La drammatica vicenda di Willy, il ragazzo massacrato a Colleferro, mi ha sollecitato alcune ulteriori riflessioni rispetto alla prima che ho già proposto. Non potendo condensarle in un solo articolo, per ragioni di spazio, pubblico di seguito la prima.
Non potevano mancare le immancabili e scontate interpretazioni in chiave politicamente corretta e femminista che attribuiscono la responsabilità morale del brutale assassinio di Willy alla cultura patriarcale e maschilista e alla cosiddetta “maschilità tossica”. Niente di più scontato.
Sia chiaro, che quest’ultima esista non c’è ombra di dubbio – e non ho ragione di negarlo (e perché poi?…) – a patto però di riconoscere che esiste, specularmente, una femminilità altrettanto tossica che alimenta la prima. Diciamo allora, che le due si alimentano a vicenda.
Chi e cosa è, infatti, che incoraggia i maschi ad assumere determinati atteggiamenti? Qual è il modello maschile largamente preferito e ambito dalla gran parte del mondo femminile? Il maschio vincente, rampante, dominante, bello, di successo, potente, socialmente affermato, oppure l’uomo anche molto intelligente e/o sensibile ma timido, riservato, non brillante, magari non troppo prestante dal punto di vista fisico, socialmente non affermato e quindi complessivamente inadeguato, diciamo pure invisibile, rispetto ai canoni attualmente dominanti? La risposta, se non siamo degli ipocriti, è scontata.
Sia chiaro, vale più o meno lo stesso a parti invertite, anche se cambiano parzialmente i requisiti necessari per essere appetibili. Per le donne l’aspetto estetico resta quello imprescindibile. Da tempo lo è anche per gli uomini anche se per questi ultimi l’affermazione sociale, il ruolo pubblico, la ricchezza, la solidità economica, la visibilità e il potere (in qualsiasi ambito…) rappresentano ancora dei requisiti fondamentali, il capitale fisso, se mi passate la battuta. Ora, succede che nel mondo in cui ci troviamo, quello della mercificazione totale, dove “ogni realtà, morale e fisica, divenuta valore venale, viene portata al mercato per essere apprezzata al suo giusto valore”, come diceva un ben noto filosofo, tutto deve diventare capitale e merce spendibile. L’imperativo è affermarsi, in qualsiasi modo e con tutti i mezzi che si hanno a disposizione. Anche (eccome!) l’avvenenza fisica diventa oggi un capitale spendibile sul mercato, soprattutto per chi (sia donne che uomini…) non dispone di altri mezzi e capitali. Anche la forza bruta diventa un modo per affermarsi socialmente. E’ il caso, appunto, dei bruti vuoti e narcisisti di Colleferro che hanno massacrato Willy, accompagnati da donne vuote e narcisiste del tutto simili a loro e che desiderano avere accanto “uomini” come loro. Diciamo, appunto, che entrambi, si desiderano vicendevolmente. Tutto ciò, con la cultura vetero patriarcale ha ben poco a che vedere perché ciò che conta veramente è la capacità di disporre di “capitale”, qualsiasi esso sia, e dell’effetto moltiplicatore che questo produce nelle relazioni sociali e nel contesto sociale. Il postulato femminista e politicamente corretto, per avere un fondamento, dovrebbe vedere la grande maggioranza delle donne rifiutare quel determinato modello maschile che invece alimentano (a meno di non considerare le donne come una massa di minus habens completamente eterodirette, incapaci di scegliere gli uomini con cui relazionarsi…). Perché state pur certi che se, per una sorta di magia, quel modello passasse di moda in favore di altri, in parole ancora più povere, se non fossero più desiderabili e desiderati, anche e soprattutto quei soggetti, che vivono esclusivamente per l’approvazione pubblica, per piacere agli altri e soprattutto alle altrE, sarebbero i primi a cambiare strada e a cercare di rincorrere più o meno affannosamente i nuovi modelli cui conformarsi.
Nel caso specifico, il modello maschile “brutale” non è certo una novità, così come non è una novità che moltissime donne siano attratte da quel tipo di “maschilità” (lo scrivo fra virgolette perché per me è una degenerazione, ovviamente, dei concetti di maschilità e di virilità). Pensate forse che i mafiosi, i camorristi e in generale i criminali non abbiano il loro pubblico femminile? Lo hanno eccome, anche se naturalmente in un determinato ambito sociale. Ma questo vale per tutti gli ambiti. E’ ovvio che una manager o una professionista o semplicemente una donna ricca sarà attratta da un uomo del suo ambiente e del suo stesso ceto sociale. Potrà sollazzarsi con chi vuole, per diletto, diciamo così, ma alla fin fine, nella stragrande maggioranza dei casi, finirà per relazionarsi (per lo meno se parliamo di relazioni stabili) con uomini a lei socialmente pari se non superiori (è molto raro vedere donne ricche che si sposano con uomini poveri mentre è molto meno raro il contrario; le ragioni di ciò sono molte e non posso approfondirle ora…). E’ altrettanto ovvio – anche se a noi può sembrare assurdo e malato (e in effetti lo è…) – che, cambiando completamente ambiente e contesto, in una borgata di Napoli o Roma (sono solo degli esempi fra i tanti che potevo fare…), un capo camorrista può rappresentare comunque un punto di riferimento per molte donne, sicuramente (molto) di più di un disoccupato che si arrangia per sbarcare il lunario. Sia chiaro che non si tratta soltanto di una questione meramente economica, ma di status, e di tutto ciò che ruota attorno a questo concetto di cui l’aspetto economico è oggi naturalmente prevalente, nel momento in cui, come abbiamo detto, tutto è stato e viene economicamente quantificato (un uomo di potere che non dispone di denaro non è tale e viceversa).
Come però abbiamo detto, non tutti possono aspirare ad entrare nel club dei veri vincenti, onde per cui la maggior parte delle persone deve arrabattarsi con quello che ha e deve accontentarsi di quello che è in grado di raggiungere. L’aspetto estetico (sia per le donne che per gli uomini) e la forza fisica (per gli uomini) diventano quindi, nella scala del “valore”, un capitale da far valere sul mercato. E’ per questa ragione che i bruti violenti “palestrati e con addominali scolpiti” di Colleferro dispongono di una “platea” femminile anche vasta, a differenza di tanti uomini “normali” le cui doti personali, sensibilità, cultura o intelligenza fini a se stesse (se non confermate e supportate da una posizione sociale adeguata), non rappresentano l’oggetto del desiderio (e questo vale anche a parti invertite) né tanto meno un capitale spendibile.
E’ quindi evidente come la “teoria del patriarcato come causa prima di ogni male”, anche e soprattutto in questo caso, sia priva di ogni fondamento (oltre che fuori tempo massimo…). Siamo infatti in un contesto storico-sociale dove donne e uomini “fluttuano” indistintamente nel mercato globale che è completamente indifferente alle appartenenze sessuali di ciascuno/a e dove i costumi, i modelli “culturali” e le relazioni umane (e quindi anche e soprattutto quella fra i sessi) devono essere ad esso funzionali. Lo stesso ordine sociale (capitalista) si declina quindi in forme e modelli diversi (ma in parte simili…) in base anche alle specificità sessuali, né potrebbe essere altrimenti. Ma questo “ordine” sociale capitalista non ha più nulla a che vedere con la cultura patriarcale (ormai inesistente, al massimo residuale…) che gli è addirittura di impaccio. Vediamo quindi come questo sistema produca, fra le altre cose, due forme di tossicità, declinate al maschile e al femminile. Due degenerazioni del maschile e del femminile. Nel caso di Colleferro, è il giovane Willy che ha messo in campo una maschilità sana e una vera virilità, scegliendo di difendere un suo amico e di fare da paciere, e non quei vigliacchi che lo hanno assassinato. Naturalmente, ormai da decenni, il concetto di maschilità è stato del tutto sovrapposto a quello di maschilismo. Ma questo è un altro discorso che affronterò nel prossimo articolo.