Ero stato invitato qualche settimana fa da alcuni studenti di una scuola dove ho insegnato negli anni scorsi ad intervenire ad una assemblea convocata per discutere del conflitto israelo-palestinese. La mia presenza, oltre che come analista, era richiesta soprattutto per via della mia esperienza sul campo, essendo stato molte volte nei territori occupati, Gaza e Cisgiordania, come reporter, per alcuni anni. L’assemblea era stata regolarmente autorizzata dal Consiglio di Istituto.
Sennonchè pochi giorni prima i genitori di alcuni studenti ebrei hanno fatto pressione affinchè intervenisse qualcun altro, oltre al sottoscritto, a fare da controcanto, cioè a parlare in favore di Israele (ovviamente hanno preso informazioni su chi fossi).
Gli studenti hanno però giustamente rifiutato non perché temessero il confronto, naturalmente (tanto meno il sottoscritto), bensì perché l’iniziativa era nata con la precisa intenzione di ascoltare una esperienza diretta, un racconto dal vivo di una persona che è stata in quei posti tante volte. Il risultato è stato che l’assemblea non si è più svolta.
Ai miei tempi, naturalmente, il problema non si sarebbe neanche posto, l’assemblea si sarebbe svolta, gli studenti l’avrebbero gestita autonomamente e avrebbero scelto in totale autonomia chi far intervenire. Ma, appunto, erano altri tempi. E’ stato già un atto coraggioso da parte loro, in questo frangente, rifiutarsi di prestarsi ad un sorta di talkshow in miniatura imposto da alcune famiglie – con una evidente intromissione in un ambito non di loro competenza – evidentemente in grado di esercitare una pressione sulla presidenza e il corpo insegnante.
Segnalo il fatto per conoscenza, come si suol dire. Chissà se a parti invertite – cioè se qualche famiglia palestinese o araba avesse fatto pressione sulla scuola e sugli studenti per imporre qualcuno che parlasse in favore della Palestina – l’esito sarebbe stato il medesimo. Bisogna sempre fare questa operazione per capire come funzionano le cose…
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