In nome di quali interessi va operando il sindacato rappresentativo?
Ogni delegato sindacale, ma anche semplici lavoratori, dovrebbero leggere gli atti di indirizzo governativi sui contratti nazionali, se lo facessero probabilmente non sarebbero in messianica attesa della sottoscrizione di testi che non risponderanno mai, economicamente e normativamente, alle aspettative della forza lavoro ma perfino ai reali fabbisogni degli Enti.
Di solito la Ragioneria dello Stato assegna un budget per i rinnovi contrattuali dei 4 comparti calcolando il costo della vita sul codice Ipca, poi arrivano gli atti di Indirizzo e inizia la fase contrattuale che si conclude con anni di ritardo rispetto alle scadenze previste, anni compensati con una dozzina di euro al mese in virtu’ di accordi sindacali mai rimessi in discussione.
Gli atti di indirizzo sono assai lontani dalle piattaforme rivendicative, farlocche per altro, sulle quali vengono chiamati ad esprimersi i lavoratori, un mandato formale a trattative che solitamente verteranno su ben altre questioni.
In sostanza siamo davanti a una democrazia fittizia, i testi contrattuali definitivi sono assai diversi dalle piattaforme sulle quali è stato ottenuto il presunto mandato alla contrattazione, se cerchiamo pratiche di democrazia reale non le troveremo certo nel sindacato confederale e men che mai nella Pubblica amministrazione.
Prendiamo ad esempio l’atto di indirizzo per i contratti degli enti locali, sono anni che la forza lavoro rivendica potere contrattuale maggiore e gli stessi sindacati firmatari si sarebbero detti, a parole, concordi, se non fosse che sono già seduti ai tavoli senza far parola dei contenuti dell’atto stesso.
Citiamo testualmente
Si conferma l’attuale struttura della contrattazione integrativa disciplinata dal titolo II del CCNL del comparto delle Funzioni Locali del 16 novembre 2022.
Pertanto, sono sottratte alla contrattazione integrativa le materie relative alle determinazioni per l’organizzazione degli uffici, le misure inerenti alla gestione del lavoro, l’articolazione dell’orario di lavoro, comprese turnazione e reperibilità, l’organizzazione del lavoro nell’ambito degli uffici, i sistemi di valutazione, i poteri di delega dirigenziale, il sistema della formazione per tutti gli aspetti non direttamente connessi al rapporto di lavoro, gli aspetti organizzativi del lavoro e la destinazione delle risorse del salario accessorio connesse agli istituti di cui sopra.
La contrattazione collettiva nazionale disciplinerà le modalità di articolazione delle sessioni negoziali di contrattazione integrativa, prevedendo che le stesse si svolgono in modo unitario, evitando la frammentazione degli accordi.
Per chi non fosse avvezzo al linguaggio sindacale è bene sapere che la gestione del lavoro, degli uffici e dei servizi, le turnazioni, le valutazioni, la formazione, la gestione quotidiana del personale sono fuori da ogni contrattazione. E non ci pare di avere visto in giro proteste dei sindacati firmatari di contratto, per rispettare almeno la richiesta dei loro iscritti, contro queste linee guida che condannano il sindacato negli Enti locali a compiti ragionieristici, di co-gestore del welfare aziendale.
In sostanza l’atto conferma l’attuale impianto dei profili professionali già cambiati con l’ultimo CCNL e a favore solo della parte datoriale, del resto le cosiddette semplificazioni si traducono spesso in danni per la forza lavoro; prendiamo quindi atto del linguaggio ormai trasversale al mondo sindacale e datoriale per non farci trarre in inganno.
L’impianto dei contratti continuerà ad essere divisivo con parti, e relative indennità, riservate ad alcuni ruoli e non ad altri ma neppure l’esperienza del presente indurrebbe la parte sindacale a modificare il proprio atteggiamento passivo davanti all’Aran.
E’ il caso delle progressioni verticali in deroga che demandano alla contrattazione di secondo livello il compito di attuare appositi regolamenti che poi sono in realtà atti impositivi della parte datoriale essendoci solo il confronto tra Ente e sindacati. Le progressioni verticali in deroga sono un campo di prova di come si possa scrivere un contratto nazionale in maniera sibillina per lasciare poi ampi, eccessivi, spazi discrezionali alla parte datoriale ma anche uno strumento profondamente divisivo tra il personale. Pensate per le educatrici, molte delle quali senza laurea ma transitate nella fascia dove la laurea è requisito di accesso, le progressioni verticali in deroga vengono utilizzate erga omnes nei limiti di una spesa per altro assai contenuta.
L’atto di indirizzo torna sull’argomento senza per altro chiarire se l’anzianità di servizio è riferita all’area e al profilo, o senza escludere prove selettive concorsuali con tanto di colloquio che solitamente sono presenti invece per l’accesso ordinario ai posti di lavoro, ossia dall’esterno con tradizionale concorso. Insomma la confusione regna sovrana e si persevera nell’errore.
Sezione personale educativo e scolastico Il Comitato di settore esprime l’indirizzo di prorogare la facoltà di effettuare le progressioni previste dall’art. 13, comma 6, del CCNL 2019/2021, per il personale educativo, docente ed insegnante fino al 31/12/2026.
Il nuovo contratto consentirà altresì la possibilità di inquadrare in uno specifico profilo temporaneo nell’ambito dell’Area degli istruttori, il personale educativo privo del titolo di studio richiesto per l’inquadramento nell’Area dei funzionari e delle elevate qualificazioni.
Chiudiamo sullo straordinario e sul welfare aziendale
Se negli ultimi 5\6 anni gli Enti locali hanno perso mediamente 10 mila unità all’anno, se oggi diventa un miracolo raggiungere gli obiettivi del Pnrr, la soluzione dovrebbe essere quella di favorire le assunzioni anche in deroga ai tetti di spesa in materia di personale.
Ma non sia mai che i dettami europei dell’austerità siano messi in discussione, quindi arriva una accomodante spiegazione del calo di personale, ossia per la scarsa attrattività degli Enti locali.
Ci sentiamo derisi davanti ai giochi di parole, nei 4 comparti esistono differenze stipendiali marcate e prive di ogni logica, eppure il sindacato rappresentativo non ha mai pensato a riequilibrare l’andamento salariale.
Invece di assumere personale stanno pensando ad incrementare il fondo degli straordinari e non ci meraviglieremmo se arrivassero ore obbligatorie oltre le 36 ore settimanali non retribuite ma a recupero.
Infine il welfare aziendale: siamo ancora convinti di sopperire al crollo del potere di acquisto con benefit e bonus? Il sindacato, trasformatosi in piazzista dei fondi pensione o della sanità integrativa, diventa forse interlocutore credibile quando ci sarà da difendere il welfare universale?
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