In queste ore la reazione tedesca si sta facendo sentire. Come era prevedibile non si ferma neanche di fronte all’evidenza della Realtà. Non può assolutamente accettare che il sistema economico muti indirizzi e prospettive e che si possa passare a una ri-nazionalizzazione del sistema produttivo e quindi a una ri-politicizzazione dell’economia che metterebbe in discussione i folli vincoli di bilancio creati dal sistema Euro. Lo scontro tra élite economiche appare in tutta la sua evidenza.
Per farlo si appella al sistema di funzionamento dell’Eurozona che in effetti ha quelle regole lì. Difatti la UE è stata creata per essere quello che realmente è. Il sogno europeo consiste in una favoletta raccontata per addomesticare il cosiddetto popolo della sinistra, fiaba alla quale tendenzialmente crede. Ma anche quella popolazione al cospetto della possibile propria indigenza scopre una presa di coscienza, non perché abbia compreso fino in fondo cosa sia la UE, ma solo perché vede le manifestazioni esteriori di quel totalitarismo. La qual cosa sarebbe potuta essere immagazzinata anche durante la crisi Greca, alla faccia di chi sostiene che l’europeismo corrisponderebbe all’internazionalismo.
Insomma se la Germania dovesse cedere entrerebbe immediatamente in crisi il suo sistema economico perché è poggiato sulla concorrenza sleale nei confronti degli altri paesi. L’Euro è l’esatta riproduzione del marco tedesco. Il sistema di governo dell’euro ha permesso alla Germania di avvantaggiarsi sulle esportazioni utilizzate come strumento di colonizzazione dei mercati più fragili e resi fragili dai quei meccanismi. Questo vantaggio la Germania lo ha preso iniziando una fortissima politica di contenimento dei salari obbedendo all’ortodossia ordo-liberale in tempi non sospetti. La macelleria sociale imposta dai trattati agli altri Paesi ha edificato le macerie da conquistare. La riconoscenza atlantica nei confronti della RFT come argine di contenimento all’ “espansione” sovietica rappresentò il passepartout per la sua futura egemonia.
In Italia il processo di unificazione europea è stato guidato dalla cosiddetta Seconda Repubblica. Durante la Seconda Repubblica sono state attuate – “ce lo chiede l’Europa” – quelle riforme che hanno spoliticizzato l’economia e la società e che hanno reso indiscutibili i dogmi neoliberisti promossi dalla UE e dal FMI. Quella classe politica ha gestito a proprio vantaggio le politiche di privatizzazioni e di verticalizzazione delle istituzioni. Ha chiuso la dialettica politica in maniera ermetica rendendo l’Italia una sorta di protettorato. L’interesse privato è stato in pratica costituzionalizzato dai trattati europei che hanno esautorato la nostra Costituzione.
Passata un po’ di buriana in queste ore i partiti costitutivi della Seconda Repubblica, PD con affini e tutto il centrodestra – appoggiati dal Corriere della Sera – ordinano le fila e sferrano l’attacco alla sovranità del Paese, indebolendo tra l’altro Esecutivo e Presidente della Repubblica che una sorta di resistenza la stanno organizzando al fine di proteggere il capitale nazionale. Lo conducono con le solite narrazioni riguardanti l’insostenibilità del debito, la svendita dei gioielli di famiglia (anche Montecitorio per il fantasioso Zanda), l’evasione fiscale, i dipendenti pubblici descritti come parassiti inefficienti. Gentiloni è il capocordata dei raggruppamenti eversivi anti-italiani. L’alto tradimento è dietro l’angolo.
Questo armamentario, direttamente connesso all’ondata “moralizzatrice” scaturita da Tangentopoli, è riproposto per mettere in dubbio la capacità degli italiani di autogovernarsi. Ma è ricomparso improvvisamente anche un altro classico d’annata che fu utile per convincere allora gli italiani che una sorta di spirito luterano avrebbe giovato alla loro conversione in efficienti e robotici produttori scandinavi. La presenza della Mafia. Ecco ciò che inizia a comparire sulla propaganda filo tedesca è una particolare narrazione sulla futura indigenza della popolazione e le sue conseguenze. Azioni disperate di nuovi poveri, i quali non posseggono neanche quel minimo contante per fare la spesa, sarebbero guidate delle mafie. Solo questo giustificherebbe l’opportuna occupazione teutonica.
Quindi che si assista a una “guerra” tra capitale anglosassone e quello tedesco è evento abbastanza cristallino. La Brexit si è compiuta per questo motivo, il fatto che abbia avuto l’appoggio delle classi basse non muta la sua genesi, stimolata dall’alto. Ma questa diatriba fa emergere in tutta la sua evidenza la debolezza del mondo del lavoro e delle classi impoverite e della loro rappresentanza politica. L’abbattimento dei corpi intermedi, la concorrenza interna ed esterna tra lavoratori, la definizione del nuovo cittadino/consumatore e la colpevole fascinazione dei partiti storicamente preposti alla difesa di quegli interessi di classe alla dottrina dell’economia sociale di mercato hanno costretto quel mondo alle bastonate delle riforme definite “necessarie” inferte dai tecnocrati della Governance.
In questo contesto si pone il problema politico centrale e che ha a che fare con la futura emersione di dati di fatto che supereranno le attuali polemiche sugli strumenti europei di contenimento della crisi. Uno di questi – oltre alla necessità di immettere nel sistema paese quantità di liquidità oggi inimmaginabili – è direttamente legato alla futura chiusura prolungata delle frontiere. Ogni paese sarà costretto a ri- nazionalizzare ampi settori strategici di produzione. Quella spinta dal basso la si dovrà cercare in quel contesto. La ri-politicizzazione dell’economia difatti dovrebbe rendere nuovamente palese il conflitto tra capitale e lavoro. Nella guerra interna alle élite, le nuove politiche industriali nazionali dovrebbero rappresentare l’interstizio per cercare di influire politicamente sui processi.
Semmai la difficoltà politica centrale è rappresentata dalla mutazione antropologica dell’individuo a seguito di anni di politiche neo-liberali. L’organizzazione pedagogica messa in piedi dal totalitarismo manageriale per educare il cittadino a vivere in perenne concorrenza e nel sentirsi realizzato pienamente solo attraverso l’aspirazione al consumo con l’indebitamento privato, pone una questione di coscienza di sé in capo all’individuo. La mistificazione propugnata dell’imprenditore di sé stesso ha rappresentato l’elemento attrattivo centrale del sistema neoliberale. La promessa di un eterno godimento personale da conquistare nell’immediato. Massimo godimento che fa da contraltare all’ideologia del massimo profitto privato.
Fonte foto: L’Antidiplomatico (da Google)