Quando ci si trova costretti, obtorto collo, a parlare di un orribile delitto come quello che si è consumato a Pomigliano d’Arco c’è sempre il rischio di essere retorici. Onde evitarlo – la retorica non serve e nessuno e men che meno a capire la realtà – mi limiterò a dire ciò che penso nel modo più semplice possibile.
Ciò che ha messo i due sedicenni nella condizione psicologica di poter massacrare quell’uomo sono le seguenti ragioni:
- perché era un clochard, un emarginato, un poveraccio qualsiasi;
- perché era un immigrato e per giunta un nero.
Ora, ammesso e non concesso che non fosse loro intenzione ammazzarlo ma solo massacrarlo di botte – del resto non sono nella loro testa e questo lo stabiliranno gli inquirenti – ciò che mi interessa è capire ciò che spinge due spiantati giovinastri appena qualche gradino o poco più al di sopra della condizione di quel sottoproletario emarginato e immigrato, a commettere un simile atto di violenza.
Le mie risposte sono le seguenti:
- quei due sono figli del nulla e di un contesto sociale, culturale e ambientale talmente degradato che quel nulla si moltiplica all’ennesima potenza;
- Nel nulla dal quale provengono e nel quale vivono H24 sono attanagliati dalla noia, una condizione che non riescono a percepire e soprattutto a razionalizzare perché il loro livello di abbrutimento è tale e tanto da impedire qualsiasi forma di elaborazione mentale e psicologica;
- Hanno interiorizzato il fatto che un immigrato e di colore è uno nei confronti del quale si può agire impunemente in modo violento; quello sfogo di bestiale e inaudita violenza diventa addirittura un diversivo nella loro esistenza dominata dal nulla; DELITTO
- Essendo privi di una benché minima forma di coscienza, percepiscono chi sta ancora più in basso di loro nella gerarchia sociale, come qualcuno se non qualcosa di cui si può abusare e maltrattare a piacimento. E’ la stessa identica pulsione che spingeva i bianchi poveri dell’Alabama o del Mississippi a linciare e impiccare i neri per le strade. Non essendo in grado e non potendo neanche concepire di rivolgere lo sguardo nei confronti di chi sta più in alto di loro a causa della loro condizione di abbrutimento sociale, psicologico e umano, rivolgono la loro frustrazione e la loro violenza repressa nei confronti di chi gli sta sotto, sostanzialmente di chi è più fragile di loro.
Sarebbe quindi sbagliato derubricare questa tragico evento ad un mero episodio di cronaca nera, perché in realtà quell’insano comportamento affonda le sue radici in quella condizione che ho cercato sinteticamente di spiegare. Questo non significa assolutamente sollevare dalle loro responsabilità personali i due giovanissimi bravacci assassini che spero abbiano una condanna esemplare, né tanto meno generalizzare. Del resto, la grande maggioranza dei giovani che vivono nelle periferie più disastrate di questo paese, non vanno certo in giro a massacrare “barboni”. Ma non c’è dubbio che quei comportamenti, che definire violenti è un eufemismo, non sono riconducibili soltanto ad una condizione soggettiva ma sono il tragico epifenomeno di un contesto molto più ampio.
Fonte foto: Napoli La Repubblica (da Google)