Avete presente Ruud Gullit,
Franklin Rijkaard ed Edgar Davids? Sono giocatori che, in anni passati, hanno
fatto la fortuna della nazionale olandese di calcio, oltre che delle squadre di
club nelle quali hanno militato. Tutti e tre erano e sono cittadini olandesi.
Ma sportivamente parlando questi grandi olandesi hanno una “patria-ombra”, la
loro terra d’origine: il Suriname. Il piccolo Stato dell’America meridionale ed
ex dipendenza coloniale olandese. Sia Gullit che Rijkaard nacquero ad Amsterdam
da immigrati del Suriname. I rispettivi padri erano stati per altro calciatori
nel loro Paese d’origine. Davids nacque invece a Paramaribo, la capitale del
Suriname, e si trasferì in Olanda ancora bambino con la famiglia. Il Suriname è
il grande serbatoio del calcio olandese e una componente essenziale della sua
prosperità.
Un caso più recente di
neocolonialismo sportivo naturalmente è offerto dalla Francia. L’Algeria, la
più antica e la più strategica tra le ex colonie francesi, protagonista tra gli
anni Cinquanta e Sessanta di una drammatica guerra di liberazione, fa la parte
del leone, avendo fornito alla nazionale francese campioni del calibro di
Zidane, Benzema e Nasri, tutti cittadini francesi di seconda generazione.
Respingo con tutte le mie forze
l’idea salviniana di un mondo identitario delle piccole patrie su base etnica.
Ma ad esso non contrappongo, come in un gioco di specchi, quella cara al
cosmopolitismo progressista, secondo la cui logica il multiculturalismo non
necessiterebbe di alcuna ulteriore determinazione, all’infuori
dell’assorbimento di ogni diversa energia umana nel tritacarne indifferenziato
della globalizzazione tardo-capitalistica. Si dovrebbe cogliere che questi due
opposti bipolari, convenientemente sfruttati dal punto di vista mediatico,
mettono capo a due complementari forme di razzismo.
Uno è quello etnico, proveniente
da destra, sempre più sfacciato e presentato come senso comune, si veda il
Vannacci-pensiero, pronto a negare persino i diritti di cittadinanza. L’altro è
quello progressista, che, in nome dell’uguaglianza cosmopolita fagocita le
differenze a tutto vantaggio del centro del sistema-mondo, cristallizzando in
tal modo tutti i rapporti di forza e di dominio. Succhia dalle periferie le
energie migliori. E, nel contempo, scarica il suo plateale razzismo
euro-centrico verso i punti di scarico delle grande tensioni geopolitiche, come
la Palestina. Si dovrebbe ben vedere, per altro, che l’esaltazione
dell’”integrazione vincente” cammina di pari passo con islamofobia e
russofobia, agitate alla bisogna per alimentare le imprese militaresche
dell’occidente. La versione del multiculturalismo che le sostiene è talmente
elastica e facile che può intestarsela persino Bruno Vespa. Progressismo in
compendio. Multiculturalismo tascabile. Buono per tutte le occasioni,
apprezzatissimo nei migliori salotti.
Il progressismo odierno, da
questo punto di vista, è per certi versi una riedizione dell’imperialismo di
fine Ottocento, si ammanta di una “missione civilizzatrice” che oggi si
preferisce chiamare “esportazione della democrazia”.
Questi due tipi di razzismo hanno
in comune l’archetipo del darwinismo sociale, strutturale tanto al razzismo
etnico della destra che al razzismo di matrice progressista proprio della
sinistra di sistema politicamente corretta, principale arsenale di
giustificazione ideologica dell’unipolarismo atlantista.
Il multiculturalismo come valore
in sé e come fine ultimo, e non come dato che necessita comunque di essere
governato, non conduce all’emancipazione e alla liberazione dei popoli, ma alla
giustificazione dei rapporti di forza e di dominio esistenti.
Avverso il mondo di Vannacci e avverso il mondo dei cosmopoliti. Vorrei, finché posso combattere per averlo, un mondo nel quale il Suriname abbia le forze e le risorse per vivere tranquillo e competere alla pari secondo potenzialità che già possiede, ma che sono state annichilite, sfruttate e drenate altrove. E lo stesso si dica dei molti altri “Suriname”. E una Palestina libera dall’oppressione. Lo stesso mondo in cui non si riversino fiumi di menzogne sul Venezuela. Del resto proprio l’America meridionale offre l’esempio più chiaro di come abbiano sempre marciato insieme soluzioni autoritarie e complicità dell’occidente “liberale” a garanzia dei propri interessi economici e strategici. A discapito dei popoli e delle classi subalterne. L’odierno progressismo è in piena continuità con questa storia di annientamento dei popoli. I processi di liberazione possono essere coltivati solo contro la falsa polarizzazione mediatica di quelli che sono due tipi di razzismo.