Sorprende che un (geniale) film come “Travolti da un insolito destino in un azzurro madre d’agosto” scritto e diretto dalla bravissima Lina Wertmuller, non sia incappato nella censura o nella scomunica postuma da parte del Tribunale dell’Inquisizione Neoliberale e Politicamente Corretta che da diversi decenni decide cosa sia giusto e cosa sbagliato.
Il film è del 1974, il femminismo era già esploso ma non aveva ancora occupato la “psico-eto-sfera”, cioè lo spazio simbolico (o “immaginario comune”) dove si decide (o meglio, è stato già deciso) cosa sia bene e cosa sia male, e non aveva ancora completamente colonizzato il sistema mediatico.
Forse è anche per questo – oltre che per la grande popolarità della regista (la Wertmuller tutto era tranne che una reazionaria, bacchettona, vetero borghese e misogina) e dei protagonisti, gli straordinari Mariangela Melato e Giancarlo Giannini – che un film che obiettivamente scardinava alla radice il postulato ideologico femminista non fu osteggiato né contestato. Oggi, diciamo pure da almeno tre decenni, si viene crocifissi per molto, molto meno, infinitamente meno.
La spiegazione di questo apparente paradosso è un’altra. Aprire, sia pure a livello culturale, una discussione su quel film significherebbe alzare inevitabilmente un polverone che potrebbe incrinare la narrazione femminista. A chi giova? Certo non a quest’ultima che ha il vento in poppa, tanto più che nessuno – tranne un pugno di audaci (e riconosciamocelo, dai…) – osa criticarla.
Il film – come molti sanno – narra la storia di una ricca signora borghese, spocchiosa e classista del nord Italia, la “bottana industriale” – cito testualmente dal film – e di un proletario meridionale, un lavoratore marittimo stagionale (ma altamente politicizzato e provvisto di una robusta coscienza di classe, del resto siamo negli anni ‘70), il sig. “Gennarino Carunchio”, che in seguito al naufragio dello yacht di proprietà di lei (o di suoi amici, non ricordo bene) e dove lui prestava servizio, finiscono su un’isola deserta.
In quel luogo sperduto il rapporto fra i due comincia gradualmente a cambiare fino a capovolgersi del tutto. La signora ricca non è più in grado di far valere la sua condizione sociale ed è costretta ad affidarsi all’abilità e alle capacità di adattamento del suo ex sottoposto – precedentemente trattato con disprezzo – per poter sopravvivere. Finirà per innamorarsi, corrisposta, del sig Carunchio il quale, nel frattempo, prima di innamorarsi a sua volta, le elencherà anche con una certa durezza (che ci sta tutta…) tutte le nefandezze commesse dalla classe borghese e capitalista ai danni delle classi proletarie e popolari.
Ma il sogno di poter vivere una storia d’amore e una esistenza in una situazione di totale autenticità, liberi da tutti i condizionamenti sociali e culturali, svanisce ben presto. Una volta “salvati” i due rientrano nella loro rispettive condizioni sociali; lei alla sua vita di ricca signora borghese sposata con un industriale e lui alla sua di proletario, marittimo e precario, padre di famiglia e sposato con un’altra poveraccia come lui. La loro storia d’amore, e con quella l’incantesimo vissuto per qualche tempo, finisce lì.
Nel film non c’è nessun cedimento all’ideologia femminista e politically correct, al contrario le simpatie della regista vanno indubitabilmente al proletario, al “sig. Carunchio”, senza se e senza ma. Il finale amaro – il rientro di ciascuno alle proprie rispettive esistenze – lo conferma, se ce ne fosse bisogno.
Lina Wertmuller ha realizzato tanti altri bei film, a cominciare dal mitico “Mimì metallurgico ferito nell’onore”, ma non c’è dubbio, per lo meno per quanto mi riguarda, che “Travolti da un insolito destino…” sia quello più di “rottura” insieme, forse, a “Pasqualino settebellezze”. Ma anche quest’ultimo meriterebbe una riflessione a parte.
Buon viaggio, Lina, che la terra ti sia lieve. Te lo sei meritato.
Fonte foto: da Google)