Tra pochi giorni, il 25 novembre, la giornata mondiale contro la violenza sulle donne [1], ci aspettiamo la solita retorica, il solito lamento che si protrarrà per ben più di una settimana, già l’UN-Women dichiara sulla sua pagina che saranno 16 giorni di mobilitazione contro la violenza basata sul genere [2]. Ma sappiamo bene che si tratterà del solito down male, abbasso il maschio.
E’ noto che questa ricorrenza fu istituita in onore delle sorelle Mirabal, uccise il 25 novembre 1960 dagli sgherri del dittatore domenicano Rafael Trujillo. L’ONU istituì la giornata nel 1999 dopo che dal 1981 questa data era già diventata una ricorrenza per le femministe latino-americane. Ad aver ‘fecondato’ la cosa ci fu anche un celebre romanzo “Il tempo delle Farfalle” della scrittrice domenicana-americana Julia Alvarez [3] che fece conoscere la storia della sorelle Mirabal, dette le Farfalle (Mariposas), al di fuori del più ristretto ambito latinoamericano.
Ma chi erano le sorelle Mirabal? Erano davvero delle femministe che combattevano la violenza degli uomini? Il loro fu un femminicidio o piuttosto un omicidio politico? Furono uccise “in quanto donne” o in quanto militanti rivoluzionarie?
Patria, Dedè, Minerva e Maria Teresa Mirabal erano nate negli anni venti del secolo scorso in una famiglia benestante della Repubblica Domenicana. Come tutte le famiglie benestanti della Repubblica avevano un controverso rapporto col El Jefe, Rafael Trujillo, il dittatore che era andato al potere nel 1930 ultimo di una lunga serie di dittatori che si sono più o meno succeduti prima di lui (ed anche dopo di lui). Erano cattoliche ed avevano studiato in un liceo cattolico, il Colegio Inmaculada Concepción. Nelle fonti si fa molto rumore sul fatto che Trujillo abbia cercato di sedurre Minerva, che era la più intelligente e anticonformista delle tre, ma dal suo biografo ufficiale, William Galvan, si apprende che Minerva ad una festa per élite aveva ballato con Rafael e che dopo in disparte avevano parlato per qualche tempo, una conversazione di ordine “sentimental y politico”. Quando la conversazione si spostò proprio sui fatti politici Trujillo afferma che “…le uniche persone che non gli piacciono sono i comunisti e chiese (a Minerva) se lei fosse comunista. Al che lei rispose ‘Perché comunisti? Comunista come lei!’” [4]. All’epoca Minerva aveva ventidue anni secondo le versioni più certe.
Comunisti? Si perché Rafael Trujillo era il locale campione dell’Anticomunismo e il suo principale e antico sponsor erano naturalmente gli USA, i quali lo avevano sempre coccolato e coperto nei suoi eccessi [5]. Si calcola che durante il regime trentennale di Trujillo siano state uccise circa 50.000 persone, certamente non tutte donne come è facile immaginare. Una delle tanti stragi è nota come il “massacro del prezzemolo”, quando tra i 20000 e i 30000 haitiani furono sterminati col machete e infilzati sulle baionette dei soldati di Trujillo perché immigrati illegalmente in Dominicana (con la scusa della solita retorica che l’immigrato ruba, stupra e uccide). La distinzione tra immigrati e autoctoni sembra sia stata fatta sulla diversa pronuncia che in creolo haitiano ha la parola prezzemolo rispetto allo spagnolo; chi pronunciava male “prezzemolo” si pigliava un machete nella carotide (anche se pare che questa sia una leggenda metropolitana).
Con l’esplosione dell’uragano castrista un nuovo vento iniziò a girare per l’America Latina e naturalmente questo destò grande preoccupazione a Washington, Trujillo si sentiva sempre più immedesimato nel campione della sfida a Fidel, ma i conti iniziavano a non tornare. Già nel 1954 ne aveva fatta un’altra delle sue, aveva fatto rapire sul territorio americano a New York un oppositore politico, un certo Jesus Galindez, e l’aveva appeso a testa in giù nell’acqua bollente. Poi, non contento, aveva preso il pilota americano, un certo Gerry Murphy, dell’aereo che aveva portato il poveretto e lo aveva “per caso” fatto cadere in un tratto di mare infestato da squali. Infine, dulcis in fundo, aveva accusato della morte di Murphy un altro pilota, stavolta domenicano, Octavio De La Maza, e “per caso”, anche questo si era “suicidato”. Mal gliene incolse perché si fece dei nemici nella stessa classe dirigente che fino ad allora lo aveva appoggiato: il “suicida” apparteneva ad una famiglia molto in vista che già nel passato aveva avuto ruoli importanti nell’abbattere o instaurare i locali dittatori [5]. Per questi motivi la CIA iniziò a meditare di togliere di mezzo Trujillo e mettere al suo posto un regime sempre conservatore ma meno compromesso, in modo da evitare un conflitto che sarebbe potuto evolvere in una rivoluzione incontrollata con Castro e Che Guevara a poche centinaia di miglia di distanza. Il comportamento del vecchio dittatore quasi settantenne ormai, era diventato troppo compromettente, cosa meglio allora di una bella rivoluzione “colorata”?
La storia di Jesus Galindez dimostra comunque come Trujillo e i suoi sgherri, la temuta polizia militare SIM, non aveva nessuno scrupolo di sorta a uccidere qualcuno senza tanti complimenti.
Ma nel frattempo cosa era successo a Minerva e alle altre sorelle? Minerva si era laureata in legge, sembra sempre con un po’ di ostacoli provenienti dal El Jefe: forse ricordava la sua insolente battuta sul comunismo e suoi falliti tentativi di seduzione? Forse semplicemente temeva Minerva come capo di una possibile rivolta? Certo è che per un lungo periodo Minerva, che si era sposata con Manolo Tavárez Justo e aveva avuto due figli, non si era più fatta viva dalle parti di Ciudad Trujillo (se la cercate sulla carta non esiste più, era il nome che Rafael aveva dato alla capitale, ora Santo Domingo,… in suo onore). Anche Maria Teresa e Patria si erano sposate, la prima aveva un baccalaureato in agrimensura perché era portata per la matematica e sposò un ingegnere, Leandro Guzmán, mentre della seconda si sa che era molto religiosa e che temeva guai per l’impegno politico delle altre due sorelle.
Mariti violenti? Seguaci di Trujillo? Machisti? Tutt’altro, erano i principali dirigenti del “Movimiento Revolucionario 14 de junio – 1J4”, un movimento ispirato ad un fallito golpe contro Trujillo avvenuto il 14 giugno del 1959 con supporto cubano [6]. Minerva, fondatrice insieme a Manolo del movimento,era un’ammiratrice di Fidel Castro e conosceva bene il famoso libretto “La Historia me absolverà” [4].
Le donne nelle rivoluzioni latino americane hanno sempre avuto un ruolo importante, spesso alla pari con i loro mariti capi del movimento. Erano per tutti un emblema della lotta contro il potere. Ma qui non era solo questione di immagine, l’1J4 con Maria Teresa e Leandro Guzmán, se dobbiamo credere alla versione romanzata, sembra che costruisse anche delle bombe di cui l’alter ego della Alvarez trova un disegno nel suo diario [3,4].
Il fatto curioso è che El Jefe non era nemmeno un macho di quelli convenzionali. Sembra vero che ci avesse provato con Minerva, se i biografi dicono la verità. Come anche è vero che si diceva che avesse diverse amanti. Ma non aveva in generale un atteggiamento antifemminile, non era un talebano dato che concedeva alle donne di studiare fino all’università e aveva concesso loro il suffragio universale nel 1942, prima della Francia e dell’Italia. Fu inoltre tra i primi a inviare un delegato donna all’ONU [7]. Alcuni sostengono che avesse persino un atteggiamento femmineo, nel senso un po’ cattivo del termine: vendicativo e presuntuoso, ma queste sono leggende da appurare [4].
Fatto sta che avvenne il patatrac e fu un doppio errore. Mentre le spie gli riferivano ormai praticamente ogni giorno che il partito del golpe si ingrossava sempre di più e che i suoi antichi protettori facevano ormai orecchie da mercante, aveva provato a uccidere il presidente venezuelano Ròmulo Betancourt suo acerrimo nemico nell’OAS, cosa che ebbe come risultato l’imposizione di sanzioni contro la Repubblica peggiorando ancora di più le cose. In un delirio senile Rafael Trujillo si convinse che aveva soprattutto due spine nel fianco: le sorelle Mirabal e la chiesa cattolica. Non poteva togliere di mezzo la seconda, o almeno sarebbe stato molto più difficile, ma le prime si [5].Ordinare di uccidere degli oppositori politici era per lui era un fatto normale, quasi come respirare, aveva ordinato di uccidere Octavio De La Maza solo per creare una falsa bandiera per togliere di mezzo un testimone di un omicidio politico.
Alle Mirabal aveva sequestrato tutto, le aveva messe in prigione, e poi per non inimicarsi troppo il popolo le aveva pure liberate [8]. Ora fece arrestare i mariti, permettendo alle mogli di andarli a trovare in carcere. Fu durante il viaggio di ritorno da Puerto Plata, che si trovava al di là di una catena di montagne raggiungibile con una strada considerata molto pericolosa, che le tre donne (la quarta sorella Dedé non era con loro, Patria aveva solo accompagnato le altre due poiché suo marito non era un militante) furono fermate dalla SIM, portate in un campo di canne da zucchero e uccise, sembra prima a bastonate e poi probabilmente strangolate; per inciso fu fatto fuori anche il loro autista Rufino de la Cruz (il fatto di essere maschio non lo salvò). Poi la SIM simulò un incidente a cui non credette nessuno [5].Era il 25 novembre 1960.
Secondo Leandro Guzmán, intervistato alla radio, l’ordine di uccidere era partito direttamente da Rafael Trujillo e Minerva era ben consapevole dei rischi del viaggio ma pensava che la difficile situazione internazionale le avrebbe protette [9]. La cosa fu certamente uno shock per la popolazione. Rafael l’aveva fatta fuori dal vaso, intendiamoci l’aveva fatta altre volte, tante volte, ma in quel momento fu la classica goccia che lo fece traboccare. Oltre alla paura di una rivoluzione castrista, c’è un altro fattore importante nell’impatto dell’omicidio sulla società domenicana: il nazionalismo che univa le élite progressiste e conservatrici per cui anche per queste ultime l’omicidio fu uno shock. Il generale Roman, detto Pupo, figura alla quale l’incombente complotto conservatore, coltivato dalla CIA, avrebbe di lì a poco affidato il compito di succedere a Trujillo, tornando a casa dopo la scoperta dell’omicidio gettò il cappello per terra e disse sconsolato: “Questo è l’inizio della fine. Non penso che le persone possano essere trattate in questo modo, specialmente le donne” [5].
Circa sei mesi dopo un’altra auto fermò l’auto del dittatore, quattro uomini armati scesero dall’auto, Trujillo, nonostante fosse già ferito da una prima scarica quando le auto erano ancora in moto, scese in strada anche lui armato. Forse sperava di cavarsela, ma era da solo con un’ unica guardia del corpo di scorta, in pochi minuti era per terra morto, il colpo di grazia gli fu dato da Antonio De La Maza. Le armi dei congiurati erano state fornite dalla CIA, anche se questo pure fu a quanto pare un errore di precipitazione da Washington. Il via libera era partito senza nessun consulto con i piani alti. Questi, a partire dallo stesso presidente Kennedy, erano diventati molto prudenti dopo il fallimento in aprile della Baia dei Porci, per cui cercavano di frenare i bellicosi congiurati che loro stessi avevano coltivato, ma le cose precipitarono molto prima che la CIA riuscisse a invertire la marcia [5].
Il paese collassò nel caos, a dimostrazione che non c’era stata alcuna preparazione né da parte americana né domenicana, ci furono processi sommari, torture, esecuzioni, vendette che costarono la vita a 27 persone: i principali congiurati tutti uomini [5].Dopo un breve intervallo democratico un nuovo colpo di stato avvenne nel 1963 deponendo Juan Bosch, il presidente eletto di ispirazione socialista. Manolo Tavárez Justo, che era il leader del Movimento 1J4, in seguito a questo entrò (nuovamente) in clandestinità e sorpreso sulle montagne fu fucilato a Las Manaclas insieme ad altri 28 compagni tutti uomini [10]. Il paese si riprese solo alcuni anni dopo con un nuovo presidente-dittatore Joaquin Balaguer, già in passato fantoccio di Trujillo, più accomodante con i protettori USA.
Cosa ha che fare il femminismo, la violenza sulle donne, l’essere uccisa in quanto donna, con tutto questo? Assolutamente nulla. Si tratta di una pura creazione mitopoietica.
Le Mirabal erano delle militanti, forse non avrebbero abbattuto la dittatura, il 1J4 non era abbastanza forte, ma il regime, cioè El Jefe, fu preso dal panico in un momento critico e reagì in modo spropositato. Erano felicemente sposate con uomini che amavano e con i quali avevano fatto dei figli, e con i quali soprattutto condividevano un idea di giustizia che non era quella di El Jefe e dei suoi (ex) protettori imperialisti e assassini per procura come sempre.
Julia Alvarez era ben conscia di tutto questo, non è una stupida, la sua famiglia espatriò poco prima dell’omicidio delle Mirabal quando lei aveva solo 10 anni nel 1960. Ha cercato ne “Il tempo delle Farfalle” ed anche nel suo secondo romanzo “In the name of Salomé” di attaccare l’imperialismo americano criticando implicitamente la dottrina di Monroe e l’atteggiamento paternalista degli USA nei confronti di stati che nell’ambito di una storia comune hanno subito costanti umiliazioni, cosa ignota al pubblico americano normalmente autoreferenziale [11,12]. Certamente ha usato anche il registro femminista che è una parte importante del suo approccio, ma la celebrazione del “femminismo delle Mirabal” non era l’unico obiettivo. Tuttavia alla fine questa operazione ha contribuito a crearne il mito nonostante l’autrice dichiari proprio di voler evitare questo [4,12]. Mito che ha sicuramente influito sulla decisione di dedicare alla violenza sulle donne il 25 novembre e che ha reso incerto il suo tentativo, già debole, di dimostrare le responsabilità storiche degli USA annegandolo nel femminismo istituzionale di cui il mondo anglosassone è il portabandiera, seguito a ruota dall’America Latina.
E’ anche comprensibile che nel 1981 il 1° Incontro delle femministe Latinoamericane e dei Caraibi decidesse di festeggiare il 25 novembre come giornata contro la violenza sulle donne in onore delle sorelle Mirabal [13]. Nel 1981 il socialismo reale era ancora in piedi, il femminismo latino americano era ancora fortemente innervato da una componente marxista anche in opposizione agli USA e all’occidente (da noi era iniziato il riflusso con la marcia dei quarantamila della FIAT). Le Mirabal, anche se non femministe, forse nemmeno comuniste, erano comunque un esempio di lotta contro le dittature [14].
Oggi però il ruolo e la storia delle Mirabal sono nella sostanza stati traditi e sconosciuti ai più. Sarebbe forse stato più giusto se proprio si voleva celebrare una giornata contro la violenza magari riferirsi a qualcuna delle vittime di Ciudad Juarez? Esmeralda Herrera, Laura Ramos e Claudia Gonzales forse sì vittime di “femminicidio”? [15]. Povere ragazze uccise in circostanze misteriose con la connivenza di un sistema criminale integrato negli stessi apparati dello stato. Anche qui però le cose non sono chiare, sono queste giovani vittime di una violenza machista, o di un sistema, quello delle maquilladoras, che ha spezzato e distrutto i vincoli familiari che le proteggevano? Tornando alle Mirabal, perché prendere come esempio degli omicidi politici che chiaramente non hanno nulla a che vedere con l’uccisione di “donne in quanto donne” categoria probabilmente inesistente?
Onore dunque alle sorelle Mirabal in quanto militanti rivoluzionarie, come Manolo, Manuel, Fernandez, Juan, Euclides, e molti, molti altri.
[1] International Day for the Elimination of Violence Against Women
https://www.un.org/en/observances/ending-violence-against-women-day
[2] https://www.unwomen.org/en/what-we-do/ending-violence-against-women/take-action/16-days-of-activism
[3] Il tempo delle Farfalle, Julia Alvarez, Giunti 1997. In the Time of Butterflies, 1994.
[4]Historiographic Metafiction in “In the Time of Butterflies”, Isabel Z. Brown, South Altantic Review, 64, 98, 1999.
[5] Bernard Diederich, Trujillo, The Death of the Dictator, Markus Wiener Publishers 2000 (1° ed. 1977 – The Death of the Goat). L’opera di Diederich è quella ritenuta maggiormente affidabile essendo l’autore, all’epoca corrispondente dai Caraibi da molti anni, presente sul posto subito dopo l’assassinio di Trujillo. Oltre alle citazioni date nel testo in molti casi le notizie sono tratte da questo libro.
[6] https://planlea.listindiario.com/2019/06/la-expedicion-de-constanza-maimon-y-estero-hondo-14-y-20-de-junio-de-1959/
[7] https://www.history.com/news/mirabal-sisters-trujillo-dictator
[8] Nel gennaio del 1960 i complotti dell’1J4 furono scoperti e un centinaio di militanti furono arrestati, tra cui Minerva e Maria Teresa. Molti furono torturati e morirono. Non è chiaro seanche le due sorelle furono torturate, nel romanzo della Alvarez solo Maria Teresa viene torturata, ma senza molti dettagli. Dopo la fine di Trujillo vi furono numerosi arresti di uomini e donne collegati coi cospiratori, ma mentre molti uomini morirono sotto tortura, le donne non furono mai toccate, al massimo furono minacciate di esserlo ma nessuna subì le orribili sevizie della SIM.
[9] https://www.bachillere.com/2018/10/biografia-maria-teresa-mirabal/
[10] https://es.wikipedia.org/wiki/Movimiento_Revolucionario_14_de_Junio
[11] Patriotism, Nationalism and the Fiction of History in Julia Alvarez “In the Time of Butterflies” and “In the name of Salomé”, Maya Socolovsky, Latin American Literary Review, 34, 5, 2006.
[12] Remaking Identity, Unmaking Nation: Hystorical Recovery and Reconstruction of Community in “In the Time of Butterflies” and “The Farming of Bones”, Lynn Chun Ink, Callaloo, 27, 788, 2004, lo critica dal punto di vista femminista sostenendo che non può esistere un nazionalismo in accordo col femminismo, oltre a mostrare una volta di più che la scrittrice ha contribuito al mito delle Mirabal invece di umanizzarle. Questo dimostra bene anche i limiti del tentativo della Alvarez di creare un “femminismo delle Mirabal”.
[13] Una delle promotrici del 25 novembre nel 1981 era Magaly Pineda che aveva fatto parte del Movimento 1J4 e sposato uno dei suoi dirigenti Rafael Francisco Taveras. Molto giovane Taveras aveva partecipato alle prime attività ed era tra gli arrestati del gennaio 1960, fu l’ultimo dirigente del 1J4 fino al suo scioglimento nel 1968.Pineda non era nella Repubblica Domenicana nel momento dell’omicidio delle Mirabal poiché era in esilio a Portorico con la famiglia avendo solo 17 anni, la madre era imparentata con uno dei fondatori del 1J4, Manuel Tejada Florentino, che fu torturato e ucciso a inizio 1960.
[14] All’epoca infatti era ancora in atto lo scontro tra femminismo liberal che tendeva a perseguire scopi propri delle donne, derivato dal femminismo americano ed europeo, e femminismo di sinistra che voleva la rivoluzione. Questo estratto dal commento al 1° Encuentros Feministas Latinoamericanas y del Caribe in Colombia è abbastanza chiaro (per quanto un tantino confuso anche nell’originale inglese):
“In questo incontro fondamentale era importante che le donne discutessero come avrebbero definito il femminismo. Da un lato c’erano gruppi che respingevano le femministe come élite senza alcuna comprensione della realtà politica e sociale delle donne della classe media e bassa, e dall’altro c’erano le militanti politiche, che erano viste come estremiste di sinistra intente a continuare gli sconvolgimenti rivoluzionari da cui erano emersi così recentemente i vari paesi. Le femministe sostenevano che non erano focalizzate sull’ottenimento di obiettivi pratici (femminili), ma desideravano piuttosto un’attenzione strategica (femminista) pertinente. Le militanti hanno sottolineato che l’unico modo per raggiungere tutte le donne era con “l’organizzazione del partito di sinistra e la mobilitazione rivoluzionaria””.
Su un sito colombiano appare nel 2021 la seguente dedica (originale in spagnolo):
“Il 25 novembre 2021 ricorre il 40° anniversario di una giornata dedicata a rendere visibile e denunciare la violenza contro le donne. La data è stata proposta al Primo Meeting femminista latinoamericano e caraibico (Bogotá/Cartagena, 1981) per commemorare l’assassinio nel 1960 delle sorelle Mirabal, attiviste dominicane contro il regime dittatoriale nel loro Paese. Si riassumeva così un’intera memoria collettiva della resistenza politica delle donne latinoamericane contro i regimi militaristi autoritari e patriarcali.”
Per quanto sia una traccia debole sembra che nell’America latina vi è ancora una memoria storica diversa da quella che viene propagandata nel mondo occidentale e setogliessimo l’ultima parola la frase suonerebbe molto diversa.
[15] Corte Interamericana de Derechos Humanos,Caso González y otras (“Campo Algodonero”)vs. México, Sentencia de 16 de noviembre de 2009.
https://www.corteidh.or.cr/docs/casos/articulos/seriec_205_esp.pdf
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