L’apertura dei telegiornali mainstream di ieri è stata dedicata in gran parte alla buona notizia giunta dall’Egitto sul caso Zaki, lo studente egiziano, dall’agosto 2019 a Bologna per frequentare un master, finito in carcere nel febbraio 2020, appena rientrato nel suo Paese natale per una breve vacanza. Dopo 22 mesi di detenzione è stato finalmente scarcerato. Non si tratta di un’assoluzione, perché dovrà ricomparire in giudizio a febbraio, ma è pur sempre un passo in avanti, anche pensando alle non accoglienti carceri egiziane. Anch’io mi rallegro per quanto accaduto.
Le autorità egiziane durante questi mesi, più volte interrogate dai media italiani, hanno sempre confermato i capi d’accusa emessi ai danni dello studente: pubblicazione di notizie false, incitazione contro l’autorità pubblica, supporto al rovesciamento dello stato egiziano, uso dei social network per minare l’ordine sociale e la sicurezza pubblica, istigazione alla violenza e al terrorismo. Accuse pesanti che paiono esagerate se non infondate. Non è da escludere che Zaki, come anche Regeni mandato allo sbaraglio nello stesso Paese da un’università inglese, abbia perso un po’ il contatto con la realtà politica e culturale egiziana, che non è certo famosa per la difesa della libertà di espressione e di pensiero, e abbia pagato cara questa, per molti versi coraggiosa e meritoria, “superficialità”. Ma far luce sul suo caso non è l’obiettivo di questo breve scritto, che semmai s’interroga sul perché goda di così tanta attenzione mediatica.
Ora, chi scrive non è affetto da “occidentalismo”, e quindi non ha le solide certezze tipiche di tanti occidentali quando si tratta di giudicare i non appartenenti alla nostra civiltà, ma anzi dalla curiosità di vederci più chiaro su ciò che i nostri media ci propongono. Allora mi sono chiesto perché della sorte di uno studente egiziano, in Italia da pochi mesi, veniamo relazionati quasi quotidianamente mentre dei duemila-tremila italiani detenuti all’estero, spesso in condizioni disumane, e la maggior parte ancora in attesa di giudizio, non sappiamo nulla. Vogliamo pensare che anche tra di loro non ci sia almeno uno Zaki italiano, ossia ingiustamente incarcerato?
Zaki ha superato in notorietà tra il telespettatore italiano medio perfino Assange, di cui oramai nei suddetti media non si parla più da tempo. Ieri spontaneamente in tante città sono stati organizzati anche dei flash mob per festeggiarne la scarcerazione, a testimonianza della popolarità raggiunta. Anche Mario Draghi si è detto soddisfatto e non è da escludere che dietro la scarcerazione ci sia anche il meritorio interessamento del governo italiano.
Il caso in questione però non presenta certo le caratteristiche di quei pochi che riescono a “bucare” il piccolo schermo, esclusivamente frutto del generoso pressing dei familiari più stretti della vittima, come nel caso della sorella di Cucchi o di quello dei genitori di Regeni, bensì si avvicina ai tanti di cui si perdono le tracce, pensando non solo ai detenuti ma anche ai volontari e ai missionari italiani rapiti di cui si parla solo al momento della liberazione. Difficile quindi spiegarsi questo diverso trattamento solo rifacendoci a quanto riportato dai media mainstream, ma una breve ricerca in internet dedicata a cosa studiasse in Italia il giovane ci spiega alla fine tutto.
C’è chi filtra e confeziona le notizie nell’odierno Occidente e c’è chi le rilancia automaticamente, lo sappiamo. Zaki, suppongo inconsapevolmente, si è trovato dalla parte giusta, e ha beneficiato di conseguenza del supporto meditato dei primi e di quello meccanico dei secondi.
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