Tutti i grandi leader politici e statisti della storia hanno avuto ambiguità e contraddizioni, luci e ombre. Si tratta di capire in quale misura le une e le altre. E naturalmente vale anche per Gorbaciov.
Non c’è alcun dubbio che il “socialismo reale” fosse in una crisi profonda, ben prima dell’avvento al potere di Gorbaciov. L’Unione Sovietica (ma vale in larga parte anche per gli altri paesi del Patto di Varsavia) era in una condizione di fragilità economica, data da cause sia esogene – cioè l’incapacità di reggere la competizione, specie militare e tecnologica con il blocco occidentale (che obbligava l’URSS a ridurre gli investimenti nell’industria leggera e dei beni di consumo per dirottarle sull’industria pesante, militare e aerospaziale) – sia endogene: un sistema sclerotizzato a tutti gli effetti, privo di dialettica politica, ingessato, imbalsamato, prigioniero di un apparato burocratico elefantiaco ed asfissiante. Un sistema che faceva acqua ormai da tutte le parti, incapace di rinnovarsi.
La prima vera pietra tombale del socialismo reale fu l’incapacità di gestire politicamente la “primavera di Praga”, con tutte le contraddizioni e le ambiguità del caso, ben prima del crollo del muro nel 1989. In quell’occasione il “sistema sovietico” reagì come un elefante nella cristalleria, in modo rozzo, goffo e violento, dimostrando nello stesso tempo la sua debolezza (dietro ad un atto di forza molto spesso c’è una sostanziale fragilità…) e la sua oggettiva incapacità di relazionarsi in modo dialettico con la realtà in costante mutamento, nel caso specifico con la realtà di un paese e di una società che esprimevano e chiedevano – con tutte le contraddizioni del caso – un cambiamento che un partito comunista e uno stato socialista non possono non cogliere e che soprattutto devono essere in grado di gestire. Ma quella capacità non ci fu perchè lo stesso sistema sovietico era già in una sorta di palude stagnante, privo di ogni dialettica, involuto su se stesso e quindi impossibilitato a rinnovarsi. Ce lo dobbiamo dire in modo forte e chiaro: il socialismo reale era, purtroppo, già fallito da tempo, ben prima della data ufficiale del suo crollo.
Gorbaciov ha tentato, ma fuori tempo massimo, di rinnovarlo, di invertire la rotta, di raddrizzare le sorti di una baracca ormai pericolante. Certo, lo ha fatto dal suo punto di vista, che sostanzialmente era quello di un onesto socialdemocratico vecchia maniera (magari ce ne fossero di più oggi, visto come siamo ridotti…), quindi con evidenti limiti e contraddizioni (la socialdemocrazia europea muore subito dopo la morte dell’URSS e del socialismo reale. L’idea “debole” non può che morire in seguito alla morte dell’idea “forte”). Ma ha fallito, finendo, drammaticamente, per consegnare armi e bagagli all’Occidente. Una vera manna dal cielo per il sistema capitalista occidentale e in particolare per gli USA, ormai convinti di essere i padroni del mondo, che si sono gettati come avvoltoi sulla preda, ancora moribonda.
Le cose avrebbero potuto andare diversamente? E’ una domanda destinata a rimanere senza risposta; la storia, come noto, non si fa con i ma e con i se, ma con i fatti che concretamente di determinano.
Non sono in grado di dire quali fossero le reali intenzioni di Gorbaciov. Secondo Fidel Castro, nonostante le profonde divergenze fra i due, Gorbaciov era in perfetta buona fede nel suo tentativo riformatore e penso sostanzialmente la stessa cosa. Poi le cose sono precipitate e sono andate come sono andate, cioè male, molto male, perché non c’è dubbio che il crollo dell’URSS e del socialismo reale non sia stato soltanto il crollo di un apparato burocratico e militare, ma la sconfitta di una grande esperienza storica e politica, quella del Movimento Operaio e del Movimento Comunista e Socialista. Una sconfitta (e un fallimento) dalla quale non ci siamo ancora ripresi e che rappresenta una sciagura non solo per i marxisti e i socialisti, ma per l’umanità intera, e non solo in termini geopolitici.
Non c’è dubbio che G. incarnasse una esigenza di trasformazione da parte di una società civile resa asfittica, priva di una vera dialettica e democrazia socialista, ma non c’è altrettanto dubbio che non ha avuto la capacità (certo non solo lui ma tutto il partito-stato) di guidare quel necessario processo di rinnovamento in senso socialista della società sovietica. Se ce ne fossero le condizioni non sono tuttora in grado di dirlo con certezza, ma tant’è.
Dopo l’indecorosa (va detto…) disintegrazione del blocco sovietico a cui Gorbaciov ha di fatto dato il suo contributo, con la speranza, ovviamente malriposta, di essere “risarcito” dall’Occidente per cotanto servigio, è stato completamente abbandonato al suo destino per poi essere – in seguito al crollo dell’URSS – incensato come un eroe della libertà e della democrazia. Ma questa è la spregevole ipocrisia occidentale a cui purtroppo siamo abituati.
In conclusione, non penso che Gorbaciov sia stato un “nemico del popolo”, ma uno sconfitto, un uomo che ”ci ha provato” ma che è stato travolto dagli eventi, finendo per diventare, suo malgrado, il becchino di quel sistema che voleva (ed era assolutamente necessario) riformare.
Resta, ovviamente, in tutta la sua drammaticità, la (urgente) necessità di costruire una nuova idea (e prassi) di Socialismo che non potrà, ovviamente, essere uniforme per tutte le latitudini…
Fabrizio Marchi (candidato di Italia Sovrana e Popolare nel Collegio Uninominale Lazio 2 U03, Latina e provincia)