Stalin (dimenticandoci, però, che anche Massimo D’Alema porta i baffetti); i poveri kossovari, massacrati dai militari serbi, dipinti come le novelle SS, vengono comparati agli ebrei, mentre i guerriglieri dell’Uck, grazie al contributo propagandistico di Giorgio Bocca su la Repubblica, L’Espresso e la stampa ulivista, sono diventati i “nuovi partigiani”, simili a lui che combatteva i nazisti e i fascisti a Cuneo per la libertà (dimenticando di ricordare gli articoli antisemiti scritti fino al 1943). Ed ecco che una “normalissima” guerra civile, dove ambo i contendenti attuano alla pari crimini di guerra ai danni dei civili, diventa la “seconda guerra mondiale in miniatura” per giustificare l’intervento Nato. Come dimenticare il “via” all’attacco all’Afghanistan, col diessino Violante che compara le truppe italiane ai volontari delle Brigate Internazionali che difendono la Spagna repubblicana o le pietose menzogne sulle «armi di distruzione di massa» in mano al “pazzo nazista” irakeno Saddam Hussein, inventate ad arte e di sana pianta per giustificare l’ennesimo attacco imperialista statunitense, che non ha mai immolato i suoi “soldati Ryan” per l’astratta libertà, ma per accaparrarsi risorse petrolifere e, nell’ultimo conflitto mondiale, riempire uno spazio geopolitico che si stava svuotando per via dell’avanzata dell’Armata rossa e per la decadenze dei vecchi stati imperialisti e coloniali europei. Tutto questo potrebbe diventare un’immagine d’archivio o di repertorio, visioni di un passato remoto, perchè delegando tutto al Cimin e a Eurogendfor, non ci saranno più dibattiti parlamentari in relazione all’intervento militare, e i politici non saranno più obbligati a inventarsi di sana pianta – sempre col sostegno della stampa filogovernativa e dei vari lacchè iscritti all’Ordine – pietose storie piene di retorica patriottarda per giustificare gli interventi all’estero. E non solo: se il parlamento non discute, la stampa non dovrà più animare dibattiti e quindi l’opinione pubblica, all’oscuro di tutto, farà molta più fatica ad animarsi e a indire manifestazioni, sit-in e cortei contro un’eventuale guerra. Ed ecco, senza dover sguinzagliare gli agenti dell’European gendarmerie force, che l’Ue, attraverso l’omissione e il silenzio stampa, ha risolto alla radice il problema del mantenimento dell’«ordine in caso di disordini pubblici». Insomma, per concludere, se la democrazia liberale viene definita, sulla carta, il «potere del demos», cioè del popolo, quella che sta per essere attuata in Unione europea, grazie allo strapotere delle varie commissioni, delle banche e del grande capitale finanziario, è un’oligarchia, cioè il governo delle èlite.
Fonte: http://www.comunismoecomunita.org/?p=4337