Integralismo di genere

L’integralismo di genere sta gradualmente rendendo la presenza del genere maschile presenza minore nella storia. Si sta gradualmente imponendo la storia unidirezionale di genere: la storia è ricostruita nella prospettiva delle sole donne con gli uomini nel ruolo dei sadici e dei violenti. Agli uomini si contrappone l’intelligenza divergente delle donne normalmente vittime del genere maschile. Si tratta di un dispositivo ideologico che si rappresenta come “inclusivo”. Per includere le donne e i gender bisogna “ridimensionare” il ruolo degli uomini e accompagnarli verso la pedagogia del silenzio. La società inclusiva, anzi super inclusiva, lavora per eliminare il colpevole di tutte le emarginazioni e i razzismi: il genere maschile.

La storia ufficiale è colpevole, secondo il sistema capitalistico, in quanto ha sottovalutato la storia delle donne.

La soluzione della storia mainstream è espellere la storia degli uomini sotto il peso di innumerevoli pubblicazioni per sostituirla con la storia delle donne. La visione d’insieme delle pubblicazioni e dei contenuti dimostrano che gli intellettuali all’ombra del potere lavorano e studiano per eliminare o rappresentare il maschile come il problema della storia umana. Si produce in tal modo una pletora di storie delle donne, dei bambini o degli schiavi i quali hanno un denominatore comune: la brutalità degli uomini. Nascere uomini in tale contesto significa nascere con un peccato originale di genere: il genere maschile. Siamo dinanzi ad una nuova religione, il peccato originale è nei geni, ogni maschio è il male che viene al mondo da rieducare con urgenza massima. La soluzione è il genere liquido, sostituire al genere maschile la liquidità dell’identità.

L’attacco è su più fronti, si destabilizza il genere maschile nel quotidiano con l’esaltazione del genere femminile e delle sue capacità manageriali, il maschio è invece insensibile e dotato di un’intelligenza ad una dimensione che compensa con tratti autoritari e aggressivi.

L’altro fronte di guerra è la storia riletta e scritta dalle vittime nelle quali gli uomini compaiono e appaiono nella loro storia effettiva costituita da violenza e omicidi.

 

Asservire per dominare

Il dispositivo ideologico semplicizza e sollecita alla rivolta e al disprezzo, lo scopo è asservire coloro che sono più facilmente adattabili al sistema: le donne, i bambini e gli adolescenti e le persone omosessuali.

Le donne liberate dai vincoli etici sono sollecitate ad imitare i modelli maschili anglosassoni e liberisti, bambini e adolescenti sono inclusi per essere educati alla competizione, le persone omosessuali sono esaltati per la loro creatività da includere e mettere al servizio del capitale. Sono usati all’occorrenza per educare alla sessualità deregolamentata quale strumento per l’educazione onnivora al consumo illimitato funzionale alla produzione. Tutti sono mezzi, non vi sono veri soggetti politici.

Si occulta e rimuove il dato comune del nuovo ordine inclusivo: la precarietà, il carrierismo spietato nell’ottica di un individualismo sterile nello spirito e nel corpo. Gli inclusi sono vittime del sistema, esattamente come gli uomini delle classi meno abbienti, ma la propaganda ideologica disegna faglie e fossati che neutralizzano l’azione politica, la quale dovrebbe essere collettiva.

Tutti precari, quindi, ecco che appare il capro espiatorio che spiega le cause del male sociale, politico ed economico: gli uomini. Alla lotta di classe si sostituisce la lotta di genere che consente al capitalismo manageriale di trionfare sulle vittime che in un gioco di abbagli e illusioni si rifugiano sotto il manto del carnefice, il quale offre loro l’uguaglianza nella forma della eguale possibilità di competere e sfruttare.

Sono illusioni,  i precari sono sfruttati e non hanno possibilità alcuna di ribaltare la loro condizione, in tale contingenza, in quanto sono resi poveri a livello materiale e spirituale: sono svuotati delle capacità critiche. Il dissenso e la reificazione sono ammantati con le menzogne dell’uguaglianza, della competizione e del merito.

Si forma un immenso gregge senza pastore che automaticamente prosegue la  corsa verso la macelleria sociale salmodiando le parole del potere. Il gregge ha nello sguardo i vip della politica e della ricchezza, ma non guardano la loro condizione.

La ricchezza e il dominio di pochi è ottenuta con la loro povertà materiale e politica. Il pensiero unico diventa il fondamento del gregge; la menzogna è diventata verità che tutto guida in una girandola di aziendalizzazione e privatizzazione della vita. La desertificazione delle prospettive produce plusvalore per pochi e barbarie per tutti. Regna il medesimo dello sfruttamento, ma non è riconosciuto, la forza sovrastrutturale del dominio utilizza i suoi oratores per insegnare agli inclusi che vivranno nel migliore dei mondi possibili.

La verità non la si può annegare, riemerge a tratti e ci viene incontro, ma necessita dell’apertura al dissenso per essere colta. La storia genocidaria del Novecento ci indica la verità: gli uomini sono stati le principali vittime del sistema concentrazionario. Gli uomini delle classi dominate sono stati eliminati con una violenza inaudita, in quanto possono organizzare la resistenza e possono agire in modo politico, a livello militare ed ideologico. Su questo trionfa il silenzio, si preferisce raccontare la storia come il susseguirsi di violenze al maschile, a prescindere dalla classe sociale, contro i più deboli:

“A  questo  proposito  va  però  rilevato  che  il dibattito  si  è  concentrato,  nel  corso  degli  ultimi  anni,  piuttosto  sul problema  del  gendercide,  a  partire  dalla  considerazione  che  il  mainstream tende  a  trascurare  la  violenza  sessuale  esercitata  non  solo  su  donne  ma  su uomini  e  bambini,  e  che  l’attenzione  rivolta  al  genocidal  rape  ha  finito  per far  dimenticare  che  le  vittime  prime dell’agire  genocidario  sono comunque  individui  di  sesso  maschile. Come  evidenziano  molti contributi  raccolti  da  Adam  Jones  nel  volume  Gendercide  and  Genocide (2004),  per  gendercide  s’intende  un  «gender-selective  mass  killing»,  che    nella  maggior  parte  dei  casi  ha  per  bersaglio soggetti  di  sesso  maschile  (e  si  parla  qui  pertanto  di  androcyde).  Si  deve però  convenire  con  Martin  Shaw  quando  osserva  che  è  più  sensato parlare,  a  proposito  di  queste  forme  di  «genderedviolence»,  di  «genderdimension  of  genocide»,  anziché  di  gendericidio  (se  non  si  vuole incorrere nella consueta inutile moltiplicazione degli enti)[1]”.

Al momento non vi è una storia delle violenze sessuali sugli uomini in quanto devono essere rappresentati come violentatori seriali esclusivi. Ancora una volta il semplicismo deve prendere il sopravvento sulla complessità che smaschera l’ordine del discorso imperante. La teologia del mercato produce le sue menzogne ideologiche di cui i subalterni sono vittime, è questa la tragedia presente. La cecità critica ed ideologica rafforza la logica dello sfruttamento con la complicità dei dominati. La verità c’è, la si può rimuovere, ma resta. Essa è la nostra speranza,  ma per giungere ad essa bisogna disintossicarsi dalle parole del capitalismo manageriale. Gli uomini e le donne, a prescindere dalle inclinazioni affettive devono ritrovare la loro verità di classe per rientrare nella storia, in questo momento, vinta dai dominatori.

 

[1] Pier Paolo Portinaro, L’imperativo di uccidere, Genocidio e democidio nella storia, Laterza, Bari, 2017, pag. 218

Al Dipartimento di Giurisprudenza un convegno contro la violenza sulle  donne - Foggia Reporter

Fonte foto: Foggia Reporter (da Google)

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