Leggo ora questa lucida, puntuale (come sempre, del resto…) e anche condivisibile analisi dell’amico Pierluigi Fagan https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/18089-pierluigi-fagan-del-gatto-e-del-topo.html . Condivisibile, ammesso però di restare sul piano meramente analitico.
Una riflessione “terra, terra”, come si suol dire, infatti, mi viene spontanea. Quel “gatto” (quello asiatico” che ha o avrebbe capovolto il paradigma marxiano, come viene spiegato nell’articolo…ci si riferisce alla celebre frase attribuita a Deng Xiao Ping ma forse di origine confuciana, “Non importa se il gatto sia bianco o nero, l’importante è che acchiappi il topo”) che tipo di società ha prodotto e produce? Una società vivibile? Una società socialista (mi riferisco in questo caso alla Cina)?
Un “modello” di società (vale per tutte le società asiatiche) dove si lavora dalla mattina alla sera senza sosta, molto spesso sfruttati da imprenditori locali o stranieri, dove il lavoro è la dimensione quasi unica dell’esistenza, dove la gente è alienata e stressata a tal punto che si addormenta nei posti più improbabili come le scale delle stazioni mentre aspetta il metro?
Ho amici e amiche (attendibili…) che hanno vissuto anni e anni in Cina, in Giappone e in Corea del Sud per lavoro. Mi raccontano che la stella polare è per tutti, in quei paesi, l’arricchimento individuale e il consumo. In Cina come negli altri paesi asiatici (compreso il Vietnam ovviamente, dove quando si accenna al comunismo ti viene risposto sorridendo che è un “souvenir”…). Certo, so perfettamente che tutto deve essere sempre contestualizzato (sono il primo a ribadirlo sempre…). Quindi se contestualizziamo non c’è dubbio che quel modello abbia comunque portato a grandissime trasformazioni sociali e tecnologiche, ad una modernizzazione incredibile di paesi spesso arretratissimi e in condizioni semifeudali e anche – non c’è dubbio – al miglioramento sensibile delle condizioni di vita di vaste masse popolari (pur, ovviamente, con diseguaglianze sociali in alcuni casi forse ancora più marcate che in Occidente).
Tutto sommato, se vogliamo, lo stesso processo è avvenuto in Occidente, nel corso dei secoli, sia pure in un contesto culturale, storico e politico differente.
Ora scenderò ancor più dalle stelle alle stalle, come mio consueto e come mi piace fare e mi chiedo (visto che alla fin fine ciò che ci muove non è il paradigma ideologico ma la nostra aspirazione al nostro benessere complessivo, materiale e psicologico):” Vorrei mai vivere in società (capitalistiche) come quelle asiatiche (modello cinese o giapponese)?”.
Risposta immediata, spontanea e sincera:” MAI!”. Piuttosto mi ritiro in un posto sperduto a contatto con la natura e possibilmente (chiedo troppo, lo so) non troppo distante da un ospedale ben attrezzato e qualificato.
Ora, se la risposta è (come credo…) “bisogna contestualizzare, quindi quel modello va bene lì, in quel contesto e in quelle culture ma non è esportabile (e meno male, aggiungo io…)”, allora ci sto e l’articolo di Pierluigi, oltre ad essere condivisibile dal punto di vista analitico, lo è anche da quello politico. Non a caso egli stesso conclude l’articolo scrivendo:” In Oriente, il gatto è lo Stato confuciano (che si dica “comunista” come in Cina o Vietnam o si dica “democratico” senza esserlo come in Giappone o provenga dal dominio di una singola famiglia come a Singapore o Corea del Nord, è solo sua declinazione), in Occidente qual è il gatto?
Domanda più che pertinente. Di sicuro, per quanto mi riguarda, non può essere quello asiatico. Men che meno credo che quel “gatto” possa perseguire, cito testualmente dall’articolo “l’obiettivo del cambiamento di lunga durata non solo o tanto posponendo il traguardo finale del processo che doveva portare ad una nuova forma di società, ma incaricandosi di perseguirlo passo dopo passo a partire dalle situazioni contingenti con pazienza e lenta costanza” (si riferisce, naturalmente, all’idea in base alla quale il processo di modernizzazione e accumulazione capitalistica in corso in Cina sia controllabile e indirizzabile alla costruzione di una società socialista e anzi, comunista, sul lunghissimo periodo). Non sono un profeta ma credo che ciò sia solo un’utopia o tutt’al più una delle teoriche possibilità (dal momento che la realtà si fa nel suo farsi e non certo a priori, come anche Fagan riconosce, giustamente…).
In conclusione, è giusto che ciascuno si scelga il suo “gatto”, a patto però di chiamarlo col suo vero nome (e quello cinese si chiama Confucio più Smith, non Marx e neanche Mao…) e di non volerlo esportare (non mi pare, fotunatamente, che ci sia questa volontà, per lo meno non manu militari, anche se il modello asiatico imporrà necessariamente dei cambiamenti, in peggio, all’Occidente che vuole essere competitivo con quel “modello”…), cosa quest’ultima che, per la verità, fino ad ora – va riconosciuto – va addebitata (con qualche eccezione, penso al Giappone…) ai “gatti” occidentali che di danni in giro per il mondo, infatti, ne hanno fatti tanti, fin troppi…
Speriamo che il corso della storia porti alla nascita di una nuova specie felina…(a proposito, qualcuno si ricorda “La storia della tigre” di Dario Fo:-) )
Font foto: Altenotizie (da Google)