Uno sport di moda nella politica italiana di sinistra, in queste ultime settimane, è sparare addosso a Elly Schlein incolpandola di parlare una lingua incomprensibile al popolo. La pistola più recente è quella di Adriano Sofri che, nell’articolo “La lingua di Elly Schlein” apparso qualche giorno fa su Il Foglio, la accusa di non saper parlare come mangia. Capacità che avrebbero, invece, operai e lavoratori: loro sì che parlano come mangiano! Ma Sofri, come dicevo, è solo l’ultimo di una lunga serie.
A me in generale non piacciono i luoghi comuni, i proverbi, le frasi fatte, poiché tendono a semplificare la realtà che, invece, come sappiamo, è complessa e articolata. Proverò quindi qui ad approfondire come mai la segretaria del PD ha difficoltà, secondo i suddetti intellettuali di sinistra, a farsi capire. Per farlo, innanzitutto, mi avvalgo di una bella poesia (datata anni ’70) dell’iraniano Ahmad Shāmlu:
E fu così
che pure il vocabolario
venne consegnato ai censori
affinché ogni parola sensata
fosse incatenata
per lasciare ai poeti
parole senza valore.
E le parole
si sono divise
tra colpevoli e innocenti,
libere e insignificanti
politiche e insignificanti
simboliche e insignificanti
inammissibili e insignificanti.
Il nitore dei versi è straordinario. Sembrano scritti per l’intero Occidente nel quale viviamo. A chi sa leggere, mostrano come Schlein non solo non sia capace di farsi capire, ma soprattutto non possa esprimere alcun pensiero. Detto in modo lapidario, la segretaria può esprimere solamente il vuoto di contenuti rivelato da parole insignificanti, le uniche ammesse dalla censura. Può esprimere il vuoto di sentimenti veicolato dalle parole innocentemente insignificanti che la censura ammette e premia.
Ma questo, si badi bene, non è problema solo interno alla sinistra. Poiché sarebbe un piccolo problema. È un problema che pervade tutte le nostre relazioni, il nostro stare insieme, la nostra possibilità di amare. Voglio dire che se la lingua, il codice, al quale dovremmo attingere emotivamente e creativamente per comunicare fra di noi, diventa una gimkana tra parole bandite, tra concetti inammissibili, pensieri esecrabili, nomi innominabili, in un percorso obbligato fatto di luoghi comuni, frasi fatte e citazioni da telegiornale, allora quella lingua non sarà altro che una piatta distesa di cenere spenta senza più neppure il ricordo del fuoco che bruciava un tempo.
Ecco perché, allora, Elly Schlein parla una lingua morta, che parla solo ai morti. Perché ha solo poche spente parole a disposizione: quelle permesse dalla censura. Registriamo però che i suddetti giornalisti, critici, politici e politologi, non si discostano neppure loro dal main stream con visto censura e usano le stesse sbiadite parole dei notiziari, dei talk-show, degli influencer, dei nani e delle ballerine che riempiono i palinsesti. Neppure loro, pertanto, sono esenti da quella impossibilità di elaborare e comunicare pensieri degni di tale nome.
Ma attenzione, è necessario un doveroso chiarimento: la censura iraniana degli anni ’70, della quale parla Shāmlu, era di tipo tradizionale repressivo; l’attuale censura vigente nel nostro Occidente è autoimposta in base a un’agenda morale aberrante follemente dominata da un mercato che fagocita tutto senza pietà.
In conclusione giova ribadire, ancora una volta, che il pericolo di parlare una lingua morta lo corriamo tutti se non ritroviamo il grido dell’anima, il fuoco che cova dentro, i lapilli di parole che donano scintille di senso e di speranza.
Fonte foto: La Repubblica (da Google)