Il capitalismo digitale si pone in una relazione molto stretta con il narcisismo patologico, agisce nella direzione di incentivarlo, di alimentarlo, e di sfruttarlo, naturalmente, a proprio vantaggio, visto che all’individuo definitivamente atomizzato rimane nel mondo vero ben poco, e anzi sempre meno in contropartita dello specchio narcisistico che gli viene elargito.
Il vero soggetto dell’agire politico è il nuovo potere tecnocratico; esso si avvale del capitalismo digitale come strumento di riproduzione dell’ideologia e di rafforzamento. La tecnocrazia neoliberale, intrinsecamente antidemocratica e oligarchica, implica immediatamente: a) una delega tecnocratica e b) l’esistenza di un tecno-suddito. Di quest’ultimo occorre, dunque, predisporre una fenomenologia, un lavoro che in larga parte attende ancora di essere compiuto.
Il capitalismo digitale vezzeggia il tecno-suddito, lo rassicura e lo lusinga; gli offre in pasto dei giocattolini autoreferenziali regolati da un complesso di procedure algoritmiche ormai talmente efficaci da consentire di modulare la sottrazione di realtà (perdita di potere d’acquisto dei salari, tagli alla spesa sociale, alla sanità, alle pensioni) compensandola – apparentemente, si capisce – con un sistema tanto fittizio quanto pervasivo di lusinghe, il cui scopo è di prolungare nel nuovo ordine digitale tutte le promesse collassate dell’ideologia mercantile nella quale l’occidente tecno-finanziario è imprigionato.
Quando sostengo che il capitalismo digitale, e attraverso di esso il nuovo ordine digitale al quale è funzionale, ha prodotto una stretta decisiva (consentendo una vera e propria “sincronizzazione” dell’orizzonte individuale e collettivo) vengo considerato esagerato da quanti hanno interiorizzato il postulato della neutralità della Tecnica. Sfortunatamente le cose non stanno così. Il nuovo ordine digitale (lo spiega molto bene il filosofo tedesco-coreano Byung-Chul Han) distribuisce al tecno-suddito una promessa completamente illusoria, ma la cui attrattiva è enorme e stringente: quella di rimuovere dal suo orizzonte tutto quello che non gli piace, che non è gradito; tutto quanto potrebbe metterlo in discussione. Dalla dinamica di questo rapporto con il tecno-suddito, che il potere tecnocratico istituisce attraverso il capitalismo digitale, non è possibile prescindere per comprendere le ragioni profonde alla base della generale paralisi dell’agire soggettivo e politico, ottenuta con successo proprio nello stesso momento in cui l’occidente ostaggio del tecno-capitalismo diventa sempre più oltranzista e angusto, scegliendo di accordarsi, nella politica estera, al perniciosissimo unilateralismo ultra-atlantista sotto dettatura USA.
La contropartita offerta in cambio della crescente sottrazione di realtà è, allo stesso tempo, completamente illusoria e molto efficace. Come è possibile?
Può accadere perché questa contropartita si gioca sul piano della trascendenza. È religiosa. La controrivoluzione digitale occulta sotto l’involucro scientista la fondamentale irrazionalità della sua offerta. Le persone, in fondo, sanno abbastanza bene che la contropartita disegnata dal nuovo ordine digitale in cambio della sottrazione di quote crescenti di realtà è illusoria. Ma la scelgono lo stesso. In primo luogo perché non considerano possibile un vero cambiamento della realtà. Il sistema neoliberale, mercatista e tecnocratico si presenta credibilmente come il migliore possibile, o comunque privo di alternative (“There is no alternative”). Poggiando sulla radicata e diffusa convinzione che lo stato di cose non possa realmente cambiare, il nuovo ordine digitale può dispiegare, sullo spazio residuale della rassegnazione e dell’inazione politica, tutta la sua potenza suggestiva. Infatti, a fronte della interiorizzata convinzione che l’ordine socio-economico, con i suoi rapporti di forza, sia immodificabile, dimostrata per altro dalla sua notevolissima massa inerziale, un’offerta del tutto fittizia ma potentissima può diventare molto efficace. Forse come nessun’altra nella Storia.
Nell’accettazione della sostanziale rinuncia ad essere cittadino, il tecno-suddito si prende in cambio la possibilità di rimuovere il negativo, l’ostacolo, dal proprio orizzonte. Il nuovo ordine digitale, nel quale l’utente di nome e tecno-suddito di fatto può decidere cosa tenere e cosa espellere semplicemente scorrendo lo schermo del suo smartphone, è completamente liscio e levigato, non oppone alcune resistenza (Byung-Chul Han, Le non cose, Einaudi, 2022) all’auto-rappresentazione individuale e soggettiva. Pazienza, allora, se il mondo vero, che del resto il tecno-suddito non spera più di poter cambiare, è tutt’altra cosa. Non costa nulla vivere un sogno che ci dà sempre ragione, che non ci contraria mai davvero, cullati nel nostro ripiegamento narcisistico. La dimensione nella quale il tecno-suddito è così confinato è religiosa, nonostante tutta l’ostentata razionalità e necessità della scienza e della Tecnica.
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