Foto: Dagospia (da Google)
Nonostante le mie note posizioni politicamente s-corrette, qualche collega fra i giornalisti mi è rimasto ancora amico e ogni tanto, come è normale fra amici, ci si fa anche delle confidenze.
Ebbene, in seguito ai gravi fatti avvenuti a Liverpool prima della partita fra la locale squadra e l’A.S. Roma dove un gruppo di ultrà romanisti ha aggredito e mandato in fin di vita (è di fatto clinicamente morto) un tifoso del Liverpool, nelle redazioni di alcuni importanti network, in particolare televisivi, è arrivato l’ordine di scuderia di non enfatizzare quanto avvenuto. Non faccio nomi, trattandosi di uno scambio confidenziale, né dei colleghi che mi hanno fornito l’informazione né delle testate in questione. La scelta di “silenziare” il tutto sarebbe motivata da ragioni di ordine pubblico, per evitare cioè di far salire la tensione in vista della partita di ritorno che si terrà all’Olimpico mercoledì prossimo.
Ora, se da un certo punto di vista tale scelta può essere comprensibile, non può però impedirci dal fare alcune considerazioni.
Alcuni mesi fa, per un episodio che non esito a definire ridicolo, fu montata una vera e propria campagna politico-mediatica che giunse ad avere un’eco mondiale. Mi riferisco al fatto che una decina di idioti, tifosi della Lazio, appiccicarono su una vetrata della curva sud dello stadio Olimpico, in occasione della partita casalinga con il Cagliari, alcuni adesivi con il volto di Anna Frank che indossa la maglia della A.S. Roma (la stessa cosa viene fatta sistematicamente a parti invertite ma è emersa solo in questo caso…). Secondo le menti bacate di questi gruppi di ultrà nazifascisti mentecatti che occupano da almeno trent’anni le curve sia della Lazio che della Roma (così come di tante altre curve italiane), questo è uno sfottò come tanti altri. D’altronde, sempre da trent’anni a questa parte, non c’è una partita che è una dove non vengano intonati cori e slogan razzisti o esposti striscioni altrettanto razzisti.
Ora, se quel fatto specifico (uno fra i tantissimi che avvengono ogni domenica in tutti gli stadi ma anche fuori) non fosse stato notato da alcuni osservatori, diciamo così, molto zelanti, sarebbe passato del tutto inosservato. Del resto, i muri di tutta Roma sono imbrattati di croci celtiche, svastiche, scritte che inneggiano al nazismo, al razzismo, all’antisemitismo, molto spesso firmati da sigle che fanno riferimento a gruppi ultrà dell’una e dell’altra squadra della Capitale, e solo un cieco o uno in malafede può non accorgersene.
Ebbene, in quell’occasione si scatenò il finimondo, il gesto di quei quattro imbecilli (fra cui anche un ragazzino di tredici anni…) finì sulle prime pagine di tutti i giornali, scesero in campo il Presidente del Consiglio Gentiloni, il Presidente della Repubblica Mattarella, il segretario del PD Renzi, vari ministri e leader di altri partiti, la comunità ebraica romana, italiana e internazionale, il ministro dello sport e quello della cultura israeliani, diversi leader politici europei; ricordo che, fra gli altri, anche il New York Times fece un editoriale per stigmatizzare quanto avvenuto. Per alcune settimane non si parlò d’altro, in tv, sui giornali, ovunque, e chi lo nega non è in buona fede. Il Presidente della Lazio, Claudio Lotito, si recò presso la Comunità ebraica per chiedere scusa e depositare una corona di fiori in memoria dell’Olocausto e chiarire che quanto accaduto era solo l’atto di un gruppo di esagitati e sconsiderati che nulla aveva a che vedere con la passione sportiva dei tifosi della Lazio. Fu cacciato, anche in malo modo e la corona di fiori fu gettata nel Tevere.
In virtù di ciò, ulteriori considerazioni sono d’obbligo e sono la logica e l’onestà intellettuale che ce lo impongono.
La prima. Appiccicare un adesivo, per quanto odioso e becero, non può essere considerato più grave che aggredire a martellate una persona e ucciderla o ridurla in fin di vita. Se dovessimo però misurare la gravità dei due gesti sulla base della risonanza mediatica che hanno ottenuto, ne dovremmo necessariamente dedurre che appiccicare un adesivo è infinitamente più grave che uccidere una persona. Il che è ovviamente assurdo, illogico e sbagliato. Un insulto, per quanto spregevole, resta un insulto, mentre un omicidio resta un omicidio (o anche un’ aggressione violenta) e “dalle mie parti” è considerato un po’ più grave, per usare un eufemismo.
Ora, se l’uccellino birichino mi dice che quando c’è di mezzo qualcosa che ha a che vedere con la comunità e con la questione ebraica – fosse anche uno starnuto di troppo di qualcuno che passeggia sul Lungotevere davanti alla Sinagoga – si scatena l’ira di Dio (anche se nello stesso giorno è scoppiata una guerra…), pensate che stia dicendo qualcosa di così scandalosamente indicibile, oppure che mi stia avvicinando al vero?
La seconda. La premessa è che alcuni amici replicheranno che parlo da tifoso e non da osservatore equilibrato. Non è così ma non è in mio potere fare nulla per convincerli del contrario.
La teoria del capro espiatorio non l’ho certo inventata io. Ricordo l’esame di sociologica politica come uno dei più interessanti da me sostenuti nel mio secondo corso universitario. E la parte monografica verteva proprio sul concetto del capro espiatorio. Furono portati molti esempi fra cui la tragedia dell’Heysel che vide l’espulsione per anni di tutte le squadre inglesi dalle competizioni internazionali (e relativa criminalizzazione di tutti i tifosi inglesi), la fucilazione di Ceaucescu in Romania avvenuta in fretta e furia e in seguito ad un processo farsa (non si potevano certo fucilare 50.000 burocrati compromessi fino al collo con quel regime, fra cui anche gli stessi che lo stavano processando…), la vicenda di Craxi nell’ambito di “Tangentopoli” (non si potevano mettere in galera decine di migliaia di politici e loro galoppini) e tanti altri ancora. Il capro espiatorio è una sorta di lavacro, di lavaggio purificatore con il quale la società e tutti noi ci mondiamo dei nostri peccati, per utilizzare un celebre modo di dire. Si individua il colpevole, vero o presunto che sia (non è poi così fondamentale…), e si scaricano su di esso tutti i “mali” di cui tutti o in tanti sono corresponsabili.
E’ del tutto evidente – sempre che ci si armi di un pizzico di onestà intellettuale – che la tifoseria della Lazio è stata da tempo criminalizzata ed individuata da tutti i media come quella “fascista e razzista”. Poco conta che pressochè tutte o quasi le maggiori tifoserie di tutto il Belpaese siano dichiaratamente fasciste. Poco conta che i più gravi episodi di violenza da sempre avvenuti siano stati commessi da ultrà di altre squadre e non da quelli della Lazio (che non ho nessuna intenzione di difendere, sia chiaro, perché sono beceri quanto gli altri…). Quello che conta è che quelli della Lazio, a torto o a ragione (secondo me sia a torto che a ragione) si sono fatti la nomea dei fascisti e dei razzisti. E questa nomea che un po’ se la sono creata e un po’ (molto) gliel’hanno appiccicata i media, non se la scrolleranno più di dosso. Ricordo quello che mi disse mio padre prima di entrare al liceo:”Fabrì, sii furbo, fatti notare, studia e comportati bene nei primi mesi di scuola, perché dopo camperai di rendita, anche se farai casino, anche se studierai di meno, anche se sarai più distratto, anche se farai più scioperi e assemblee che ore di lezione, perché quello che conta è la nomea che ti sarai fatto nei primi mesi, e quella non te la leverai più di dosso. Guai a cominciare male, perché poi dovrai sudare sette camicie per ricostruire quella immagine che tu stesso ti sei cucito e che ti cuciranno sempre di più addosso, e per prendere una sufficienza dovrai studiare come se dovessi prendere il massimo dei voti”. Aveva ragione.
Ecco, con la tifoseria della Lazio è successo e succede esattamente la stessa cosa. Poche settimane dopo quella vicenda degli adesivi, un gruppetto di tre ultrà fascisti romanisti ridusse in fin di vita un immigrato. La notizia sarà stata sì e no un giorno o due sulle cronache locali dei principali quotidiani. Solo che lì non c’era di mezzo la comunità ebraica ma un immigrato di non ricordo quale nazionalità, e non c’erano di mezzo gli ultrà laziali ma quelli romanisti (ma se fossero stati di altre squadre sarebbe stata la stessa cosa).
Chiariamo subito un punto fondamentale onde evitare banalizzazioni. Qui l’essere della Lazio o della Roma o di qualsiasi altra fede calcistica non c’entra assolutamente nulla. Quelli sono fascisti e razzisti e teppisti e criminali, a prescindere dalla loro collocazione nel panorama calcistico. Il problema è che le logiche mediatiche sono spietate. E in virtù di quelle logiche ormai i tifosi della Lazio sono quelli che fanno notizia in questi casi. E ai media interessa fare notizia (e vendere), non raccontare la verità, che con il sistema mediatico ha ben poco a che vedere. Su tutto questo aggiungiamo doverosamente (è un fatto) che Juventus, Roma, Milan, Inter, Napoli sono società potenti, molto più potenti della Lazio, hanno grossi gruppi imprenditoriali e/o finanziari alle spalle, un grande bacino di utenti, di tifosi, molta più audience rispetto ad altre squadre e per questo sono pompate dai media che hanno tutto l’interesse (interesse reciproco) a sostenerle. E’ il sistema calcio, che ormai riguarda i media, le televisioni, gli sponsor, i gruppi finanziari e imprenditoriali, le banche, la politica. Chissà come mai i giornalisti di tutte le testate giornalistiche non si peritano di andare a dare una sbirciatina alle curve di quelle squadre. Avrebbero delle belle sorprese (si fa per dire, lo sanno tutti e loro in primis…), dalla penetrazione dei gruppi di estrema destra (Juventus, Inter, Roma, Verona, Torino, Milan, Udinese ecc.), a quella della criminalità organizzata (Napoli, Juventus ecc.). “Epperò” quelli “brutti, sporchi e kattivi” sono sempre quelli della Lazio che ovviamente “sò tutti fasci”. Per le stesse ragioni, penso che espellere la A.S. Roma dalle coppe europee oppure farla giocare a porte chiuse per un tot periodo di tempo, come sembra stia paventando l’UEFA, sia un provvedimento ipocrita e del tutto inutile che finisce solo per penalizzare i tanti supporter romanisti che non sono certo responsabili per gli atti di violenza commessi dalle bande di ultrà di cui sopra.
Per concludere, una breve riflessione sui fatti incresciosi di Liverpool e su tutti i fatti di questo genere.
Puntualmente, in frangenti come questi, si scatena la solita orchestra di sociologi, psicologi (e cretini, come recitava una vecchia canzone di un cantautore degli anni ‘70, Gianfranco Manfredi…), opinionisti e salottieri vari. E ciascuno di questi ci racconta la sua versione. Chi parla di emarginazione sociale, chi di “sparuti gruppi di violenti e provocatori”, chi di mancanza di prospettive, chi di una società che educa alla violenza, chi di vuoto di senso e tante altre cose ancora. E in ciascuna di queste spiegazioni c’è anche sicuramente del vero o una parte di vero.
Tuttavia, anche in questo caso, un paio di considerazioni.
La prima. La violenza è sempre esistita e sempre, purtroppo, esisterà. Per lo meno fin dove ci è possibile arrivare con la nostra mente e anche con la nostra immaginazione (che è comunque data dal fatto di vivere in questo mondo e non in un altro). Se poi in un futuro molto remoto si riuscirà a costruire un mondo senza violenza o comunque dove i conflitti verranno vissuti in modo infinitamente meno traumatico rispetto a come sono stati vissuti fino ad ora, non è dato saperlo. Mi pare però una visione di tipo escatologico e anche un po’ (tanto) religioso, anche laddove un simile orizzonte venga sostenuto da posizioni filosofiche ultra laiche o atee.
Tutto sommato mi sento di dire che dai tempi in cui si andava nelle arene (che erano gli stadi dell’epoca) a vedere gli uomini che si scannavano fra loro nel vero senso della parola, oppure sbranati dai leoni, e che il pubblico decideva della vita o della morte dei malcapitati con un semplice gesto del pollice, qualche passo in avanti lo abbiamo fatto. Per cui affrontiamo il tema della violenza, come è doveroso che sia, ma sempre relativizzandolo e contestualizzandolo, onde evitare di cadere in errore, sia ridimensionandolo che ingigantendolo o peggio, trattandolo in modo strumentale per ragioni mediatiche e/o politiche.
In tal senso, credo che ci si debba interrogare su quali possano essere le ragioni che spingono dei giovani a forme di violenza così stupide, cieche, irrazionali, prive di ogni motivazione e logica, che li portano a gettare al vento la loro stessa vita per un “gioco” tanto stupido.
La prima (ma non in ordine di importanza) è la noia. La noia è una brutta bestia, Schopenhauer sosteneva che fosse addirittura peggiore del dolore. Io non arrivo a questo punto, però non c’è dubbio che sia un aspetto importante nel determinare certe scelte di vita. La noia gioca brutti scherzi, soprattutto su menti fragili e su persone che non hanno nulla da fare nel vero senso della parola. Perché è evidente che solo uno che non ha nulla da fare e che non ha risorse di nessun genere, può riempire la propria esistenza scegliendo una “vita da ultras”, cioè sostanzialmente prendersi a legnate con altri ultrà che fanno il tifo per dei divi che guadagnano miliardi e che se ne infischiano altamente di loro (se non fosse per il fatto che portano soldi…).
La seconda, è in parte già detta. E’ ovvio che certi comportamenti affondano le loro radici in un vuoto assoluto di ideali e valori positivi. E non c’è alcun dubbio che quella attuale sia una società ultracapitalistica fondata sul nulla (se non sul profitto e sulla esposizione mediatica a cui solo pochi possono accedere), su un vuoto assoluto di valori positivi. Una società che viaggia a velocità della luce verso la disintegrazione morale e psicologica. Una disintegrazione che forse genera danni ancora maggiori di quelli causati dalla disoccupazione, dal precariato come condizione esistenziale e in generale dalla mancanza di prospettive e dalle condizioni materiali di esistenza (comunque sicuramente migliori rispetto a quelle che hanno vissuto i nostri padri e i nostri nonni).
In questo vuoto assoluto, la logica del “branco”, di qualsiasi branco, viene in soccorso, o comunque può essere vista come una specie di scialuppa di salvataggio. E oggi, il mondo degli ultras, con le sue dinamiche psicologiche, le sue liturgie, i suoi miti (lo scontro con i nemici, il coraggio dimostrato, la forza, la spavalderia, l’essere più tosti degli altri ecc. ) condito all’armamentario ideologico fascista di sempre, può rappresentare una risposta a quel vuoto pneumatico di cui sopra a cui l’attuale ordine sociale e ideologico dominante non è in grado e non ha neanche interesse a dare una risposta.