Dalla Siria all’Ucraina, la narrazione mediatica dei conflitti passa per questo paradosso: alla copertura h24 della guerra corrisponde l’assenza del racconto della guerra; ossia la guerra non viene di fatto raccontata: gli schieramenti, tanto per cominciare; le dinamiche approfondite, le linee di tensione accumulate, gli aspetti geostrategici. Tutti elementi imprescindibili per la comprensione di un conflitto. Nulla di tutto questo. Negli anni in cui l’attenzione perenne sugli attentati di matrice islamica che hanno colpito le città europee servì a dirigere il consenso verso l’intervento in Siria, credo che si sia riuscito a non dire quasi mai, e mai chiaramente, che la vasta coalizione a guida franco-americana è stata alleata con l’Arabia saudita e altre monarchie del Golfo (finanziatrici, tra l’altro, di alcuni gruppi terroristici in funzione anti-Assad); contro Russia e Iran alleate di Assad. Gli schieramenti. A dire questo ci vuole un minuto, non 24 ore, ma questo è già sufficiente a chiudere un primo – certamente iniziale – circuito di comprensione. E quindi non lo si dice. Si dice e si martella senza sosta: “Siamo sotto attacco. I valori dell’Occidente sono sotto attacco. Le nostre libertà sono sotto attacco Dobbiamo rispondere. Non possiamo non rispondere”. (A proposito, in Siria la coalizione a guida franco-americana è stata rovinosamente sconfitta). Si robotizzano le coscienze.
Esattamente allo stesso modo per l’Ucraina. La complessità del conflitto non esiste. Si glissa e si distorce. Si lavora a pieno regime per suscitare una reazione esclusivamente emotiva, compulsiva, deterministica, meccanica. e quindi militarista. Come si può dubitare di quale sia la parte giusta? Con il popolo ucraino. Chi ne dubita? Nessuno! E quindi, intervento. Ovviamente l’equazione semplicistica si sbriciola, come nel caso della Siria (chi dubitava che gli attentati terroristici fossero, e siano sempre, esecrabili? Nessuno. E che siano una minaccia per la nostra sicurezza? Nessuno. E, quindi, guerra), non appena si approfondisca un minimo. Quindi non si approfondisce. Lo schema è trito, è ripetitivo, l’analogia è piena, con il condimento dell’islamofobia ieri, della russofobia
oggi. Eppure il funzionamento è garantito. (Noi “occidentali”, poi, siamo ormai di bocca molto buona, perché i flussi pseudo-informativi sono determinati da quelle stesse colossali multinazionali che ci dispensano le protesi narcisistiche senza le quali non esistiamo più, cioè siamo verso i proprietari del capitalismo digitale in una condizione di sostanziale sudditanza).
Nel caso dell’Ucraina l’informazione non tocca mai, non sfiora nemmeno, non nomina, in una parola rimuove l’ingerenza degli Stati Uniti nel delicato passaggio politico-istituzionale del 2013-14; la persecuzione feroce iniziata da allora contro i russi etnici del Donbass dal governo di Kiev non esitando ad avvalersi allo scopo di milizie naziste inquadrate nell’esercito regolare; la tragi-comica figura di Zelensky, che mi chiedo davvero per quanto ancora potrà essere spacciato per statista e sincero democratico senza apparire totalmente ridicoli, e molto altro ancora.
Per toccare questi elementi in modo chiaro non sarebbe affatto necessaria una copertura h24, sarebbe più che sufficiente un’ora di informazione fatta bene. Non per nulla, per carità, proprio per dovere di informazione! Per consentire che le persone si formino un’opinione corretta. Proprio questo si vuole in ogni modo evitare. Così alla copertura h24 molto chiaramente corrisponde non una maggiore valenza informativa, ma al contrario la volontà sistematica di non dire nulla di vero.
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