Non poteva certo passare inosservato ai nostri occhi ciò che in tutti i paesi del mondo occidentale avrebbe sollevato uno scandalo; anzi, non avrebbe neanche potuto verificarsi. Mi riferisco al fatto che non una sola donna sia stata nominata ministro (o ministra) nel nuovo governo di sinistra greco guidato da Alexis Tsipras. Anche fra i sottosegretari e i viceministri la presenza femminile è decisamente scarsa: appena sei su quaranta.
Fossimo stati in presenza di un governo di destra ultratradizionalista e ultraconservatore, la cosa poteva forse, e dico forse perché non è affatto detto – dati i tempi in cui viviamo, dominati dall’ideologia “politically correct” che ha occupato ogni spazio politico e culturale (e anche psichico), a cui anche le destre, in tutte le loro versioni, devono uniformarsi – passare inosservata o essere considerata più o meno come fisiologica. Stesso discorso può essere applicato in fondo anche ai comunisti del KKE ritenuti, a torto o a ragione, dei vecchi catenacci settari, ultraortodossi, nostalgici e veterostalinisti, in parte impermeabili anche loro, sia pure per altri motivi, alla penetrazione ideologica “politicamente corretta”.
Ma questo non è il caso di Syriza. Il partito di cui Tsipras è leader, è infatti considerato da tutta l’opinione pubblica occidentale una formazione di neo sinistra “radicale”, una sorta di “bella copia” (visto come stanno le cose in casa nostra, addirittura molto bella…) della nostrana SEL che invece (a differenza di Syriza che ha letteralmente prosciugato il Pasok, cioè il vecchio, in tutti i sensi, Partito Socialista Greco) altro non è se non il cespuglio “rosa” alla “sinistra” del neo megapartitone nazionalpopolare liberale di centro in piena espansione, la cui funzione è di raccogliere quel voto di opinione di “sinistra” che un po’ (molto) per vezzo e un po’ (meno) per convinzione, anche turandosi il naso, proprio non ce la fa a votare per il PD.
Cosa è accaduto, dunque? Come è stato possibile arrivare alla formazione di una squadra di governo tutta o quasi al maschile?
Escluderei decisamente un rigurgito rimosso di misoginia o di machismo da parte di Tsipras e tanto più del suo ministro dell’economia, il bel Varoufakis, così come, ovviamente, una “conventio ad excludendum” nei confronti del genere femminile che, oltre ad essere un’ipotesi volutamente fantascientifica è anche molto poco se non per nulla politicamente gestibile. Una semplice dimenticanza da parte della leadership di Syriza? Assai improbabile anche questa; figuriamoci se un partito della “sinistra radicale” (ma non comunista o “vetero” comunista), imbevuto di ideologia femminista, può“dimenticarsi” della “questione di genere”. Forse la deliberata volontà politica di mandare un messaggio esplicitamente antipoliticamente corretto (che sarebbe la cosa più giusta e auspicabile, dal mio punto di vista, anche se ovviamente non avrebbe nulla a che vedere con l’esclusione delle donne da una squadra di governo…)? Escludo in modo altrettanto risoluto anche questa ulteriore ipotesi, se non altro per ragioni di mere opportunità politiche; chi glielo farebbe fare a Tsipras e compagni di mettersi contro l’elettorato femminile, per di più con una operazione tanto stupida e gretta?
E allora? Dov’è il busillis? Dove si nasconde l’arcano?
A mio parere è accaduta una cosa semplicissima, e cioè che in una fase di grande difficoltà e drammaticità sociale complessiva, ha prevalso il buon senso e la ragion politica su tutto il resto, in particolare sull’ideologia, con tutti i suoi cascami. Fra questi ultimi ci sono ad esempio le “quote rosa”, grazie alle quali schiere di “nane e ballerine”, “consulenti ai tramonti” di questa o quella amministrazione, scolarette prestate alla politica, portaborse o semplici “trastullatrici” di qualche potente, sono state elette deputate, ministre, assessore, dirigenti di grandi aziende pubbliche, oppure sono entrate in questo o in quel consiglio di amministrazione.
Insomma, si è scelto in questo caso, più unico che raro, di mettere al posto giusto la persona giusta (in base al “personale umano” di cui si dispone), come si suol dire, in virtù della sua affidabilità e competenza politica e “tecnica” e non dell’appartenenza sessuale.
Come ripeto, a monte di questa decisione non c’è nessuna determinazione di ordine ideologico e men che meno politico. Resta però il fatto che, sia pure involontariamente, il messaggio, anche se non dichiarato, resta tutto. La ragione politica -ma io direi anche la logica e il semplice buon senso – spazzano via le gabbie ideologiche, specie quando queste hanno delle fondamenta fragilissime. Del resto, Tsipras e compagni non sono degli sprovveduti e queste cose le sanno perfettamente. Erano consapevoli che questa loro decisione li avrebbe esposti a critiche, non tanto in patria (dove la gente ha ben altri problemi a cui pensare…), quanto da parte di quella sinistra europea di cui fanno parte e di cui Syriza è diventata un punto di riferimento fondamentale. Ma forse (si fa per dire…) sapevano anche che quella critica non sarebbe stata troppo veemente. E bisogna dire che la loro previsione si è rivelata corretta.
Qualcuno infatti avrebbe potuto legittimamente aspettarsi una risposta scandalizzata da parte di ciò che resta delle “sinistre” europee e in particolare italiane, che invece non c’è stata o è stata assai debole; al di là di qualche rimbrotto da parte di alcune intellettuali, militanti “senonoraquandiste”, giornaliste femministe o esponenti di questo o quel partito di “sinistra”, non ci sono state reazioni particolarmente accalorate, né tanto meno sono state aperte delle querelle politiche in tal senso.
E questo perchè la ragion politica, anche in questo caso, ha avuto la meglio su quella ideologica. Forze politiche come SEL, se fossero coerenti, avrebbero dovuto protestare energicamente, e invece, al di là di qualche dichiarazione di facciata, non lo hanno fatto. Perché? Perché Syriza rappresenta oggi l’ancora di salvezza, la scialuppa di salvataggio, l’ultima chance per quella “sinistra radicale” (non si capisce perché “radicale” ma questa è la descrizione che ne danno i media), italiana in particolare, che rischia di scomparire dalla scena politica. Ecco dunque l’occasione ghiotta da non farsi scappare. Tsipras rappresenta il nuovo faro, la nuova speranza, cioè la prospettiva di potersi riciclare da parte di un ceto politico (che vive di politica e dell’indotto della politica…) che rischia di uscire definitivamente di scena. Da qui gli sforzi per cercare a tutti i costi di dimostrare di esserne i parenti più prossimi.
Ecco perché, per una volta, anche le “questioni di genere” (interpretate naturalmente a senso unico…) possono passare in secondo piano. Anzi, meglio evitare addirittura di sollevarle; la posta in palio è troppo alta. Per tutti e per tutte.