La flat tax una tassa unica per tutti (due aliquote ipotizzate al 15% e al 20%) non è una trovata originale del buon Salvini (e a rimorchio di Di Maio). E’ invece un elemento che rientra, con rozze modalità, nello spirito del neoliberismo.
Dato che chi ha scarso reddito è povero perché incapace e indolente, le sorti di un Paese dipendono dai ricchi e ancor più dai super-ricchi che dimostrano di saperci fare (anche nella corruzione), di avere spirito di iniziativa ( come nell’evasione fiscale), di avere volontà lavorativa e superiore intelligenza. Risulta quindi inevitabile per un governo che abbia sapienza politica, favorire, con strumenti di legge, il coraggio imprenditoriale e finanziario che determinerà con la sua creatività aumento dei consumi e occupazione.
Che purtroppo non si incrementeranno con le percentuali previste dagli ignoranti apprendisti stregoni (il consumo è infatti massimo tra i bassi redditi e minore di gran lunga tra i redditi alti e altissimi). E’ una banale legge economica ricordata anche da Alessio Rossi, presidente della Confindustria giovani che opta ovviamente per una tassazione moderatamente progressiva ed è favorevole ad un aumento del reddito tra i ceti bassi e medio-bassi
Perché si sviluppino consumi ed occupazione solo un intervento massiccio dello stato innanzitutto nell’istruzione e nella sanità pubblica, nei servizi sociali e nelle infrastrutture può ottenere risultati di livello, in particolare se accompagnato da una crescita dei salari e delle pensioni, in virtù di una forte ripresa della conflittualità sociale unica garante contro le disuguaglianze (e non, come osserva Di Maio, con la collaborazione tra imprenditori e lavoratori, forse ispirandosi alle corporazioni di antica memoria).
Il moltiplicatore economico raggiunge la massima potenzialità solo a tali condizioni, in congiunzione con un’attività economica in minima parte delocalizzata, oltre che con un attento controllo del tasso di cambio.
Ma tutto questo non è possibile all’interno della UE e dell’euro. Appunto. Chi non si pone il problema della fuoriuscita da regole che sono funzionali ai super poteri della finanza mondialista ed estremamente dannose per la popolazione europea, in particolare mediterranea, è nel migliore dei casi un ingenuo o un utile idiota.
Si abbia il coraggio (mi si perdoni il linguaggio retorico) di dire che dal 2011 (anno della crisi creata dal finanzliberismo) il PIL mondiale, quindi non solo il Belpaese, non ha raggiunto i livelli produttivi di quell’anno funesto, proprio a causa della perpetuazione a livello planetario delle operazioni economiche e finanziarie contrarie ad ogni idea di crescita e favorevoli invece ad una concentrazione massima del profitto e ad una limitazione sempre più pervasiva degli spazi democratici.
Che i ceti medio bassi e quelli al limite della sopravvivenza si accontentino del “gocciolamento” (termine caro a Milton Friedman e ai suoi Chicago Boys). Ciò che scende dalla tavola dei ricchi. Un qualche beneficio se i super-ricchi hanno agio di aumentare il loro strapotere. Un sostanzioso gocciolamento se vi è un sostanzioso aumento della ricchezza dei super-ricchi.
La Cina, qualsiasi possa essere il giudizio politico che si voglia dare della sua leadership politica, è un Paese al quale si dovrebbe guardare, se non altro perché è sempre in crescita vistosa ( quando rallenta – volontariamente – non scende al di sotto del 6%,) con una popolazione che aumenta – dati Usa – la qualità della vita. La povertà estrema che riguardava centinaia di milioni di esseri umani è sul punto di essere azzerata.
I semplici, tra cui annovero un Monti, un Prodi, un D’Alema ed altri scolaretti da scuola elementare, spiegano la crescita con i bassi salari, con il lavoro nero anche dei bambini, con lo spionaggio industriale…Non entro in merito a tali questioni non perché siano del tutto false, ma perché non colgono le ragioni principali dell’impetuosa crescita economica: la scelta di indirizzo economico, la strategia di subordinazione del privato alla pianificazione che ha nel settore pubblico l’asse portante ed equilibratore.
La supremazia della Cina, ora, nel presente ed ancor di più nel prossimo futuro consiste proprio in una strategia non improvvisata, lasciata irrazionalmente al libero gioco del mercato che si è dimostrato in ogni dove distruttivo delle risorse produttive ed umane, in una strategia che individua obiettivi essenziali per lo sviluppo del Paese e che riesce a perseguire con modalità ordinate nello spazio e nel tempo.
Il capitalismo tradizionale, in qualsiasi sua forma, neoliberista, mercantilista, keynesiana, non può prescindere da sprechi e distruzione. I bassi redditi e la povertà gli sono essenziali economicamente prima di esserlo politicamente. Si pensi alle guerre e all’uso continuato di strumenti di fuoco. La distruzione è funzionale al profitto come in un secondo momento lo sarà la costruzione secondo un processo continuo ed inarrestabile.
Pensiamo un momento all’Italia. Quando l’intervento pubblico (vedi in particolare l’IRI venduta al ribasso da Prodi, profeta delle privatizzazioni e dell’euro “la moneta che ci avrebbe fatto lavorare meno e guadagnare di più”) era centrale nell’economia italiana, l’Italia aveva un PIL superiore a quello inglese e quel che più conta un buon livello di occupazione.
Per Cina ed Italia bastino queste poche ed elementari osservazioni per evidenziare che il Belpaese corre verso un degrado sociale ed economico devastante se non esce dalla UE e dal neoliberismo, l’una e l’altra gabbie funeste. Il “governo del cambiamento” non ci libererà né dall’una né dall’altro. Solo la conflittualità sociale può creare le condizioni per una tale liberazione. Soffiare sulla mini-conflittualità attuale, sia pure frammentata e settaria, è importante perché, come diceva proprio il vecchio presidente cinese Mao, “una scintilla può dar fuoco a tutta una prateria”.