Ormai, a scadenza regolare, si susseguono le “giornate della retorica” (perché questo sono diventate e le hanno fatte diventare), come le definisco da tempo. Si va dal 25 novembre (Giornata mondiale della violenza contro le donne) al 27 gennaio (Giornata della Memoria), dall’8 Marzo (Festa della donna) al 1 maggio (Festa dei lavoratori), dal 25 aprile (Festa della Liberazione) al Gay pride (una data precisa ancora non c’è ma presto la istituiranno).
In tutte queste occasioni vengono sapientemente mescolati sacro e “profano”, verità e menzogne vengono altrettanto sapientemente alternate, gli eventi (o le tragedie) a cui si fa riferimento vengono più o meno de-contestualizzati e soprattutto depurati da ciò che è opportuno ricordare o dire e ciò che non lo è. E naturalmente, tutto viene celebrato (o condannato) con fiumi straripanti di retorica e demagogia. La finalità di tutto ciò è proprio quella di non aprire delle serie e lucide riflessioni su quei fatti (celebrati o condannati) con il risultato di trasformarli in stanche, scontate e retoriche liturgie oppure in un’occasione di festa, altrettanto retorica, come ad esempio l’8 marzo (con le sue mimose e le donne a riempire i ristoranti) o il Gay pride (con le sue piume, i suoi colori, i suoi perizomini infilati tra le chiappe) oppure il 1 Maggio trasformato in una triste (per me…) kermesse musicale all’insegna del politically correct (l’ormai tradizionale “concertone” del Primo Maggio in Piazza San Giovanni a Roma è quanto di più squallido e offensivo possa esserci per tutto il mondo del lavoro).
Ieri è stata la volta della Giornata in ricordo delle Foibe. Anche in questo caso, ovviamente, la verità, la menzogna e l’occultamento di ciò che non è opportuno dire, si sono alternate. Del resto, la storia, come noto, la scrivono i vincitori e non i vinti.
Per circa quarant’anni delle Foibe non se ne è parlato perché l’URSS e il movimento comunista internazionale facevano parte dello schieramento uscito vittorioso dalla seconda guerra (imperialista) mondiale e perché non conveniva al mondo occidentale (leggi la NATO) inasprire le relazioni con la ex Jugoslavia socialista che si era sfilata dal Patto di Varsavia. Ma oggi l’URSS, il blocco sovietico e la Jugoslavia non esistono più ed entrano a far parte della schiera degli sconfitti. Quindi si può e si deve gettare immondizia sulla ex Jugoslavia di Tito e sui comunisti, quella che prima per ragioni di realpolitik non poteva essere gettata.
Ecco, dunque, che le Foibe vengono trasformate in un fatto criminale in sé, un evento completamente slegato dal contesto storico dell’epoca, un atto criminoso fine a se stesso, senza nessuna preesistente ragione che avrebbe potuto in qualche modo provocarlo (che non significa giustificarlo…), commesso dai partigiani comunisti titini. Eppure si racconta da sempre che la decisione di sganciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki fu dettata dalla necessità di porre fine alla guerra, alla seconda guerra mondiale. Quando si parla delle Foibe invece ci si dimentica di parlare degli anni della brutale occupazione nazifascista e dei loro alleati in loco, gli ancora più feroci “ustascia” croati, delle pulizie etniche subite dal popolo jugoslavo, delle decine di campi di concentramento (per lo più gestiti dai collaborazionisti dei nazifascisti) sparsi su tutto il territorio della ex Jugoslavia, dei bombardamenti subiti, dei rastrellamenti, delle rappresaglie, delle deportazioni, delle centinaia di paesi e villaggi rasi al suolo che nel complesso hanno provocato circa un milione di morti, in gran parte civili, fra la popolazione della ex Jugoslavia e in particolar modo della Serbia, cuore della Resistenza slava antinazifascista. E’ bene ricordare inoltre che i popoli slavi erano considerati dai nazifascisti alla stessa stregua dei russi, cioè etnie e razze inferiori da sottomettere e schiavizzare. L’occupazione subita dalla ex Jugoslavia da parte dei nazifascisti – va detto – fu ben (infinitamente) più feroce di quella subita dai francesi.
Ma tutto ciò viene, per incanto, dimenticato, rimosso. Tutto quel che resta di quella storia sono soltanto le Foibe, come fossero piovute dal Cielo. Certo è che non conviene di questi tempi (ma non conveniva neanche prima) aprire il capitolo dell’occupazione della Jugoslavia. Certo non conviene (e non conveniva) incrinare l’immagine di “italiani brava gente” che con tanta pazienza ci siamo costruiti. Chi ce lo fa (e faceva) fare? A che pro? Meglio quindi far calare l’oblio, tanto più che non c’è ormai più nessuno a ricordarci che a massacrare, a deportare e a fare pulizia etnica in Jugoslavia c’eravamo anche noi, gli “italiani brava gente”, alleati con i nazisti.
E allora in mezzo a tanta menzogna e a tanta falsa retorica, che sia concesso per una volta anche al sottoscritto (che normalmente la detesta…) di fare un po’ di retorica: Viva i partigiani jugoslavi, viva la gloriosa lotta di liberazione del popolo jugoslavo, viva l’Esercito di Liberazione Nazionale guidato dal compagno Josip Broz Tito.
Fonte foto: Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa (da Google)