Alcuni giornali, tra i quali se non sbaglio La Repubblica”, annunciando il dato del PIL al -0,2 % titolano con un ossimoro “calo della crescita”.
Perché questo contorto gioco linguistico omette il termine più diretto e chiaro come “decrescita”? Forse perché come spiega bene qui – La decrescita non è un’alternativa – Pierlugi Fagan “La decrescita non è un’alternativa” ma un fatto, non è solo un’opzione per romantici “poverelli” ma è la “realtà attuale” della produzione e soprattutto del consumo. Per questo c’è affanno tra i chierici dei media a “non dire bene”, a farfugliare, così come tra i sacerdoti “economici”. Notate tra questi ultimi l’uso, in queste ore, di un’altra singolare espressione come “recessione tecnica”; che significa quest’aggettivazione (tecnica)?
Tutto nel loro mondo numerico-automatico dovrebbe essere tecnico: anche qui un gioco linguistico che, stricto sensu, starebbe per “recessione reale” (visto che tecnica = realtà) ma invece rinvia ad un’estensione “umanistica” insolita e sospetta per questi uomini rigorosi nei “dane’” e nei “libri contabili”. Come se non credessero più nella tecnica, nel “Santo PIL” – che ora mostra la faccia cattiva, tant’è che per rabbonirlo nel suo paniere vogliono pure metterci la misura della “prostituzione” e delle “attività illegali”, un po’ come quando capita di trovare tra gli ex voto al santo qualche richiamo fallico alla ritrovata gaiezza sessuale- e tornano a parlare “agli uomini di buona volontà”, cioè furbescamente rovesciano la frittata, della serie “siete voi che non consumate, noi 80 € ve li abbiamo dati”.
Uscendo dai giochetti, che oramai sono l’unica ragione sociale dei media, c’è chi sa, chi presume di sapere e chi vuole non sapere.
L’ultima categoria è il PD -più brandelli di ex sinistra che non ha alcun rilievo “teorico” ma ha l’unica funzione ideologica –come anche in altre fasi storiche- di confondere il popolo mobilitandolo su battaglie “distraenti” (Berlusconi, la rottamazione, i matrimoni gay, le giornate della memoria ecc.).
I presuntosi sono i “tecnici” che vogliono uscire dal loro ruolo “esecutivo” per decidere. Nel loro destino questa mossa non è prevista perché la loro funzione esistenziale è sorvegliare il “gestell” ( il dispositivo) e non pensarlo, “disporlo”. L’emblema “eterno” di questa “impossibilità” è la “maschera di carattere”, la faccia della Fornero: quella di un bambino che non trova più il suo giocattolo (dispositivo) e si sente perso. Ed infatti vagano, persi, questi “professori”, che come sapeva chiaramente Gramsci possono vivere solo nelle loro “torri d’avorio”.
Poi c’è chi sa e sono: chi ha tutto e chi non ha niente, signori e servi; non scomodo qui le classi marxiane connotate politicamente.
Il dominus sa che la produzione sta impallidendo, non è più profittevole della finanza, cioè della rendita. Il dominato sperimenta il declino (fine “assistenza”) e comincia pure a sentire la contromossa “post-democratica” e “post-disciplinare”, quella del biopotere (la precarietà che invade tutta la vita, la salute ridotta a merce, ecc.).
In uno scenario di decrescita ritorna la forza e l’arbitrio, la persuasione e la mobilitazione, che sovrastano discussione e ragionamento e democrazia partecipata.
Permane tuttavia il precedente enorme apparato di consumo che pare ora fuori tempo ma è l’unica modalità con la quale è stata organizzata la società dal capitale. Questo nell’occidente è il piano dell’ inevitabile confronto, ovvero di un potenziale conflitto tra capitale e lavoratori, dopo la scomparsa del lavoro.
Questo è l’aspetto davvero interessante: la lunga crisi sta producendo l’effetto di “pedagogica della catastrofe” di cui parla Latouche, in vari saggi. Si sviluppa un processo di “riantropologizzazione” di questo genere: la crisi materiale, di riduzione del reddito, spinge ai margini del meccanismo del consumo, ci si apparta, ci si ferma, alla compulsione del consumo si da la sosta dello sguardo alle risorse disponibili; il denaro si impreziosisce, si riapre lo spazio etico della scelta, dell’assegnare valore al denaro e non viceversa-> Tutto ciò viene inizialmente vissuto come una perdita ma poi iniziano ad arrivare nuovi stimoli “piacevoli”: forse senza auto si può vivere, forse si può camminare in città. Quegli stimoli sono il rafforzo, il “repetita” pedagogico. Ora le famiglie italiane sono il centro di questo processo risultando disponibili a “decrescere” e straordinariamente resistenti all’ultima frontiera “americanista” del consumo a debito; ciò per esempio è verificato anche dalla “lagna” sull’inefficacia “consumistica” degli 80 € .
E’ da ribadire come questo sia un processo “prepolitico”, cioè spontaneamente antropologico, presuppone solo una socialità primitiva, un nucleo di altri, di richiedenti responsabilità, che qui da noi è soprattutto la famiglia, ma inizia a costituire ostacoli, resistenza spontanea all’induzione al consumo che ha caratterizzato l’epoca industriale e il successo per il mestiere di tecnici, ora in affanno.