Definizione e femminismo


L’attuale femminismo è post-filosofico, per cui è ideologicamente adeguato al capitale. La fluidità del mercati esige individui liberati da ogni “definizione”, in tal modo non resta che il desiderio a guidare azioni, parole e pensieri che trovano nel mercato lo spazio-tempo nel quale la libertà  è “pienamente realizzata”. Ogni limite definitorio è indicato come forma di autorità che comprime il magmatico fluire dei desideri. La ragion cinica dell’occidente ad impronta economicistica usa il femminismo mediante il mainstream come mezzo per affermare l’autorità del mercato. Il femminismo artificiale è stato costruito ad hoc dal sistema ed  è divenuto l’alleato del capitalismo totale. La definizione è volutamente sfuggente, perchè è la condizione, affinchè ci si adatti al sistema come l’acqua al contenitore. La definizione è la verità che prende forma mediante la parola, essa presuppone l’incontro e il riconoscimento dell’altro attraverso cui riconoscersi. Definire cosa sia l’essere donna non può che comportare anche per semplice comparazione contrastiva la definizione di uomo. La definizione lega le parti, non le separa nella solitudine delle individualità amorfe. Senza la definizione non è possibile valutare se una civiltà rispetta e favorisce la natura dei singoli e dei generi, giacchè ogni definizione deve contemplare la concretizzazionione materiale nell’individualità specifica. La definizione è verità universale, ma essa si presenta e dev’essere riconosciuta nella materialità della storia e del ruolo sociale che ogni individuo ricopre; si è sempre situati in una condizione materiale. L’individuo non è mai astratto, ma è sempre concreto, è sinolo di forma (definizione) e materia (ruolo sociale, nazionalità, lingua, indole ecc). L’emancipazione liberata da ogni definizione non può che comportare anche l’indefinibilità dell’essere umano, definizione prima che si incarna nei generi. Il nichilismo della ragion cinica con l’emancipazione dalla natura umana apre a una serie di conseguenze a cascata, poiché, se non abbiamo gli elementi per definire l’essere umano e i generi, essi sono spogliati della loro concretezza che consente all’interno di una relazione il riconoscimento-auto-riconoscimento che  spontaneamente portano al consolidarsi di amori, amicizie e relazioni politiche. Senza la definizione si è solo nuda vita esposta al potere; l’individuo rinuncia a conoscersi per inseguire il variopinto mondo delle sollecitazioni-emozioni. Con l’eliminazione della definizione non vi è più relazione dialettica, ma resta solo l’inquietudine della fluidità: ciò che si dona all’orizzonte percettivo e relazionale è solo un niente già in trasformazione sempre sull’orlo dell’abisso di scomparire nel gioco delle forme.

L’atomistica delle solitudini vaganti ha la sua ragione sovrastrutturale nella crisi e nel timor panico della definizione nel libertario occidente. La definizione dell’altro non implica l’incasellamento in ruoli e rigidità sociali, ma permette di orientarsi nella progettualità relazionale. Il vecchio Socrate ci ha insegnato il “che cos’è” senza il quale il discorso e la parola cadono nell’insensato, il “che cos’è” libera dalla violenza del potere e del dominio, in quanto  la definizione rispettosa dell’altro contempla il dialogo e la ricerca della sua individualità concreta (universale e particolare); l’altro non è più materia informe, su cui il potere tecnocratico può agire per dargli la forma momentanea di cui il potere necessita. L’intenzionalità alla relazione è reale e razionale solo se l’altro ha una forma.

La definizione è come il cerchio dell’uomo vitruviano, è la difesa dal dominio che vorrebbe penetrare nell’interiorità più profonda per neutralizzarla. L’essere umano senza definizione è senza pelle, è esposto indifeso alle tempeste del dominio.  Per uscire dalla gabbia d’acciaio della fluidità informe dobbiamo avere il coraggio e la forza etica di definire l’umanità nella sua concretizzazione di genere per valutare compiutamente il presente.

Il coraggio di definirsi non implica come vorrebbero i cantori della globalizzazione fluida l’esclusione dell’altro, ma è il “riconoscimento-autoriconoscimento” senza il qiale non vi è comunicazione. Quest’ultima, come l’etimologia suggerisce, è “porre in comune”, ma affinchè tale processo di umanizzazione sia possibile bisogna uscire dal terrore panico della definizione” inoculato dai trombettieri dell’umanità proteiforme. Ogni relazione è per sua natura “porsi in comune”, ma  senza “identità definite”  non vi è incontro e non vi è scambio, vi è solo la giustapposizione di “esseri pronti ad evaporare in metamorfosi senza progettualità e senso”. La morte della definizione dei generi porta con sé la fine della “definizione politica” e il “trasformismo”. Si colpisce l’identità definizione maschile-femminile per annichilire ogni definizione; si finisce col vivere, di conseguenza,  in una realtà anonima e senza orozzonte sociale e politico.  Nulla è separato, ma ogni parte dev’essere ricondotta all’intero per comprenderne le finalità di classe sottese. Le oligarchie inneggiano alla liberazione dalle identità, in modo da congelare la storia in un “tempo senza tempo”, giacchè solo le identità progettano e pongono fini universali. L’anomia fluida, invece, riceve le forme del sistema, si adatta fino a fare dell’adattamento la sua virtù.

Definirsi è un modo per essere più vicini, perché è riconoscersi senza mai dare per scontato l’altro. La definizione filosofica non ingabbia ma libera, la guerra contro la filosofia è battaglia ideologica contro la verità. Sta a noi riprendere il sentiero interrotto delle definizioni condivise e partecipate nella parola che attraversa lo spazio e urta contro le resistenze per riportarci alla verità.

Fonte foto: Depositphotos (da Google)

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