Dulce et decorum est pro patria mori


A poco più di un secolo di distanza, la storia sembra ripetersi. Torna “l’uomo marziale”, sostenuto da governanti e intellettuali. Lo spirito marziale come somma delle migliori qualità dell’uomo. La schiera dei suoi sostenitori va dai reazionari ai rivoluzionari, dai religiosi agli atei, dai giornalisti ai filosofi. Come allora, negli anni che precedettero la Grande Guerra, le armi paiono belle ancor prima che necessarie. “Come avrebbe potuto l’artista, il soldato nell’artista, non lodare Iddio per il crollo di quel mondo di pace, di cui era così sazio, così nauseato!” così scriveva Thomas Mann (Scritti storici e politici). E così molti altri intellettuali, tranne rare eccezioni come Bertrand Russel, cresciuti in tempi di sicurezza e tranquillità, sentivano l’irresistibile attrattiva dell’incognito, il fascino dei grandi pericoli. La guerra li aveva presi come un’ubriacatura, come offerta di grandezza, forza e dignità.“A prescindere da come finirà, questa guerra è grande e meravigliosa” (il sociologo Max Weber). “Com’è bella e fraterna la guerra” (Robert Musil). E potremmo continuare con citazioni all’infinito. Salvo poi, subito dopo l’inizio del conflitto, ricredersi e ritrarsi di fronte all’orrore. Ernst Jünger, così racconta il suo arrivo sul campo di battaglia proprio in occasione di un bombardamento: “Cos’era avvenuto? La guerra aveva mostrato gli artigli e gettato via di colpo la sua maschera di bonomia. Era stata come l’apparizione di un fantasma in pieno mezzogiorno”. Così scrive colui che, come gli altri, aveva dapprima salutato la guerra con entusiasmo.“Le belle frasi sul conflitto rigeneratore ben presto divennero stantio inchiostro da stampa su carta abbrunita” (il pittore George Grosz).Nessuna traccia di palingenesi, nessun esempio di uomo nuovo: restava solo una mostra di orrori.

Oggi che la storia sembra ripetersi, sta a noi far sì che non accada.

Una poesia di Wilfred Owen, poeta inglese morto in battaglia nel novembre 1918:

Piegati in due, come vecchi straccioni, sacco in spalla,

le ginocchia ricurve, tossendo come megere, imprecavamo nel fango,

finché volgemmo le spalle all’ossessivo bagliore delle esplosioni

e verso il nostro lontano riposo cominciammo ad arrancare.

Gli uomini marciavano addormentati. Molti, persi gli stivali,

procedevano claudicanti, calzati di sangue. Tutti finirono azzoppati; tutti orbi;

ubriachi di stanchezza; sordi persino al sibilo

di stanche granate che cadevano lontane indietro.

Il gas! Il GAS! Svelti ragazzi! – Come in estasi annasparono,

infilandosi appena in tempo i goffi elmetti;

ma ci fu uno che continuava a gridare e inciampare

dimenandosi come in mezzo alle fiamme o alla calce…

Confusamente, attraverso l’oblò di vetro appannato e la densa luce verdastra

come in un mare verde, lo vidi annegare.

In tutti i miei sogni, davanti ai miei occhi smarriti,

si tuffa verso di me, cola giù, soffoca, annega.

Se in qualche orribile sogno anche tu potessi metterti al passo

dietro il furgone in cui lo scaraventammo,

e guardare i bianchi occhi contorcersi sul suo volto,

il suo volto a penzoloni, come un demonio sazio di peccato;

se potessi sentire il sangue, ad ogni sobbalzo,

fuoriuscire gorgogliante dai polmoni guasti di bava,

osceni come il cancro, amari come il rigurgito

di disgustose, incurabili piaghe su lingue innocenti –

amico mio, non ripeteresti con tanto compiaciuto fervore

a fanciulli ansiosi di farsi raccontare gesta disperate,

la vecchia Menzogna: Dulce et decorum est

pro patria mori.

Fonte foto: Wikipedia (da Google)

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