Al Vinitaly a Verona fiere il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato quanto segue:
“In un mondo in cui è stato detto che se avessi scelto il liceo avresti avuto un grande sbocco nella tua vita, e se invece avessi scelto un istituto tecnico avresti avuto opportunità minori, dimentichiamo che in questi istituti – l’agrario ad esempio – c’è una capacità di sbocco nel mondo del lavoro più alto di quelli che danno altri percorsi di formazione. Per come la vedo io, questo è il liceo!”.
A queste affermazioni si è aggiunto l’annuncio dell’istituzione futura del liceo Made in Italy, la dicitura rigorosamente in inglese è una stonatura dato l’intento di coniugare tradizione e rinnovamento. La tradizione prima da difendere è la lingua nazionale, un popolo che sostituisce gradualmente la sua lingua nei luoghi della formazione con l’inglese o con altra lingua è un popolo dal dubbio futuro. Il problema fondamentale, comunque, resta il senso e il fine della formazione. Nelle parole del Presidente del Consiglio vi è la constatazione che la formazione deve avere quale fine principale l’occupazione, anzi la misura della validità del percorso scolastico si conteggia sulle possibilità lavorative. L’Umanesimo italiano ci ha insegnato che l’essere umano è tale, se si forma ai valori eterni della ricerca e della comunità. L’epoca attuale reputa i valori della formazione: solidarietà, capacità critiche, approccio olistico e capacità verbali con cui definire i problemi e cercare i percorsi di soluzione secondari rispetto al fare. Non la persona ma l’individuo integrato nel sistema macchinale sembra essere il nuovo orizzonte. Una domanda si solleva: la scuola è libera o è il luogo dove allevare individui utili al sistema lavorativo sempre più precario e flessibile? La risposta maieuticamente ciascuno la cerchi da sé, certamente una formazione al traino dei privati non ha al centro l’essere umano, il quale a prescindere dalla sua condizione sociale è prima di tutto una persona che deve fiorire nelle istituzioni etiche in primis la famiglia e la scuola e non sono secondari i partiti e i sindacati. Siamo dinanzi ad un bivio, dunque, la scuola deve formare persone o lavoratori a misura del mercato? Su tale quesito e scelta etica si gioca il futuro di un popolo.
Pare che il liceo vero sia l’istituto agrario, in quanto produce uomini e lavoro: gli altri licei cosa sono? Perché i sindacati di categoria non intervengono con un civile dibattito? Se l’Istituto agrario è il vero, i licei istituzionali sono scuole di serie B. Le fratture e le contrapposizioni non possono che portare altre faglie orizzontali in una realtà già in decomposizione. Ogni scuola ha il suo carisma e la sua dignità, le quali riposano nella formazione e ancor più nella scelta libera e consapevole degli studenti. Lo scandalo è il classismo con cui si sceglie l’indirizzo scolastico, mentre in una patria a democrazia piena e realizzata l’unico orientamento dovrebbe essere quello rispettoso dell’indole e dei talenti di ciascuno. Una nazione è patria, se i suoi cittadini scelgono nel rispetto della loro indole la formazione, in modo che ciascuno possa donare il meglio di sé alla comunità ed essere in equilibrio col proprio io e con gli altri. Una nazione in cui è il mercato a stabilire la giustizia e il bene non è felice, perché è priva del valore massimo della formazione: porre in atto le potenzialità di ciascuno. Per cui il vero problema non è quale sia il “vero liceo”, ma che ognuno abbia la formazione che gli consenta di sbocciare al mondo e poi di mettere a frutto i propri talenti. La soluzione per dare dignità agli istituti scolastici non è denominarli con il bollino “liceo” ma renderli luoghi di formazione completa.
I nostri licei di tradizione sono scuole che hanno al centro le discipline della formazione dell’uomo e del cittadino, hanno uno sguardo cognitivo olistico che consente di decodificare la realtà storica e di parteciparvi, è su questa base ciascuno dovrebbe scegliere la sua professione. Ciò che si dovrebbe fare è portare con equilibrio e saggezza nei vari indirizzi di studio talune discipline classiche rimodulate secondo gli indirizzi, in modo che il latino, il greco e la filosofia, discipline senza le quali ogni formazione è mutila, possano completare la formazione professionale, e specialmente possano essere il veicolo di una democrazia matura nella quale la priorità è la partecipazione politica. Senza capacità verbali ogni lavoratore è solo un suddito, le discipline umanistiche sono veicolo di democrazia e cittadinanza. Vi è, inoltre, un problema occultato: la realtà lavorativa cambia velocemente, dobbiamo, dunque, prevedere un fiorire di scuole tecniche che velocemente scompaiono? A scuola si dovrebbe imparare ad imparare e non ad inseguire un mercato sfuggente ed ineffabile.
Si è interdetti anche dal silenzio dei docenti che dovrebbero proficuamente cogliere tali episodi per mostrare che esistono e sono parte della classe dirigente della nazione. Senza dialettica la nazione è consegnata al declino; riporre al centro la formazione non può che stimolare la riflessione dei cittadini tutti che necessitano di riappropriarsi del loro futuro e del loro presente mediante la formazione scolastica che educa alla partecipazione politica e democratica. Una nazione in cui la formazione è appiattita solo sul lavoro e sul mercato non educa cittadini ma addestra solo alle passioni tristi.
Fonte foto: Open (da Google