Il governo del ’22 avanza a passo di marcia verso una direzione indicata da altri.
Al netto di qualche bisticcio con i vicini d’oltralpe e della maschera salviniana opposta alle ONG (che a loro volta fanno sfacciatamente politica), del vantato “sovranismo” si è persa ogni traccia. Il nuovo esecutivo s’è adeguato con prontezza, quasi con voluttà, ai molteplici “vincoli esterni”, rivelandosi sin dagli esordi una replica casereccia del governo Draghi: la politica economica è di schietta impronta neoliberista, quella estera è ciò che ci si può attendere da una colonia statunitense. Certo, schifa l’eccesso di zelo atlantista (peraltro “giustificabile” in chi, venendo dal nulla o quasi, mira a ingraziarsi un padrone esigente), ma sin dall’inizio della crisi ucraina l’atteggiamento dei fratellini d’Italia è stato dettato dalle convenienze e dal calcolo politico. Da questo punto di vista un parallelismo con la situazione di un secolo fa è improponibile, perché nel 1922 l’Italia sarà anche stata “l’ultima delle grandi potenze”, ma era pur sempre uno stato indipendente e sovrano: un conto è intimorire la Grecia bombardando l’isola di Corfù, un altro è rifornire gratis di armi una nazione malfamata e aggressiva di cui non siamo manco alleati. Più sensato è un confronto con due realtà statuali contemporanee che, benché anch’esse a sovranità limitata, perseguono quello che reputano essere l’interesse nazionale: la Polonia è in prima fila nella crociata antirussa poiché mira a riannettersi i territori ruteni e a piegare il secolare nemico, mentre l’Ungheria flirta con Putin per ragioni soprattutto economiche. Della Turchia non val la pena parlare: Erdogan sarà anche un manigoldo, ma a lui Ghostbuster Biden non si azzarda a impartire ordini diretti – negoziano su un piano di quasi parità. Fedele agli USA perinde ac cadaver l’Italia ha tutto da perdere e nulla da guadagnare dall’atteggiamento bellicista assunto, ma le autorità centrali leggono nella Costituzione materiale che “la sovranità appartiene a Washington, che la esercita a suo piacimento” e si comportano di conseguenza, da “Bulgaria della NATO”. Nell’italica neolingua la servitù è sovranità, il privilegio “merito”.
Detto questo c’è più di un punto di contatto fra l’Italia odierna e quella del primo governo Mussolini, che (giova rammentarlo) affidò le finanze al liberista De Stefani: si tratta in entrambi i casi di esecutivi reazionari, classisti e attraversati da pulsioni autoritarie. Le prime dichiarazioni del ministro della guerra (lo chiamo così perché, ansioso com’è di contribuire al disfacimento di un grande paese che non ci è ostile, prosegue nell’opera di smantellamento delle nostre già scarse difese) suonano minacciose e inquietanti, poiché intestano alla Russia di Putin future proteste popolari già messe in conto, ma pure la circolare del “meritocratico” Valditara è espressione dell’ideologia che permea i nostri governanti, guidati da una donna dall’eloquio magari poco forbito, ma scaltra e ansiosa di prendersi la rivincita sulla Storia. Più delle parole contano però i fatti: se il pestaggio de La Sapienza è un inequivocabile segnale di quello che ci aspetta, non meno allarme suscitano la norma draconiana c.d. “sui Rave party”[1], palesemente applicabile a iniziative di lotta dei lavoratori (es. dell’occupazione di una fabbrica) e simile nell’ispirazione – oltre che dal punto di vista sanzionatorio – a quella salviniana contro il blocco stradale, i sussidi contro il caro-energia limitati alle aziende, gli attacchi scomposti al reddito di cittadinanza di prossima cancellazione ecc. Legge e ordine, insomma, ma solo per chi sta in fondo alla scala sociale, vale a dire la maggioranza della popolazione: d’altronde le classi da favorire – oggi come cent’anni orsono – sono la media imprenditoria industriale, il notabilato e i proprietari terrieri soprattutto del meridione, che pretendono manodopera (nostrana o straniera) priva di diritti e a basso costo.
Non è però detto – e personalmente non mi auguro – che il draghismo in orbace abbia vita lunga. Il “signor” Presidente del Consiglio dovrà guardarsi da alleati riottosi, che mal sopportano un ruolo subalterno: Salvini spera di recuperare il ruolo di premier ombra rivestito nel primo governo Conte (e negatogli da Draghi, che rispondeva a ben altri centri di potere), il vegliardo di Arcore dispone di un arsenale mediatico ancora intatto e spendibile. Persino più delicati saranno i rapporti con gli stakeholder esteri, e la diatriba con la Francia di Macron è funesto annuncio di difficoltà future: l’obbedienza è data per scontata, ma non basta certo a garantirsi un credito illimitato. Il ricordo della vicinanza di Meloni all’outsider Trump non è sbiadita nella capitale (che è sempre Washington, non Roma) e le autorità “europee”, mai troppo propense a tutelare gli interessi italiani, non mancheranno di far pesare all’attuale governo il passato neofascista di gran parte dei suoi membri. Intendiamoci: a lorsignori i fascisti (e persino nazisti dichiarati, come i tagliagole del battaglione Azov) vanno a genio finché risultano utili e rigano dritto, ma al minimo sgarro riemergerebbero ombre, sospetti e condanne “morali”. I sovranisti (per finta) sono ostaggi di nostalgie mai espressamente rinnegate, che all’occorrenza potrebbero essere rivangate e usate per screditarli.
Visto che a livello internazionale conta assai meno del guitto Zelensky (e della stragrande maggioranza dei primi ministri in carica o meno), l’ambiziosa Meloni deve per forza darsi un tono a casa sua, perseguendo obiettivi che siano inequivocabilmente “nostrissimi” e le consentano perciò di segnare una discontinuità con i predecessori. È ragionevole attendersi una stretta sui diritti civili sostanziali (non tanto le corbellerie di genere, quanto ad esempio l’aborto), il pugno duro contro l’opposizione sociale e un aperto favoritismo nei confronti degli azionisti di riferimento che non vada a detrimento dell’élite sovranazionale. A essere sacrificati saranno pertanto i bisogni del ceto medio-basso (insegnanti, impiegati, operai, piccolissimi imprenditori), che però, abboccando all’amo della “coerenza”, ha massicciamente contribuito al successo elettorale di FdI. Inimicarsi tutta questa gente sarebbe rischioso per un governo che voglia mantenersi entro i confini di una parvenza di democrazia, ma non potendo accontentare tutti FdI dovrà scontentare qualcuno, cioè l’elettorato più numeroso ma meno influente e organizzato. Chi si aspetta dai meloniani politiche “di sinistra” tipo quelle paradossalmente attuate dal PiS polacco e persino da Orban in Ungheria è destinato a rimanere amaramente deluso.
In verità il 25 settembre due rette si sono casualmente incrociate, generando un effimero sostegno popolare a un movimento schierato con i padroni, ma che avventurosamente (e grazie all’insipienza delle forze politiche rivali) è riuscito a spacciarsi per “destra sociale”. Il successo elettorale colto il 25 settembre dai postfascisti è il frutto di un’allucinazione generalizzata che, alla prova dei fatti, si sta già dissolvendo nell’aria autunnale – anche se milioni di cittadini seguitano per il momento a fissare speranzosi il nulla.
Mi auguro il rinsavimento non sia troppo traumatico, ma per adesso tocca tenersi un governo che porterà avanti, peggiorandola, la politica atlantista, UEropeista e classista “implementata” (si dice così nella neolingua) da Mario Draghi.
1) L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosiper l’ordine pubblico o l’incolumita’ pubblica o la salute pubblicaconsiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui,pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore acinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stessopuo’ derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumita’pubblica o la salute pubblica.
Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma e’ punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con lamulta da euro 1.000 a euro 10.000.
Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena e’diminuita.
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