Elly è al centro della sala. Contornata da collaboratori dalle pose squisite. Il nuovo management si presenta nella sua plastica informalità. La socievolezza aziendale è sciolta, misurata e confortevole. Viviamo tutti in un grande progetto ricco di iniziative, idee. È innovazione costumata. La nuova azienda democratica non si arrocca in doppiopetti, in piani alti. I sorrisi pacificano l’atmosfera. Lì, sullo sfondo di un locale post-industriale, avanza la lotta al neo-liberismo.
Solo in Italia si parla di neo-liberismo. Mai di neo-liberalismo. Si vorrebbe far intendere che quel termine alluda a una riedizione stantia della mentalità ottocentesca con qualche spruzzata di arcaico conservatorismo. Ma si nega, offuscando il neo-liberalismo, che si tratti di un’ideologia complessa, che tocca l’economico solo in parte. Anzi che concepisce un’antropologia progressista. Il nuovo militante del capitalismo, nato nel 1985, crede fermamente nell’abbaglio creativo di un capitalismo a misura dell’intraprendenza personale.
Il nodo è il progresso. La fiducia nell’evoluzione raggiunge vette di puro spiritualismo. Basta districarsi in ottime reti di conoscenza, grazie alle quali la militanza diventa groviglio di buone frequentazioni. Rigorosamente fuori dai partiti. Le diseguaglianze risolvibili con spinte gentili formulate da un pizzico di compostezza urbana, da soldati della civiltà con i loro compendi pedagogici che insegnano a investire su sé stessi. Democratizzare il capitale sociale. Condiviso senza ricatti da clan mansueti. La politica non è mai conflitto. La democrazia è persuasione.
Il libero mercato insegna a concepirsi impresa. Ma un’impresa alla ricerca di legittimazione sociale. Per questo motivo Trump, la Meloni sono brutti e cattivi. Non tanto per le misure di indirizzo politico che sono le stesse. Ma per la mancanza di decoro. La loro protervia riaccende passioni conflittuali. La fede nel progresso non ricerca collisioni tra classi.
Il popolo unito si deve fidare della taumaturgica presa di coscienza delle grandi corporations. Capaci di affrontare epocali tematiche. L’inclusione, il razzismo, l’ambiente. Le si deve assecondare nella loro volontà di assicurarsi direttamente la responsabilità della governance mondiale. Forse il prossimo obiettivo nella progressiva privatizzazione della sfera pubblica.
Cercare nuovi mercati esistenziali. Purificatori. Questa è la sinistra. L’utopia di un commercio senza stati val bene anche le guerre. Se accompagnate da intenti civilizzatori. L’etica borghese e piccina dei vecchi soldati del profitto, quelli ancorati a disegni arcaici di parsimonia familistica, è sorpassata. Quella è la destra. Il capitale ha ora bisogno di sinistra. Di un soggetto finalmente liberato dai vincoli delle grandi narrazioni. Del socialismo per esempio.
Serve la sua scintilla feconda in grado di comporre comunità affidabili. Sorridenti. Una base di consenso affrancata dall’entusiasmo per il futuro. Legata dagli affetti. Un essere umano che evolve nella sete di performance, dove si produce anche durante un gioviale aperitivo. La bonomia aiuta a sotterrare la subordinazione, lo sfruttamento. La sinistra è una start-up. Così si sconfigge il neo-liberismo.