Un paio di sere fa un gruppo di
tifosi della Lazio ha esposto a Roma in Piazza della Libertà (dove nacque nel
1900 la Polisportiva Lazio) uno striscione in onore di Ivo Bitetti, atleta e tifoso
della Lazio, antifascista e partigiano. Pensate che fu proprio lui a
riconoscere Benito Mussolini su un camion di soldati tedeschi mentre, con
indosso una divisa della Wermacht, stava cercando di fuggire e di sottrarsi al
suo destino.
E’ la classica notizia dell’uomo
che morde il cane, dal momento che l’essere tifosi della Lazio è stato ormai equiparato
all’essere fascisti. In larga parte – va riconosciuto – a ragion veduta, dal
momento che da almeno una quarantina d’anni la fascisteria romana più estrema si
è insediata nella curva nord, storica culla del tifo biancoceleste, fino a
sovrapporsi e ad identificarsi con essa. E’ successa nel tempo praticamente la
stessa cosa anche in casa giallorossa (dopo una breve parentesi negli anni ’70)
ma la Roma ha un pubblico molto più vasto rispetto a quello della Lazio, è una
squadra con una dimensione più “nazionalpopolare”, come si suol dire, va anche di
moda ed è anche molto più semplice, diciamoci la verità, in questa città, tifare
per la a.s. Roma, basta seguire la corrente. Non me ne vogliano i miei tanti
amici romanisti ma è così e lo sanno anche loro. Onde per cui nel mare magnum di
un pubblico molto più vasto ed eterogeneo la presenza, sia pur altrettanto
nutrita e organizzata, dei gruppi nazifascisti allo stadio si nota di meno e fa
meno notizia (sarebbe necessario aprire una riflessione sulla responsabilità
dei media per questo strabismo ma non è questo l’oggetto di questo post).
Insomma, a torto o a ragione (ma
meglio farei a dire in parte a torto e in parte a ragione), ormai da molto
tempo la Lazio è diventata la squadra fascista per definizione e dichiarare di
tifare per la Lazio, in Italia, in Europa e in tutto il mondo, equivale a
dichiararsi fascisti. Naturalmente le due cose non sono affatto sovrapposte ma
nell’immaginario collettivo le cose stanno così.
Ovviamente anche questo, dagli e
dagli, è diventato un trend, una moda, né poteva essere altrimenti; i ragazzini
che diventano della Lazio, infatti, diventano automaticamente e contestualmente
fascisti e viceversa. Il risvolto
grottesco e anche triste di ciò è che così facendo si sentono o credono di
sentirsi controcorrente quando in realtà sono degli omologati, né più e né meno
di altri loro coetanei di altra tendenza ideologica (un parolone, nel caso
specifico, ma ci capiamo…) che vanno ad ammassarsi ad un concerto di Achille
Lauro o dei Maneskin convinti di essere trasgressivi (i Maneskin sono talmente
trasgressivi che qualche anno fa, quando era presidente Biden, hanno fatto un
concerto nella “democratica” e politicamente “wokissima” California all’insegna
del “Fuck Putin”…). Sono i miracoli del politicamente corretto, la cui abilità
consiste proprio nel far sentire “scorretti” coloro che in realtà sono “politicamente
correttissimi”, allineati e coperti.
Oggi che in questo nostro spappolato
mondo occidentale non esiste più nessuna forma di autentica criticità, cioè
realmente sovversiva, va quindi molto di moda la finta trasgressione che può
assumere, come abbiamo appena visto, vesti completamente diverse fra loro, ma egualmente
innocue per l’ordine sociale e politico dominante (che infatti le alimenta).
Sarà, dunque, per una inguaribile vena romantica o per una durevole e nonostante tutto mai sopita passione rivoluzionaria, quando vedo persone che nel loro ambiente hanno il coraggio di schierarsi contro il senso comune (il buon senso – diceva il Manzoni – c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune) e in questo caso anche al rischio di beccarsi qualche manganellata o peggio, per me è sempre una boccata di aria fresca.
Fonte foto: La Capitale (da Google)