C’è una differenza di fondo tra il neoliberalismo praticato dal centrosinistra e il neoliberalismo praticato dal governo di destra – centro guidato dalla Meloni: nel primo caso si mantenevano aperti dialogo e confronto con le parti sociali, nel secondo caso il dialogo e il confronto con cura si cerca di evitarli fino al punto, come ha fatto il ministro Salvini, di precettare i lavoratori in sciopero. Nel primo caso è stato utilizzato il metodo della governante, quindi del confronto orizzontale tra tutti i soggetti portatori di interesse , nel secondo caso il metodo è quello verticale nel senso che a capo c’è un soggetto che decide per tutti in quanto “ unto” dal consenso elettorale. Ad una tale impostazione le opposizioni dovrebbero rispondere con la mobilitazione e la riscoperta del conflitto di classe. Purtroppo venuto a mancare il principale soggetto sociale dopo decenni di “orizzontalismo” e di cooptazione dei corpi intermedi nei processi decisionali, la lotta di classe è venuta meno. Le opposizioni, con esse intendo sia i partiti politici che i sindacati, tanto confederali quanto le varie sigle autonome; cercano di inserirsi all’interno delle varie criticità presenti nella società nella speranza di riuscire a fare sintesi tra di esse. Per cui si indicono scioperi sui temi del lavoro che si vanno ad intersecare con questioni di altro tipo quali le rivendicazioni di genere, lotta all’antisemitismo e più in generale al razzismo, e poi femminismo, immigrazione, transizione ecologica, educazione all’affettività, difesa tout court della Costituzione, matrimonio tra appartenenti allo stesso sesso, utero in affitto, adozione per coppie omosessuali, diritto alla genitorialità, fine vita, ed altro ancora. Passando in questo modo dalla lotta di classe alla lotta per i diritti individuali.
La mia impressione è che le forze di opposizioni non riescano a schiodarsi da dove l’elettorato le ha confinate. Il PD non riesce a superare il “ ma anche” di veltroniana memoria che altro non è che l’intersezionalismo richiamato dalla stessa Schlein; il M5S , sempre di più partito di Conte, non si decide a scegliere “ il campo giusto” restando legato a slogan confusi e demagogici e che lo relegano in una sorta di limbo come provano il dato nazionale che lo da al 15% dei consensi e quello locale che lo attesta al 2 – 3%. I sindacati riscoprono la mobilitazione sperando di ritornare a crescere in termini di consenso tra i lavoratori ma, come prova la scarsa sindacalizzazione tra i giovani che riescono a trovare una occupazione, anche loro stentano, per cui gli scioperi si traducono in riti dove gli unici a mobilitarsi sono i lavoratori che rivestono un qualche ruolo all’interno del sindacato.
E’ chiaro che tutto questo è il risultato di decenni di egemonia culturale neoliberale, individualista, anti – Stato, a – sociale e mercatista. Quelle elencate sono solo alcune delle specifiche che definiscono il sistema come “orizzontale” per cui la domanda che si pone è come costruire una proposta politica adeguata in grado di sfidare la destra al governo autoritaria e neoliberale. La risposta non può essere di tipo orizzontale, ossia il provare a tenere insieme tutto e il contrario di tutto. Le lotte per il lavoro e più in generale la battaglia contro politiche economiche e finanziarie che privilegiano l’attuale modello sociale fondato sulla difesa della upper class contro la lower class non può essere condotta facendo leva sulle teorie intersezionaliste. Una tale teoria è funzionale al sistema capitalista perché contribuisce a destrutturare la società facendo emergere quelle istanze che riescono a trovare maggior ascolto sul mercato della comunicazione come prova la recente mobilitazione di decine di migliaia di persone contro il femminicidio e il patriarcato e il nulla di fronte alle morti sul lavoro, vero e proprio bollettino di guerra del capitale contro il lavoro.
L’impostazione intersezionalista, fatta propria dalla Schlein e più in generale dalla sinistra post moderna presenta limiti enormi. Sul piano della cultura politica essa non ha nulla a che vedere con la tradizione politica della Sinistra italiana e più in generale europea. Si tratta di un semplice scimmiottamento della sinistra Liberal statunitense, segnale questo di sudditanza verso quel modello culturale che è invece da rifiutare tout court. L’intersezionalismo, ponendo l’accento sulle sovrapposizioni tra le diverse identità sociali, fa si che il conflitto politico venga affrontato in termini individuali, intendendo con individuale anche rivendicazioni di specifici gruppi sociali. Una impostazione di questo tipo non è in grado di fare sintesi tra le singole rivendicazioni identitarie perché ognuna di esse ha un diverso valore di scambio sul mercato. La conseguenza è l’impossibilità di mettere in campo una proposta politica capace di riformare il sistema in senso socialdemocratico. Da qui la compatibilità delle politiche economiche neoliberali con le istanze intersezionaliste.
Ciò premesso, seppure in modo sintetico perché la riflessione sull’intersezionalismo richiede una trattazione molto più ampia e soprattutto specifica, passo ad analizzare la “ melonieconomics” e le condizioni materiali che essa determina ai fini della lotta politica e di come l’approccio intersezionalista sia inadeguato rispetto alla destra al governo e alla cultura politica che essa esprime.
A poco più di un anno di distanza dalle elezioni politiche e dopo la prima legge di bilancio, per molti versi incanalata dal precedente governo, con la nuova legge di bilancio in corso di definizione appare chiara la linea politico – economica del Governo Meloni. Finiti i proclami demagogici tenuti durante la finta opposizione al governo Draghi e in campagna elettorale, le questioni sono esplose tutte. Il conflitto russo – ucraino, la necessità di dover in qualche modo rientrare dal debito pubblico contratto durante la crisi pandemica, la crescente povertà, la crisi demografica, ambientale, l’ inflazione, ecc. sono questioni che ad una classe politica responsabile sarebbero apparse da subito chiare. Le soluzioni che il governo di destra si appresta a varare sono tutte riconducibili al mantra neoliberale tanto criticato dalla Meloni con l’aggiunta dell’autoritarismo proprio della cultura politica che anima questo governo. Di seguito riporto alcuni punti.
La questione fiscale è stata affrontata dal governo Meloni con provvedimenti in linea con l’idea che la riduzione della pressione fiscale automaticamente porti crescita e sviluppo, da qui la riduzione delle aliquote fiscali portate a tre e taglio del cuneo fiscale. La narrazione del governo è che entrambi i provvedimenti, riducendo, metteranno denaro nelle tasche degli italiani. Considerato l’alto debito pubblico e la necessità di dover rientrare – per inciso in UE si sta discutendo dei nuovi criteri per il rientro del debito pubblico – appare fin troppo chiaro che la riduzione della pressione fiscale con minori entrate per le casse dello Stato determinerà tagli alla spesa pubblica penalizzando chi ha meno e favorendo chi ha di più. La tanto sbandierata riduzione del cuneo fiscale nella misura del 7% per i redditi fino a 25.000,00 € e del 6% per i redditi fino a 35.000,00 €, valida per il solo 2024, è solo una marchetta elettorale in vista delle prossime elezioni europee e amministrative. La riduzione del cuneo fiscale disincentiva le imprese ad investire in innovazione, qualità del prodotto e processi produttivi e in previsione dei rinnovi dei CCNL i beneficiari vedranno il reddito crescere con il passaggio ad una fascia di tassazione superiore per cui la crescita dei salari sarà a somma zero. Del taglio del cuneo fiscale gli unici a beneficiarne saranno le imprese che vedranno il costo del lavoro ridursi e che diventerà un costo sociale. Per non parlare degli effetti che la riduzione del cuneo fiscale avrà, in futuro, sulle pensioni. Sempre in merito alle agevolazioni fiscali e di sostegno alle imprese attraverso la riduzione del costo del lavoro, il governo si appresta ad introdurre ulteriori agevolazioni fiscali a favore del Welfare aziendale per cui assisteremo a rinnovi dei CCNL che finanzieranno il welfare aziendale il quale diventerà sempre di più surrogato del Welfare State. Il Welfare aziendale, contribuendo alla creazione del mercato dei diritti sociali, farà crescere il PIL ma non avrà nessun effetto redistributivo a favore delle classi sociali meno abbienti. Come provano numerosi studi, un cuneo fiscale basso è tipico delle economie neoliberali dove assistenza sanitaria, pensioni, istruzione sono affidate al mercato. Nella graduatoria dei paesi più avanzati, rispetto all’incidenza della differenza tra retribuzione lorda e netta, l’Italia viene quinta dopo Belgio, Germania, Austria e Francia, tutti questi Paesi hanno un sistema di protezione sociale molto forte; gli USA, dove il cuneo fiscale incide per poco più del 30%, la protezione sociale è un bene da acquistare sul mercato, quindi legato alle possibilità economiche di ciascun consumatore. Bastano queste semplici coordinate per capire il senso delle politiche neoliberali che il governo Meloni sta portando avanti in modo autoritario evitando accuratamente il confronto con il mondo del lavoro rappresentato dalle parti sociali. Per avere il quadro ancora più chiaro bisogna tener presente il MES. Solo l’Italia non lo ha ancora ratificato. La ratifica non implica necessariamente la sua attivazione. Molto dipenderà da ciò che farà il governo nel 2024 in vista del 2025. Se le politiche continueranno ad essere quelle attuali, la riduzione ulteriore del gettito fiscale con il conseguente taglio della spesa pubblica per il sociale, leggasi sanità, l’effetto sarà l’attivazione del MES per finanziare la sanità con il conseguente commissariamento dell’Italia.
PNRR. L’UE ha approvato le modifiche apportate dal governo Meloni. Sicuramente un successo politico dovuto al contesto internazionale più che alla capacità del governo. Ciò che il governo ha proposto al fine dell’attuazione del PNRR è la ZES unica per l’intero Mezzogiorno. A parte la contraddittorietà della politica di questo governo, il quale da una parte parla di regionalismo differenziato mentre dall’altra opera per la realizzazione di fatto della macroregione del sud, la ZES unica avrà come effetto l’ulteriore marginalizzazione delle aree più depresse e marginali del Mezzogiorno. La cultura economica che ispira la ZES continua ad essere quella dell’offerta, ossia si crea un’area geografica nella quale alle imprese si riconoscono delle agevolazioni sperando che esse investano realmente creando sviluppo ed occupazione. Non ci vuole molto per immaginare che nell’ambito della Zes unica del sud le imprese investiranno in quelle aree già particolarmente favorevoli dove i rischi sono minimi e i profitti più alti.
Disuguaglianza e povertà. Anche su questo punto l’azione del governo è in linea con la cultura politica propria di una destra autoritaria e neoliberale. Il ridimensionamento del reddito di cittadinanza senza la previsione di una riforma complessiva del welfare e più in generale di politiche attive dell’occupazione si è tradotto in una sorta di vendetta contro coloro che percepivano tale beneficio. Per inciso, non ho mai condiviso il Reddito di cittadinanza, la qual cosa non significa che io condivida quanto ha fatto il governo. Continuo a pensare che il lavoro debba essere centrale ai fini dell’autonomia del lavoratore e per la conservazione della Democrazia. L’Istat riporta il dato dell’occupazione in crescita, il punto è che la precarizzazione del lavoro e i salari bassi, fermi agli anni ‘90, non migliorano le condizioni dei lavoratori i quali continueranno ad essere poveri. Possiamo dire che la “melonieconomics” è una sorta di “orbanizzazione” della società italiana, un mix di autoritarismo, di liberalismo, di lavoro coatto come prova la modifica all’istituto del R.d.C., salari al ribasso e diritti dei lavoratori ridimensionati. Il modello di concorrenza che ha in mente la Meloni porta ad essere competitivi con i Paesi dell’ex Patto di Varsavia più che con realtà economiche e sociali avanzate. Non a caso la forza lavoro fatta di giovani italiani laureati emigra per essere sostituita da manodopera immigrata dequalificata utile a un sistema produttivo che punta sull’impiego di lavoro a basso valore aggiunto più che sulla ricerca e l’innovazione tecnologica. Rispetto alla “melonieconomics” la Schlein pensa di vivere negli USA quando sostiene l’intersezionalismo come riferimento culturale e politico ai fini della costruzione dell’opposizione al governo della destra. Una lotta politica per salari adeguati, un Welfare State funzionale e funzionante, investimenti pubblici con lo Stato che torna ad essere imprenditore, una politica fiscale fortemente progressiva con l’introduzione di maggiori aliquote fiscali e di una imposta sui patrimoni, ha costi per il sistema capitalista neoliberale perché implica una redistribuzione della ricchezza prodotta a favore delle classi sociali basse. A differenza di quanto si pensa i diritti di libertà individuali non necessariamente devono incidere sulla redistribuzione della ricchezza tra classi sociali. Il costo del diritto è caricato integralmente sul titolare stesso del diritto. La battaglia politica deve riscoprire la lotta di classe, e venuta meno la coscienza di classe bisogna opporre la Comunità alle classi alte. E’ l’upper class a rivendicare diritti individuali sempre più ampi perché essi sono lo strumento attraverso i quali possono acquistare sul mercato beni e servizi che ne definiscono lo Status di classe. Che cosa sono il diritto alla genitorialità, l’utero in affitto se non beni e servizi che definiscono lo status sociale? Per non parlare delle possibilità che l’Intelligenza artificiale e più in generale della ricerca scientifica, sostenute dall’ideologia transumana, potrebbero offrire al singolo individuo in un sistema dove i diritti ad esso connessi lo metterebbero nelle condizioni di poter acquistare qualsiasi bene sul mercato.
Non è sostituendo la lotta di classe con la lotta per i diritti individuali che si sconfigge la destra. In un contesto egemonizzato dal neoliberalismo, dal postmoderno, le lotte politiche a favore dei diritti di libertà individuali vengono percepiti dalle classi sociali subalterne come lotta a difesa dei privilegi per cui queste scelgono la destra autoritaria e neoliberale per il semplice fatto che essa riesce a mascherare sul piano delle politiche economiche la difesa dei privilegi, come ho provato a dimostrare analizzando alcuni aspetti delle politiche economiche del governo Meloni. Concludendo, la lotta politica per il lavoro e l’uguaglianza sociale deve essere riconoscibile e non mescolata con altre battaglie politiche.