Capitano a volte coincidenze, incroci di eventi e dunque incontri di serie temporali illuminanti.
Martedì mattina, presto, al mercato Antonio mio salumiere e amico mi chiede “Hai visto lo sceneggiato co’ quello che aveva fatto Bartali…com’è Papino!” “mortacci che ladri aho de mezzo tutti lo IOR, Andreotti, la mafia”.
Sapevo della fiction con PF Favino (“Qualunque cosa succeda”) su Giorgio Ambrosoli ma ricordavo e mi bastava il bel film di Michele Placido “Un eroe borghese”, significativo già dal titolo. Decido, comunque, di seguire la seconda e ultima puntata, anche perché quella vicenda davvero “eroica” e davvero “borghese” è storicamente rilevante.
Favino grande, film chiuso negli affetti familiari e confuso nelle relazioni pubbliche. Tuttavia due lucette le ha avute:
1) il gioco delle tre carte che Ambrosoli osserva esercitare da un truffatore e “intuisce” il meccanismo di triangolazione dei capitali (Banca Privata Italiana-> Deposito Svizzero-> smistamento in Oriente) con il quale Michele Sindona faceva rientrare crediti esportando debiti;
2)La battuta di chiusura affidata all’intervista live di Giulio Andreotti vecchissimo; accappona la pelle sentire dal “divo” “come si dice a Roma, se l’è andata a cercare” riferendosi ad Ambrosoli, inquieta lo stile mafioso esibito.
Nel frattempo, sullo sfondo \o\ in primo piano, c’è il “mondo di mezzo”, l’operazione che porta all’arresto della banda di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati mestatori e terroristi, rosso e nero per non scontentare nessuno neanche Stendhal, i quali gestivano le attività di appalto – la più rilevante è l’AMA – mediando tra PD e PDL, per non scontentare nessuno. In merito non mi dilungo e riproduco il commento che ho fatto su FB ad una foto significativa e in queste ore famosa.
“La prima cena” CHE SPETTACOLO CARAVAGGESCO nel senso di Guy Debord (“il rapporto sociale tra individui mediato dalle immagini”) ed anche nel senso della “società dei magnaccioni”. Che scena “connotativa” superiore, in drammaturgia, al dialogo tra Ranieri e il Principe di Salina ne “Il Gattoprado”. Poletti PD di fronte al “Gianni”, poi Panzironi-AMA e Marroni, con Salvatore Buzzi (ex terrorista rosso) che sovrintende sodale di Massimo Carminati (NAR). Di fianco sinistro un po’ staccato ma pronto ad intervenire “il braccio”, la violenza , quel ragazzetto che sembra un “pilone” di rugby, un “Casamonica”. Il potere vero non si nasconde ma si mostra in effige, come feticcio!
Per ultimo, incuriosito, sento la conferenza stampa del pool che ha compiuto l’operazione è dominata da una sottile e giustificata ironia sulla miseria dei politicanti ma anche degli “ideali” di questa melma.
Sono davvero interessanti le riflessioni e le citazioni del Procuratore Capo Giuseppe Pignatone, “il mondo dei vivi e quello dei morti” “la terra di mezzo” – Tra Tolkien e Walter Siti – “la preferenza della corruzione sulla violenza – quasi una parafrasi del concetto di egemonia in Gramsci – ma la più significativa è lo scambio da bar “A Salvatore ma come fai a sta’ co Massimo che è nero?” “l’ideale è una cosa, l’affari so’ affari”.
Adesso intrecciamo i tempi.
Anzitutto Ambrosoli Eroe-borghese la rigida coerenza tra ideali e realtà, sarebbe a dire “l’ideale è ideale” cioè il giacobinismo borghese che in Italia è stato di pochissimi “borghesi” (penso alla Repubblica Romana nel Risorgimento a Gobetti all’inizio del fascismo ad Adriano Olivetti ed a Mattei nel dopoguerra) talmente scarsi da non permettere alcuna costituzione rivoluzionaria di quella classe, alcuna sua funzione dominante. La cosa davvero impressionante è che le “tre carte” che poi Ambrosoli, utilizza nelle requisitoria davanti al giudice, spiegano oggi la legalità della finanza speculativa.
In qualche maniera aveva ragione Sindona a sentirsi perseguitato politico visto che poi il mondo globalizzato dalla finanza tossica l’avrebbe eletto a suo modello.
Quindi la tavolata, la malavita al governo, che non è altro che l’aggiornamento del bonapartismo (Napoleone III) cioè di una politica retoricamente “decisionista” e realmente decisa “dagli affari” come dice Marx a proposito della situazione francese tra il 1848 e il 1870. Il fatto che gli affari siano “illegali” deriva dal livello morente della produzione economica italiana – parassitaria, di servizio, marginale – deriva da un offerta che anticipa ed è già domanda: “Che te serve frate’?”
Infine il teorema interpretativo-investigativo, che spiega perché la domanda è stata tolta.
Pignatone, a ragione, spiega l’universalizzazione del sistema mafioso, cioè il suo farsi metodo la sua “portabilità”.
Lo fa per proprio interesse inquisitorio, per impaurire gli inquisiti con la rubricazione del reato di “associazione mafiosa” ma rivela a noi, dal cuore delle istituzioni, l’estinzione della superficie democratica dello stato e l’emergere del modello “violento” di rapporto tra sovrano e società.
E’ la democrazia, cioè il popolo, che non chiede più nulla alla produzione e all’economia anzi la teme come la grandine, visto che oramai si declina con sventure – precarietà, tasse, tagli, licenziamenti – e sopruso nella grandeur di faccendieri, politici dementi, manager inetti.
Non c’è alcuna direzione degli eventi da parte del “discorso” della ragione sociale, che dovrebbe essere rappresentata nella democrazia, ma la direzione privatistica a tutti i livelli e con tutte le armi: in alto, tra i “super-vivi”, dalla necessità di rendita della speculazione finanziaria, in basso, sul territorio “tra vivi e morti”, dai margini criminali su imprese parassitarie.
L’angustia della “democrazia italiana” ha attraversato la nostra storia unitaria e travagliato l’esistenza di tre grandi personalità del movimento operaio, come si diceva una volta.
Antonio Labriola, quando scrive ad Engels dello scandalo della Banca Romana (1893) rilevando l’intreccio, già mafioso, tra finanza e politica (reali compresi) e si addolora per la distrazione dei socialisti da questo tema, che non è tanto morale ma riguarda l’attenzione alla costruzione di uno stato moderno.
Poi Antonio Gramsci, che nella suo giudizio su fascismo – che pagherà con la morte lenta – associa l’omertà della borghesia italiana, l’ottusità violenta del padronato e la criminosità delle squadracce.
Infine Enrico Berlinguer, che vede sfaldarsi una comunità integra e supplente alla a-democraticità della borghesia italiana lancia la “questione morale” ma poi vede l’omologazione anche nel suo partito.
Loro insieme ad Ambrosoli e pochi altri, sono stati sconfitti anche “fisicamente” ma ci aiutano a capire le serie temporali, cioè la natura di questo disperante – per troppo odio e troppo amore – paese!