La città senza case


L’Occidente green continua a costruire palazzi, borghi, strade e autostrade. Il cuore dell’Occidente e, in particolare italiano, non è un cuore di poeti, naviganti e mistici, ma è un cuore di cemento. Le città, malgrado il decremento della popolazione e la povertà diffusa, continuano ad estendersi e nel contempo ad essere sempre più “densamente popolate di cemento”. Il cuore di cemento è il comitato d’affari che imperterrito soffoca monumenti e paesaggi sotto il peso della mannaia del cemento. Le case non sono più  luoghi della progettualità nella quale si cresce e si impara, in modo imperfetto, il linguaggio della gratuità delle relazioni, esso sono un affare lucroso. La famiglia quale cellula della condivisione non è intaccata in astratto. Per affondare la famiglia si attacca il “senso della casa”. La casa non più luogo in cui le intenzionalità di coloro che ne condividono si armonizzano dialetticamente nella progettualità; la casa è un involucro senz’anima-senso. È aziendalizzata la sua gestione, essa è valutata solo nel suo valore monetario. Non ha più storie e ricordi da raccontarci.  La casa deve produrre quattrini con gli affitti brevi e con la sua conversione eneretica. I comuni perennemente in deficit largheggiano nelle concessioni edilizie, d’altra parte gli imprenditori del cemento sono sempre stati limitrofi alla politica. Le concessioni edilizie consumano territorio, assediano mortalmente i monumenti e nel contempo i comuni reperiscono dalle nuove costruzioni fondi per le casse sempre più vuote. La stratificazione del problema è multiforme: i nuovi ricchi investono in case green; i comuni si assicurano le entrate e nel medesino tempo, mentre il senso della città-casa decresce e scompare, sorgono nuovi quartieri senza alcuna “profondità architettonica”, si affastellano condomini che nel loro gigantismo non contemplano la relazione umana. Lo stile architettonico è espressione del senso di una comunità, al suo posto regna la dimenticanza dello stile. Contano solo le volumetrie.

Se si lasciano i salotti buoni del centro, dove la comunità è stata sostituita dai centri di consumo per danarosi, le città mostrano il degrado antropologico del capitalismo. Le periferie sono una scia di cemento, la cui bruttura è irreversibile. Vivere in tali spazi deforma le relazioni, la bruttura entra nella psiche e nel corpo vissuto che si adatta al contesto.

La casa è un affare, per cui non si costruisce per le famiglie o per i reali bisogni della popolazione, si investono le eccedenze finanziarie per vendere la casa-lusso, i compratori la acquisiscono  in attesa che il valore aumenti per rivenderla. La casa è solo un oggetto prezioso che deve fruttare; essa ha smesso di parlarci, non è più il luogo delle storie che si incontrano per stabilire il comune viaggio, deve rispondere alla legge marxiana del valore, ovvero deve produrre ricchezza. Tale ottica spinge a comprare e a cacciare gli affittuari, poiché si è alla ricerca di affittuari benestanti che possano pagare affitti tali da consentire il rientro nelle spese.

La casa è uno dei diritti fondamentali di un essere umano, senza di essa si sopravvive e ogni progetto è impensabile. Stipendi bassi, affitti impossibili, costi proibitivi per l’acquisto conducono alla decadenza di una civiltà incapace di guardare le tragedie etiche dell’economicismo demenziale ed esasperato.

Molti migranti si trascinano nelle città, mentre si costruisce per i ricchi, non vi è offesa alla dignità umana più evidente. Se non si ha denaro non si ha diritto ad un tetto stabile e si è costretti a vivere da randagi. I muratori e gli operai edili costruiscono ciò che non potranno mai comprare e spesso muoiono per il lusso altrui. Presto con gli stipendi bassi e le pensioni nulle larghe fasce della popolazione saranno spinte a vivere miseramente.

La città è il luogo nel quale due mondi convivono senza confrontarsi e senza parlarsi.  La divisione castale è ormai strutturale. La divisione diabolica del denaro rende muti coloro che sono costretti a vivere in modo giustapposto senza capirsi e senza guardarsi. Progettare in questo contesto è eroico. I sommovimenti  e le violenze che nelle periferie di non poche città europee potrebbero giungere fino a noi, sono il sintomo dell’umanità offesa e della progettualità negata a tanti. Un uomo senza casa e senza possibilità di progettare è umiliato nella sua natura, se fossimo capaci di leggere nei suoi occhi la nostra medesima umanità offesa, forse oggi non saremmo giunti a tale condizione. Il capitalismo ci ha tolto lo sguardo per capire e sentire lo scandalo che l’altro invoca con la sua presenza. La prassi sarà possibile solo quando reimpareremo a guardare, solo quando non distoglieremo lo sguardo dinanzi alla crudele verità in cui siamo.

“La filosofia è il proprio tempo appreso nel pensiero”, affermava Hegel, non può esservi prassi senza pensare il nostro tempo, ma per pensare dobbiamo imparare a guardare. La città di cemento non ha case, è come dire che l’umanità è in estinzione, perché dove vi è umanità, vi è comunità. A questa offesa non dobbiamo reagire, ma “agire”, abbiamo il dovere etico  di riportare la gratuità del progetto e della comune resistenza dove impera lo sguardo degli esclusi. Bisogna denunciare la violenza che cannibalizza il territorio, bisogna avere il coraggio di dire che l’economia non distrugge, ma fonda “case” dove i bisogni umani sono soddisfatti. L’etimologia della parola economia ce lo suggerisce: “amministrazione della casa”.

Più umanità dobbiamo opporre  alla disumanità che gradualmente ci conduce verso l’abisso: nessuno si salverà da solo.

Fonte foto: Corriere Milano (da Google)

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