Premetto che per quanto mi riguarda cercare di impedire un raduno neonazista – ancor più se autorizzato da un governo (qualsiasi governo) – è un atto di disobbedienza civile legittimo, condivisibile e anche doveroso. Né più e né meno di come lo è scendere in piazza per manifestare il proprio dissenso contro il genocidio o la segregazione di un popolo o di una etnia, anche e soprattutto quando e se le autorità costituite di un paese democratico o sedicente tale, lo proibiscono. Disobbedire, in taluni casi, non indebolisce la democrazia, al contrario, la rafforza.
Ma questa è la mia personale opinione, me ne rendo ben conto, e ci sono molti che, legittimamente, la pensano in modo diverso dal sottoscritto e ritengono, ad esempio, che tutti debbano poter esprimere liberamente le proprie idee, anche quando sono palesemente in contrasto con i più elementari valori e principi di convivenza civile. Come ripeto, anche questa posizione è legittima e rispettabile, anche se non sono d’accordo perché per come la vedo io c’è un limite a tutto, anche alla decenza.
Fin qui la questione ideologica sulla quale ci si può naturalmente dividere. Veniamo ai fatti.
Ilaria Salis è in galera da un anno in un carcere di Budapest accusata di aver aggredito due militanti nazisti che si trovavano nella capitale ungherese per un raduno neonazista consentito dal governo che alcuni movimenti antinazifascisti volevano impedire.
La prima cosa da rilevare è che nonostante non ci sia ancora nessuna prova della sua colpevolezza e il processo debba ancora svolgersi, Ilaria Salis è in carcerazione preventiva da circa un anno. Per il suddetto reato rischia in teoria fino a 24 anni di carcere; le è stato proposto un patteggiamento a 11 anni che lei ha giustamente rifiutato.
Ammettendo anche la sua colpevolezza, mi chiedo: in un paese come l’Italia, così come in ogni altro paese europeo (e del mondo, ovviamente), quanti simili episodi – risse, aggressioni per futili motivi – avvengono ogni settimana se non ogni giorno? Decine? All’incirca. E’ bene sottolineare che stiamo parlando di un episodio dove le vittime (i due militanti neonazisti), che hanno riportato ferite guaribili in 5 e 8 giorni, non hanno neanche sporto denuncia alle autorità (è stato il video, infatti, a far emergere l’accaduto).
In Italia, per un reato di questo genere, è grasso che cola se si finisce davanti al Giudice di pace (ci vogliono almeno 15 giorni di prognosi per esser giudicati da un tribunale ordinario) e al massimo condannati a risarcire la vittima e a pagare le spese processuali.
Questa donna è in carcere da un anno, obiettivamente per un nonnulla, per lo meno rispetto all’entità della pena che ha già scontato e addirittura le hanno proposto un patteggiamento di 11 anni! Se tanto mi dà tanto, se questi sono i parametri del sistema giudiziario ungherese, mi chiedo per reati anche leggermente più gravi a quale pena si dovrebbe essere condannati. Neanche il Conte di Montecristo…
Ricordo che nel nostro paese personaggi come Pietro Maso, che premeditò l’omicidio dei suoi genitori per riscuoterne l’eredità, o Erika di Novi Ligure che assassinò sua madre con novanta coltellate, erano entrambi liberi dopo, rispettivamente, 16 e 9 anni di carcere (la seconda li scontò quasi tutti in una comunità). “Bravi ragazzi” come Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, al netto della strage di Bologna (per la quale sono stati condannati e per la quale si sono sempre dichiarati innocenti) sono rei confessi di una decina di omicidi a sangue freddo e sono liberi da più di vent’anni.
Ora, onde evitare fraintendimenti, due o tre riflessioni.
La prima. In Italia (e non solo, ovviamente…) il sistema giudiziario è osceno nella sua contraddittorietà e quello penitenziario ancora di più. Il primo è caratterizzato da una palese logica di classe, resa evidente dal fatto che la stragrande maggioranza dei detenuti è composta da immigrati, tossicodipendenti, piccoli spacciatori, sottoproletari e marginali vari. Per non parlare del fatto che, come ho già accennato, le condanne vengono comminate con una palese incoerenza fra un caso e l’altro.
Il secondo versa in una condizione drammatica. Le condizioni di vita nella gran parte delle carceri italiane sono per lo più indegne di un paese civile. Ciò è stato e continua ad essere causa di decine e decine di suicidi ogni anno, di omicidi (nelle carceri) e di rivolte con esiti spesso gravissimi, violenti e sanguinosi. Solo pochi anni fa, durante la crisi covid, nel carcere di Modena sette detenuti rimasero uccisi in circostanze ancora da chiarire. Alla luce di ciò, appare quanto meno paradossale, e anche un pò grottesco, che il sistema mediatico-politico-giudiziario nostrano si erga a paladino di legalità democratica nei confronti di quelli di altri paesi europei.
La seconda. Senza nessuna retorica, chi acconsente senza muovere un dito a che un uomo come Assange venga sepolto a vita in un carcere sostanzialmente per reato di opinione, non dispone di nessuna credenziale per parlare di diritti e garantismo.
La terza. Il fatto che la vicenda di Ilaria Salis stia accadendo in un paese come l’Ungheria, guidato da un governo oggettivamente reazionario ma alleato della Russia, ha dato l’opportunità al fronte “liberal” per dare fiato alle proprie ipocrite trombe. Questa “sinistra” da una parte sostiene i nazisti ucraini e non muove concretamente un dito per fermare il massacro (nazista) in corso a Gaza, e dall’altra fa mostra di sensibilità democratica e garantista con il solo scopo di attaccare il governo Meloni, reazionario, liberista, sub imperialista, europeista, atlantista e filoisraeliano né più e né meno della suddetta “sinistra” liberal. Inaccettabile. Due facce della stessa ipocrisia.
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