L’Eurovision 2024 si è
concluso, ancora una volta il capitalismo dello spettacolo è andato in onda sul
palco europeo. Lo spettacolo ha sostituito la musica, il bel canto e le
coreografie, al loro posto vi è solo la società dello spettacolo con i suoi
eccessi e con il nichilismo che si maschera di libertà con discutibili talenti
musicali.
Il futuro di una
realtà sociale può essere dedotto, in modo non deterministico, dalla qualità
dei suoi spettacoli e delle sue rappresentazioni simboliche. L’Eurovision rende
palese lo stato di degrado progettuale di una civiltà incapace di pensare
criticamente il presente e di progettare un orizzonte di senso. Le esibizioni,
in genere, sono state segnate da una disarmonia estetica che riflette
l’irrazionalità in cui l’Europa è caduta e decaduta. Le asimmetrie cromatiche e
lo stile fantasioso e scoordinato non hanno la loro motivazione solo nel
desiderio di attrarre attenzione, in quanto la vocalità e i testi delle canzoni
erano “molto fragili”, essi sono,
specialmente, l’espressione dell’ordinaria
brutalità di una comunità che ha perso il senso della misura e vuole solo
sedurre. L’angloglobalizzazione con la
precarietà e lo sradicamento non possono che sviluppare estetiche disarmoniche.
Manca il concetto, per cui l’eccesso diventa l’unica stella cometa da seguire
per individualità corrose da forme di narcisismo inquietante e indotto. Non
sono mancati riferimenti al satanismo, non c’è da meravigliarsi. L’etica
comunitaria nelle sue declinazioni storiche si caratterizza per le individualità
in relazione. La comunità è lo spazio-tempo in cui il logos costruisce percorsi
di senso, nei quali l’individualità incontra l’alterità su fondamenti comuni.
Dove il concetto è la struttura portante della qualità di vivere anche lo
spettacolo assume forme razionali che favoriscono il logos e la riflessione
comune. L’Eurovision, invece, è liberismo realizzato, in esso i vincoli etici,
comunitari e di genere sono vissuti come un impedimento all’esondazione
narcisistica, pertanto i riferimenti al satanismo sono organici e inevitabili
in tale cornice musicale. La parola diavolo deriva dal greco dantico
-διαβάλλω, diabàllo, composizione di dia “attraverso” bàllo”, ovvero “dividere”. Il diavolo è l’incarnazione
simbolica dell’individualismo illimitato e solitario, la cui libertà sconfina
con il desiderio di “essere tutto e poter tutto”, per cui i riferimenti
satanici sono coerenti con il narcisismo informe e metamorfico e con la
struttura economica regnante. Le individualità sono scisse dalla storia e da se
stesse, esse sono connotate da un pericoloso ripiegamento su se stesso. La
divisione alimenta la solitudine emotiva e il “non pensiero” nella forma
dell’onnipotenza puerile.
La comunità è
possibile in presenza di identità stabili e capaci di dare una direzione politica al proprio
“esserci esistenziale comunitario”, il liberismo, invece, sollecita la morte delle identità di genere,
linguistica e comunitaria, per cui il “diavolo” rappresenta l’individualità
reificata. Non si tratta di una forma di
trasgressione ma di conservazione dell’ordine vigente. Una generazione
addestrata ai soli consumi e alla feticistica idolatria dei propri desideri non
può che essere il veicolo più certo per la tragica sopravvivenza dell’ordine
vigente. “Esseri” liquidi e senza razionalità sono disposti a prendere la forma
del recipiente che li ospita, poiché sono liquidi. Il capitalismo non può che
applaudire alla compiuta libertà di giovani senza forma e senza una direzione
politica pensata e meditata. Essi sono le vittime compiacenti di un sistema
doloroso e senza freni. Una società senza progetto politico e resa sterile dalla
disintegrazione dell’io non può che sostenere le camaleontiche trasformazioni
degli artisti. La loro libera espressione, in assenza di concetto e forma non
minaccia il sistema, ma lo consolida, pertanto i protagonisti sono trasformati
in un fenomeno identitario dell’Europa libera e disinibita che ha sostituito le
relazioni e la politica con l’ipersessualizzazione. Il nichilismo fluido è ciò
che l’Europa ha espresso nell’Eurovision. La politica e il concetto sono stati
cancellati dalla società dello spettacolo, vi è da sperare che il bisogno
profondo di pensare e di donare un senso etico alla propria esistenza possa
fessurare il “non pensiero” per uscire dalla gabbia d’acciaio della decadente
società dello spettacolo. Le parole di G. Debord risuonano oggi
vere e profetiche e su di esse dovremmo riflettere per riportare la realtà e la
razionalità:
“3. Lo spettacolo si
presenta nello stesso tempo come la società stessa, come parte della società, e
come strumento di unificazione. In quanto parte della società, esso è
espressamente il settore più tipico che concentra ogni sguardo e ogni
coscienza. Per il fatto stesso che questo settore è separato, è il luogo
dell’inganno visivo e della falsa coscienza; e l’unificazione che esso realizza
non è altro che un linguaggio ufficiale della separazione generalizzata[1]”.
L’Eurovision con le sue trasgressioni omologate non
scandalizza e non fa pensare, pertanto può solo contribuire al clima depressivo
in cui siamo immersi. Solo il concetto può emanciparci in direzione della
prassi, al “niente” bisogna opporre “più pensiero”.
[1]GuyDebord, La Società dello spettacolo, capitolo I: la divisione perfetta paragrafo III
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