L’avvicinarsi del 25 novembre, Giornata
mondiale per l’eradicazione della violenza sulle donne, come al solito
invade il sistema mediatico celebrando i riti di quella che è ormai una
religione, il femminismo: proprio qualche giorno fa è stata lanciata in grande
pompa la Fondazione Cecchettin con tanto di elogi, ex campionesse al seguito in
cerca di visibilità mediatica e qualche sballata polemica sul solito patriarcato.
Peraltro polemiche stupide perché se è vero che la frazione di omicidi del
partner dovuti ad immigrati è in genere una percentuale maggiore rispetto a
quella della popolazione generale, è anche vero che il numero di immigrati
clandestini autori di questi omicidi è risibile se non nullo, si tratta in
genere di immigrati regolari o stranieri che hanno ormai acquisito la
cittadinanza italiana e in qualche caso persino di stranieri di seconda
generazione.
L’enorme bolla nei media che circonda
il tema della violenza di genere, termine sotto il quale si intende di fatto
solo la violenza sulle donne (eccezionalmente sui gruppi LGBT+) rende assai
difficile analizzare altre diverse forme di violenza, in particolare la
violenza sugli uomini. Ogni volta che si prova a parlare di questo argomento si
è quasi immediatamente vittima di interrogazioni, querele e in generale
fraintendimenti come se si volesse negare l’esistenza dell’unica forma di
violenza di cui parlano i giornali mainstream ovvero quella sulle donne.
Appunto il caso
Cecchettin/Turetta è emblematico: l’anno scorso non è bastato un mese di cancan
mediatico, di celebrazioni di Stato, di tornare a parlare di patriarcato
(con tutto che il termine ormai è stato indicato come obsoleto da molti
autorevoli commentatori come Massimo Cacciari o Luciano Canfora, non certo di
destra), persino adesso che nel processo iniziato a Venezia le stesse parti
hanno chiesto di non farne un (secondo) processo mediatico (tanto Gino
Cecchettin che Filippo Turetta non partecipano quasi mai alle udienze) le
associazioni femministe si sono dette scioccate dal fatto che il tribunale
abbia rifiutato la loro costituzione di parte civile, cosa che evidentemente
aveva il solo scopo di riportare il caso agli onori della cronaca potendo
disporre di un ampio palcoscenico al quale, nelle arringhe di parte civile,
sicuramente ci sarebbe stata l’attenzione mediatica che da sempre il mainstream
riconosce a questi casi (e se pure non ci fosse stato l’articolo dei giornali
‘amici’ certamente associazioni come Di.Re. o Differenza Donna avrebbero
diffuso i loro comunicati come fossero il Ministero della Verità).
Tutto questo non esiste
praticamente mai negli altri casi, anche nei numerosi casi di violenza contro
bambini fino all’infanticidio, o sugli anziani, non vi è mai stato un allarme
sociale sobillato dai media talmente grande da far gridare all’emergenza.
Eppure nel corso di un anno questi casi esistono eccome e non sono neanche
tanto marginali come si vorrebbe far credere. Vi è una costante tendenza
all’assoluzione mediatica delle donne autrici di episodi di violenza perché o vittime
del sistema patriarcale o mentalmente malate (questo anche nei casi
più efferati come il caso Pifferi). Lo stesso non accade nei
corrispettivi maschili. Si dovrebbe ricordare che è stimato al 1,5% della
popolazione il numero di persone che hanno disturbi mentali gravi (considerando
solo quelli presi in carico dal SSN, ma ci sarebbero due milioni di persone
malate non in cura) e al 12% quello di depressi (di cui un terzo, due milioni e
mezzo di persone, assume psicofarmaci) [1].
Ci si chiede, al di là dei
moventi economici o, a volte, familiari o culturali (come il caso di Saman
Abbas, l’unico caso che risponde realmente all’assassinio di una donna in
quanto donna commesso da immigrati pakistani regolari), se il basso numero
(perché tale è, anche rispetto ad altri paesi) di omicidi del partner
[2] non rientri semplicemente in queste casistiche. Sì tratta certo in molti
casi di disturbi lievi, tipico esempio le personalità borderline o
narcisistiche, per cui non esiste dubbio sulla responsabilità dell’atto, ma che
vi sia uno scollamento tra realtà e immaginazione in molti casi è palese
(lo stesso drammatico caso di Turetta ha degli aspetti patologici: come
poteva costui auto-convincersi che la ragazza sarebbe tornata con lui
blandendola o minacciandola? La realtà era completamente deformata nella sua
mente). Il fallimento di queste persone, perché si tratta di un fallimento
personale prima e sociale poi, è dovuto anche al naufragio dei rapporti
familiari, alla competizione che ci impone il nostro modello di società, ma
questo sarebbe un discorso lungo e non ha nulla a che fare con presunti
‘patriarcati’ passati o presenti.
E’ evidente da queste premesse come
la questione della violenza sugli uomini sia del tutto trascurata o
semplicemente considerata inesistente e quindi negata. A questo riguardo ci
sono alcune cose che però andrebbero ricordate (per l’ennesima volta si
dovrebbe dire):
- la tendenza maschile alla sopportazione e al
sacrificio: a volte l’uomo non si rende nemmeno conto di subire violenza.
Quando uscirono le prime indagini sulla violenza sulle donne (2006) faceva
particolarmente ridere l’affermazione che nella sezione della violenza
psicologica fosse riportata la domanda se ti avesse mai criticato nel modo
di vestire, un argomento che credo il novanta per cento degli uomini deve
aver subito dalla propria partner; questa tendenza è la principale fonte di
autocensura già di per se, quando poi essa viene a manifestarsi nel clima
attuale in cui si parla esclusivamente di violenza sulle donne essa
diventa ancora più stringente;
- L’autocensura ha come conseguenza la scarsa
propensione alla querela, o persino al farsi redigere un banale referto in
ospedale nel caso di violenze fisiche; peraltro, le forze dell’ordine tendono a
scoraggiare un po’ tutti, ma in particolare gli uomini, dal fare denunce quando
si è subito violenza da una donna; mentre alle donne è sufficiente andare a
fare una denuncia per essere immediatamente accolte e anche indirizzate ad uno
dei numerosi CAV per donne (mentre sono pochissimi quelli dedicati o che
accolgono anche uomini, se anche il numero 1522 dovesse trattare anche
“uomini”, cosa di cui dubitiamo, ad ogni modo non esiste una rete sul
territorio comparabile a quella che hanno le donne [3]);
- la marginalità delle fonti: da tempo gli esperti
che raccolgono dati si trovano a dover cercare nelle cronache minori di testate
locali o trafiletti nelle pagine interne dei giornali mainstream, perché
persino gli omicidi di uomini da parte di donne hanno un’attenzione mediatica
minima (oltre ad avere sistematicamente condanne più lievi dei corrispettivi
maschili). Non esistono ricerche ISTAT ufficiali sulla violenza sugli uomini in
Italia (mentre all’estero vi è una abbondante bibliografia su questo
argomento), l’unica ricerca condotta dall’Università di Siena del 2012 è stata
fatta come progetto pilota e riguardava nella sostanza la dimostrazione di come
(ma dalle indagini svolte all’estero questo era scontato) vi sia una larga
diffusione della violenza sugli uomini per un numero di soggetti dello stesso
ordine di grandezza delle coeve ricerche sulle donne [4];
- alle difficoltà suddette si deve aggiungere che
moltissime denunce da parte di donne sono archiviate: l’ordine di grandezza non
è chiaro perché il sistema giudiziario italiano è troppo lento per cui spesso
le archiviazioni avvengono anni dopo i fatti riportati, per cui se sappiamo il
numero di denunce dell’anno scorso, non sappiamo quante ne saranno archiviate
nei prossimi anni, mentre conosciamo il numero delle condanne che è sempre
dell’ordine del 10% del numero delle denunce, ma riguarda più anni. Le
associazioni femministe sostengono che molte denunce sono archiviate per
mancanze del sistema e arretratezza dei giudici (patriarcali
probabilmente, anche le magistrate protagoniste di molte archiviazioni passate
e recenti come quelle del caso della Fortezza Da Basso o della dr.ssa
Bonaventura). Ma a leggere molte archiviazioni veramente non si capisce come si
sia arrivati al rinvio a giudizio sulla base di elementi puramente indiziari e
mal fondati. Un caso esemplare è quello dell’ex calciatore Gianluca Sordo che
solo recentemente ha avuto giustizia dopo aver subito un allucinante processo
da parte dei media [5]. Si tratta ovviamente anche in questo caso di quelle che
vengono convenzionalmente chiamate false accuse, ma che sono a tutti gli
effetti una forma di violenza (se questo non vi piace è conseguenza del fatto
che il femminismo ha elevato a violenza qualsiasi cosa anche l’insulto o
la calunnia);
- c’è una forma ancora più sottile di violenza
verso gli uomini che colpisce molti padri nel corso della separazione: quella
di tentare di staccare ad ogni costo, ricorrendo anche alle false accuse
di violenza sfruttando la lentezza del processo penale, i padri dai figli;
basta molto poco ai magistrati, una semplice denuncia penale, per imporre
all’uomo incontri protetti, che spesso per l’incapacità dei servizi sociali,
avrà anche difficoltà ad ottenere. E’ l’eterno ritorno della maternal
preference, Una tara del sistema Italia, ora persino vergognosamente
smascherata da ricerche internazionali e di cui ho già parlato qui [6] e che in
casi estremi porta anche al tragico esito del suicidio [7].
[1] Disagio
psichico: in Italia 2 milioni di persone senza cura, Il Sole 24 Ore, 10
ottobre 2024;
Depressione:
colpiti 7,5 milioni di italiani. Il ruolo delle agenzie regolatorie, Aifa,
20 ottobre 2014.
[2] Utilizzo di proposito il
termine omicidio del partner al posto di femminicidio data la
definizione ambigua del secondo che confonde elementi sociologici con quelli
criminologici e non ha mai raggiunto una definizione precisa nel secondo ambito
specialmente. E’ bene ricordare che gli omicidi del partner sono circa 40-60
all’anno in Italia, con la seconda cifra che comprende il calcolo dei
cosiddetti omicidi-suicidi eutanasici (una decina l’anno) e
dell’omicidio di partner maschili che pure esistono in una frazione di circa
tra un terzo e un quinto di quelli femminili (essendo pochi le fluttuazioni
sono ancora più alte). L’utilizzo della categoria omicidi in famiglia
(70-80 all’anno) è fuorviante perché spesso questi omicidi sono causati da
moventi diversi soprattutto economici (tipico è l’omicidio dei genitori da figli
che vogliono ereditare i loro averi o ne hanno bisogno per procurarsi
sostanze). Un’analisi seria sugli omicidi di donne è riportata sul sito di Femminicidio Italia.
[3] Si possono contare sulla
punta delle dita le associazioni che attenzionano la violenza contro gli
uomini: Ankyra (Milano), Aprosir
(S. Benedetto del Tronto), CAsPer
(Genova), Lega Uomini Vittime di
Violenza (Roma), Perseo (Milano), a queste si può aggiungere la campagna
1523 dello studio legale Pisani di
Napoli.
[4] Indagine
conoscitiva sulla violenza verso il maschile , Rivista di Criminologia,
Vittimologia e Sicurezza – Vol. VI – N. 3 – Settembre-Dicembre 2012
[5] Gianluca
Sordo, fine del calvario: l’ex calciatore di serie A assolto, La Nazione,
26 settembre 2024.
[6] Regresso e
Femminismo, Giacomo Rotoli, L’Interferenza, 7 settembre 2024.
[7] Como, papà separato si toglie la vita. Quando l’istigazione al suicidio è un “delitto di stato”, Rita Fadda, Paese Roma, 13 novembre 2024.