Israele-Palestina. Cerchiamo di ragionare un pò

Vorrei provare ad abbozzare un’analisi squisitamente politica sulla situazione attuale del conflitto israelo-palestinese, lasciando fuori  le sensibilità ferite e lo sgomento da parte di tutti noi rispetto a quanto accaduto e sta accadendo, anche perché l’emotività non aiuta a comprendere lucidamente la realtà, soprattutto quella geopolitica.

Da più parti sento dire, in alcuni casi anche in buona fede, sia chiaro, che l’attacco terroristico di Hamas, oltre a provocare la rappresaglia altrettanto se non ancora più terroristica di Israele (non mi interessa, in questa sede, mettermi a fare la conta delle vittime e delle atrocità commesse da entrambe le parti, anche perché se questo fosse il parametro la discussione sarebbe già chiusa dal momento che fin dal 1948 per ogni israeliano ucciso ci sono circa quindici palestinesi uccisi), avrebbe allontanato la prospettiva  di una soluzione politica e la creazione di uno stato palestinese.

Non sono per nulla d’accordo con questa posizione. Sapendo di dire una cosa che sconcerterà moltissimi, penso che l’attacco militare di Hamas sul territorio israeliano abbia invece relativamente avvicinato o comunque favorito il processo per una possibile soluzione politica della questione, naturalmente con tempi comunque molto lunghi che non sono in grado di stabilire. Perché? Per una serie di ragioni, tutte egualmente importanti.

La prima, ma non in ordine di importanza.

Israele ha subìto uno storico smacco. Mai era stata attaccata in questo modo sul suo territorio e mai i suoi cittadini hanno avuto la sensazione di essere anch’essi così vulnerabili. Israele stravinse la guerra del ’67 e resse disinvoltamente l’urto di quella del ’73. Certo, perse degli uomini, ma erano solo militari, i civili non ne ebbero nessuna percezione diretta, a parte i parenti dei soldati caduti in combattimento. La guerra era un fatto comunque lontano, anche se geograficamente vicina. Da allora l’esercito israeliano è stato di fatto impegnato come un gigantesco corpo di polizia finalizzato alla repressione del popolo palestinese e delle sue organizzazioni. Questo lo ha a mio parere indebolito, diciamo che si è un po’ adagiato sugli allori, per usare una metafora. Aggiungiamo a ciò la sottovalutazione, squisitamente razzista – tipica non solo di Israele ma un po’ di tutto il mondo occidentale – del nemico, giudicato incapace di mettere in pericolo più di tanto la struttura militare, logistica e tecnologica israeliana. Il risultato è che oggi, dopo aver subìto un attacco di quelle proporzioni, il cittadino medio israeliano ha perso la sua sicurezza, e la fiducia nelle istituzioni politiche e militari comincia a traballare. Israele non è più inattaccabile e forse non è neanche più invincibile, come si credeva. Soprattutto per le generazioni cresciute dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso ad oggi – cioè ormai la grande maggioranza della popolazione israeliana – questo è un fatto psicologicamente destabilizzante.

Ora Israele si trova in una posizione di debolezza che non ha mai vissuto in tutta la sua storia. Al momento non è dato sapere quando e se ci sarà l’operazione di terra, ma al di là di questo Israele sa perfettamente che non sarà in grado di distruggere la struttura militare e politica di Hamas, che peraltro è diffusa e radicata in tante altre realtà  e paesi dell’area mediorientale. Ma sa che non riuscirà ad eradicarla neppure a Gaza dove gli uomini di Hamas negli ultimi quindici anni, dall’operazione “Piombo fuso” in poi (effettuata dall’esercito israeliano che in quell’occasione uccise circa 2.000 palestinesi per lo più civili), si sono ben trincerati, costruendo una fitta rete di tunnel e gallerie sotterranee che i bombardamenti aerei non possono neanche scalfire. Ma entrare a Gaza in forze significa ingaggiare uno scontro ferocissimo e sanguinosissimo che non solo comporterebbe forse la perdita di migliaia di vite israeliane oltre che palestinesi ma provocherebbe una serie di reazioni di vario genere in tutta l’area mediorientale e in tutto il mondo arabo e musulmano che non siamo in grado di prevedere e che possiamo solo ipotizzare. Un effetto domino che né Israele nè gli USA, in questo momento, sarebbero in grado di gestire.

Appare dunque chiaro che la risposta feroce di Tel Aviv in questi giorni ha un carattere puramente mediatico-propagandistico – soprattutto per l’ opinione pubblica interna – ma nasconde una sostanziale impotenza, un senso di frustrazione che ovviamente trova sfogo nei bombardamenti indiscriminati sulla popolazione civile che non hanno nessuna rilevanza sul piano militare. Una impotenza che Israele non ha mai conosciuto fino ad ora, data anche dal fatto che potrebbe un domani sedersi al tavolo delle trattative ma non da una posizione di forza, non essendo riuscita ad ottenere un risultato concreto, quindi una vittoria, sul piano militare.

La seconda.

Hamas ha avuto la possibilità di passare all’offensiva per la prima volta nella storia dell’occupazione della Palestina, e di sferrare un attacco così potente e violento perchè il contesto geopolitico mondiale – e di conseguenza anche quello dell’area mediorientale – è mutato profondamente negli ultimi vent’anni. L’alleanza che si è andata formando tra la Cina, cioè la più grande potenza economica, commerciale e tecnologica del mondo (ma non ancora militare), la Russia, tuttora una grande potenza militare e tecnologica e l’Iran, una potenza regionale non indifferente, ha sparigliato le carte un po’ in tutto il mondo. Paesi che fino a poco tempo fa erano inequivocabilmente nell’orbita se non sotto il dominio occidentale e angloamericano cominciano a tentennare, ad occhieggiare al nuovo blocco a trazione euroasiatica che si è formato, pur con tutte le sue contraddizioni. L’ultima riunione dei BRICS lo conferma. Non solo. La Cina è riuscita in un capolavoro diplomatico, quello di avvicinare i due storici nemici, Iran e Arabia Saudita, con tutto quello che ciò comporta per gli equilibri mediorientali. La Turchia di Erdogan, uno stato membro della NATO ma che da sempre gioca spregiudicatamente su più tavoli perché animato da ambizioni egemoniche nell’area, è sempre meno disposto ad obbedire ai diktat degli USA. La Cina stessa, da sempre tradizionalmente isolazionista, sempre estremamente cauta ed equilibrata in politica estera e attenta a non andare sopra le righe, si è pronunciata apertamente in favore dei palestinesi e di una soluzione politica che non può che prevedere la creazione di uno stato palestinese. Mai nella storia era avvenuta una simile comunità di intenti e di reazioni rispetto alla questione israelo-palestinese. La Cina ha ormai da tempo interessi molto forti nell’Asia centrale (dove passa la Via della Seta) e anche nel Medioriente, un crocevia necessario per il commercio con l’Europa. Ma questo vale anche per quei paesi dell’area mediorientale che da tempo hanno rapporti economici e commerciali con la Cina. Su un altro piano, la Russia e l’Iran (e anche il libanese Hezbollah) sono stati determinanti sul campo per sconfiggere l’ISIS, creatura dell’Arabia saudita (e della CIA) e impedire il rovesciamento della Siria di Assad (un vero e proprio colpo alla strategia americana di destabilizzazione del Vicino Oriente). Questo ha determinato un aumento dell’influenza della Russia nell’area, un’influenza che non ha mai avuto neanche, direi men che meno, ai tempi dell’URSS.  E ancora. Il Qatar è alleato degli Stati Uniti (che hanno una base militare sul suo territorio) ma è anche uno dei principali finanziatori di Hamas. Una bella contraddizione, apparentemente, ma siamo abituati a questi paradossi quando si parla di Medioriente.  Anche il Qatar vuole giocare la sua partita? E’ molto probabile, come del resto la giocò l’Arabia Saudita utilizzando l’ISIS in funzione antisiriana (quindi in alleanza con USA e Israele) ma anche come strumento di ricatto sugli stessi Stati Uniti, come era stato prima anche con Al Qaeda.

Tutto ciò ha creato una situazione diversa che vede Israele in una posizione di maggior debolezza, e ha indirettamente aiutato Hamas. Intendiamoci – lo dico per i soliti buontemponi – non sto certo dicendo che la Cina e la Russia sono le cabine di regia dell’offensiva di Hamas. Sto dicendo che il mutato contesto geopolitico mondiale ha creato le condizioni affinchè Hamas potesse progettare e mettere in pratica il suo piano. Fino ad una ventina di anni fa le sarebbe stato impossibile, così come, mutatis mutandis e cambiando completamente quadrante, non sarebbe stato possibile ad un paese come il Niger di prendere a calci nel sedere la Francia.

In altre parole, gli USA e Israele non sono più i dominatori assoluti della scena mediorientale come era fino ad una quindicina di anni fa, per ragioni oggettive, e ne sono consapevoli. Per questo, in estrema sintesi, la decisione di Hamas di assumere l’iniziativa militare e di attaccare, potrebbe in linea teorica avvicinare una soluzione politica che preveda uno stato palestinese.  La politica, e la politica internazionale ancor di più, è una questione di rapporti di forza, non di buone intenzioni. Sono settant’anni che si parla di stato palestinese, che si ripete stancamente la liturgia dei “due popoli, due stati”, ma sono e restano, appunto, mere liturgie. Non sono ovviamente in grado di dire se e quando una soluzione politica in tal senso si materializzerà ma una cosa è certa, e cioè che da un punto di vista squisitamente politico, l’attacco di Hamas è stato un successo innanzitutto politico prima ancora che militare.

Nasser al-Qudwa e il futuro della Palestina - La Zanzara

8 commenti per “Israele-Palestina. Cerchiamo di ragionare un pò

  1. Giovanni
    20 Ottobre 2023 at 17:40

    In uno scenario simile è fondamentale anche l’importanza geopolitica dei mari, dove transita il 90% delle merci – e nei cui fondali passano i cavi per internet o i gasdotti – e l’importanza del Mediterraneo, dove sono vivi i rapporti non solo tra Nord e Sud, ma anche tra Est ed Ovest, con l’Italia al centro, più isola che penisola a causa delle lunghe coste e delle Alpi, incapace di assumere un ruolo di guida e di mediazione di questo spazio, specie nel controllo dei mari.
    A proposito: noi in Italia abbiamo di che piangere. Il tanto bistrattato Craxi portò avanti una politica estera pro Palestina, fatta per proteggere l’Italia, bersaglio molto vicino e decisamente esposto al terrorismo palestinese. Una solta di salvacondotto reciproco. La sua linea è affossata ancora una volta per lo schierarsi del nostro governo con Israele.
    Oggi i tempi sono maturi affinché la figura del leader Psi sia sottoposta ad un revisionismo intelligente.
    Penso sempre al discorso che Craxi tenne il 6 novembre 1985 alla Camera, con il quale rivendicò il diritto dei palestinesi a praticare la lotta armata. In aula si scatenò il partito americano: La Malfa s’innervosì, Filippo Berselli, missino divenuto poi senatore di An, cercò di interrompere Craxi; facce tese tra le file missine, in particolare Fini e Tremaglia.
    È interessante notare la metamorfosi di una certa destra missina, allora completamente schiacciata su posizioni pro-Usa e pro-Israele. Mi riferisco ad Alemanno, il quale ha detto che su Ustica la Nato impedisce di andare fino in fondo nella ricerca della verità. E sull’Ucraina, ha criticato l’alleanza con gli americani, definendola «un disastro per l’Italia e per tutta l’Europa».
    Come passa il tempo, caro Alemanno…
    Su Craxi sta per uscire un libro che parla anche di lui: The Masquerade, che ricostruisce il decennio 1970/1980; c’è la foto di Craxi in copertina. Sta per uscire: https://www.libreriarizzoli.it/The-masquerade-Da-Osvaldo-Maurizio-Fiorentini-Roberto-Valtolina/eai978888889150/

    Saluti,
    Giovanni.

  2. Giulio Bonali
    21 Ottobre 2023 at 8:51

    Ripensare criticamente e autocriticamente la storia (soprattutto recente) é sempre buona cosa
    Ovviamente evitando di cadere da un eccesso ingiustificato e scorretto all’ eccesso errato opposto.
    Questa mia considerazione vuole essere generale, non riferita in particolare a questo commento il quale ovviamente non può che accennare molto sommariamente e limitatamente ad un solo suo aspetto alla “questione Craxi”, se così la vogliamo chiamare. Sulla quale non posso non rammentare il nefando ruolo decisivo svolto dall’ ex-segretario del PSI nel disastroso passaggio dalla “prima repubblica”, sostanzialmente democratica e antifascista malgrado seri limiti e difetti e grazie anche alle lotte dell’ opposizione “socialista pre-craxiana” e comunista, alla “seconda repubblica”, cripto- (ma sempre meno…) -fascista ; soprattutto attraverso l’ illegale -e configurante un golpe, per lo meno in senso lato- violazione a vantaggio (nell’ immediato) di Berlusconi del fondamentale monopolio pubblico della televisione.

    • Giulio Bonali
      21 Ottobre 2023 at 8:54

      …E alla perorazione della “causa” della “governabilità”, funzionale alla successiva introduzione di leggi elettorali sempre più truffaldine e antidemocratiche.

    • Fabrizio Marchi
      21 Ottobre 2023 at 9:24

      Credo che hai sbagliato ad inserire questo commento nell’ambito di questo articolo ma va bene lo stesso… 🙂 Nella sostanza sono d’accordo con te, il mio articolo non voleva essere e non mi pare che sia un panegirico di Craxi. Ho premesso infatti che sono stato “un fiero avversario della sua politica”, anche per le ragioni che tu stesso hai sintetizzato. Ho soltanto detto che ha portato avanti una politica estera nel complesso condivisibile e anche coraggiosa e che rispetto ai nani di oggi è comunque un gigante. Ma quest’ultima è una considerazione che non ha nulla a che vedere con la sua politica e il suo pensiero politico. Anche Charles De Gaulle a mio parere era un gigante, soprattutto se lo paragoniamo al nano Macron e anche ad altri che lo hanno preceduto, ma questa considerazione non fa certo del sottoscritto un suo seguace…

      • Giulio Bonali
        21 Ottobre 2023 at 21:10

        Sono perfettamente d’ accordo, la mia critica era al primo commento di Giovanni (probabilmente ho sbagliato “cliccamento” col mouse; mi capita spesso).

  3. Enza
    21 Ottobre 2023 at 12:43

    Lucidissimo. Sono egemonie declinanti, mi riferisco ad Usa relativamente al suo ruolo mondiale, e ad Israele nell’area mediorientale.
    Le tue direi che sono più che ipotesi in quanto, ritengo, si invereranno. Come bene sottolinei, tempi e modi sono da vedere. Ma trattare per Israele è l’unica via d’uscita da una situazione non più sostenibile e, peraltro, con un multipolarismo non più ignorabile.
    Credo che vedremo ancora eventi bellici sparsi per le aree di maggiore interesse e calde, tristi contorsioni dell’animale morente.
    L’Europa è risucchiata nelle spire di questa morte, senza peso alcuno. Totalmente irrilevante, come già sappiamo, e in un vortice di autodistruzione.
    Complimenti sia per l’analisi che per la forma impeccabile.

  4. Gio
    21 Ottobre 2023 at 19:22

    Sono d’accordo che questi eventi possono rilanciare la prospettiva di uno Stato palestinese, anche se per eterogenesi dei fini, dato che non è questo l’obiettivo di Hamas che ha come scopo il Califfato.
    Il fallimento militare israeliano (tre soli battaglioni lasciati di fronte a Gaza, anche impreparati a un attacco perchè del tutto imprevisto) è il risultato del fallimento della strategia della destra nazionalista/religiosa guidata da Netanyahu.
    Che ha allevato Hamas, anche favorendo l’arrivo dei finanziamenti dal Qatar, in quanto contrario allo Stato palestinese (appoggiando al contempo la colonizzazione del West Bank) come risulta anche da un video di Netanyahu che illustra pubblicamente questa strategia, pubblicato dal sito di Haaretz. Questo fallimento rilancia la strategia dei due Stati per due popoli, sostenuta da Cina, Russia e ora anche dall’Occidente per mancanza di alternative.
    Hamas ha fatto finta di stare al gioco della destra nazionalista/religiosa, ha fatto accordi transfrontalieri di lavoro e servizi con Israele, e quando la frontiera è stata sguarnita ha colpito mettendo in conto anche la possibilità di una sua distruzione territoriale temporanea nella striscia di Gaza, ma appunto il suo obiettivo è il Califfato, non uno Stato palestinese.
    L’iran ha supportato militarmente e appoggiato politicamente l’operazione di Hamas per rompere un isolamento regionale al quale stava andando incontro, anche nel contesto dei noti problemi interni. Un accerchiamento che si stava definendo su tre lati.
    Da un lato con l’alleanza strategica tra Israele e gli Stati arabi sunniti che si sarebbe completata con l’accordo in dirittura di arrivo con l’Arabia Saudita, che evidentemente concepiva il riavvicinamento all’Iran solo come una mossa tattica.
    Da un altro lato con l’intesa Turchia-Azerbaijan, paese appoggiato anche da Israele e sobillatore della minoranza azera, la più grande dell’Iran.
    Chiudendo così il triangolo con il terzo lato del Pakistan, alleato strategico degli USA, che nel suo ruolo anti-iraniano non ha più neppure il problema di guardarsi le spalle dall’India che ha fatto la scelta della “Via delle Spezie” o “Via del Cotone” attraverso Emirati, Arabia Saudita e Israele, anche in competizione con la Via della Seta nell’ambito della sempre più accentuata strategia anti-cinese nel QUAD.
    Ma, dal punto di vista globale, la prospettiva cambia e questa operazione, se si allarga in una guerra più vasta, alla quale gli USA si stanno preparando spostando ingenti forze militari nell’area, può risultare molto pericolosa e molto utile nell’ottica di destabilizzazione americana per rovesciare o almeno frenare la tendenza al bipolarismo con la Cina, definita come “l’avversario globale” nei documenti strategici americani e anche della NATO.
    Questo bipolarismo globale è ancora “imperfetto” nel senso che è economico e geopolitico, ma non finanziario (per il dominio del dollaro, che con le monete ausiliarie copre il 97% delle riserve statali globali, yuan 3%) e soprattutto non strategico-militare perchè gli USA controllano con la propria marina militare tutti gli oceani, i mari e soprattutto gli stretti da cui passa il 90% del commercio globale.
    Dunque è un evidente errore spostare il confronto globale dalla favorevole tendenza economico-commerciale allo sfavorevole rapporto di forza strategico-militare attraverso l’aggiunta di una guerra medio-orientale alla guerra in corso in Ucraina.
    Per questo la Cina si sta adoperando, oltre che per giungere a un cessate il fuoco in Ucraina, anche per fermare l’estensione dello scontro Israele-Hamas da locale a regionale nel Medio Oriente cercando di convincere l’Iran che un ipotetica convenienza regionale (tutta da vedere, le guerre si sa come cominciano, non come continuano e finiscono) va messa in subordine rispetto alla chiara sconvenienza gobale.

    • gino
      25 Ottobre 2023 at 0:38

      cosa vuol dire controllare gli oceani e gli stretti? mi affondi le navi? e io ti affondo le portaerei coi missili ipersonici. il DF-26 ha una portata di 5000km

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