I “creativi”: corsari imbonitori aggressivi

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Parte terza. Ripropongo un mio vecchio scritto sul ruolo ideologico dei “creativi” nella pubblicità.

Sono gli anni ’80. E’ già iniziato l’attacco decisivo della Grande finanza per ammorbidire partiti e sindacati ed infrollire la società civile. La pubblicità, come del resto lo sport, il cinema, la televisione costituiscono parte essenziale per educare le persone alla “normalità” di una società divisa in classi e governata dalla “merce”.
Nella quarta parte del “saggio”una riflessione sui caratteri attuali della pubblicità e sulla capacità di risposta durante la crisi del consumo di massa.

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“VERSO IL MONDO NUOVO”
Dobbiamo accusare i “creativi” più del dovuto per aver subdolamente sedotto i poveri indifesi consumatori? E’ la pubblicità responsabile dell’antropomorfizzazione dei degli oggetti e della reificazione del soggetto? Pare evidente che i creativi non facciano altro che il compito loro assegnato: vendere “sogni magari scipiti, stereotipati sì ma ricoperti di un’aura di benevolenza fantasiosa che gioiosamente accolga i fruitori.
Dobbiamo andare all’interno del crogiuolo sociale se vogliamo disporre di una risposta non fuorviante ai nostri quesiti.
L’evoluzione del militante politico, dell’animatore culurale, dell’intellettuale impegnato nella battaglia civile, del magistrato, del medico, dell’insegnante coinvolti nelle riforme istituzionali, dell’operaio nell’edificazione di strumenti di governo operaio in “homo ludens”, in “homo desiderans” non è certo ascrivibile solamente al messaggio pubblicitario. Un valore innanzitutto è stato capovolto in questi ultimi anni, quello relativo all'”homo faber” a favore dell’uomo come consumatore.
E’ uno stravolgimento di estrema importanza che è conseguente alla ristrutturazione dei rapporti di potere tra classe borghese e opposizione popolare. Quando dei gruppi sociali si muovono politicamente perché vogliono contare di più, non rispetto ad altri gruppi,ma assieme ad altri gruppi, si viene a formare una valorizzazione del lavoro come depositario di capacità intellettuali ed affettive, come espressione di energia e di volontà di agire nel contesto sociale. Il potere politico popolare assurge a meta ineludibile come strumento per esistere realmente come individui e contare come esseri umani anche mediante il lavoro di cui finalmente si possano prendere delle responsabilità di direzione, di organizzazione, di intervento.
Movimenti di opposizione politica ma anche culturali sono venuti a mancare in idealità, in energia, in capacità di agire in profondità nel sociale. Un vuoto venuto a determinarsi storicamente e che ora sopratutto per i giovani sembra esistere da sempre. Roland Barthes direbbe che un fatto storico è diventato un mito.
Con la svalorizzazione dell’homo faber siamo entrati nella nuova epoca edonistica nella quale ci siamo ritrovati d’improvviso soli.

Il consumo – come si è visto- diventa un momento di capillare importanza per realizzare la nostra immagine sociale, per comunicare con le merci e con gli altri, per scaricare le nostre pulsioni, per partecipare ad un determinato gruppo socio-culturale. Ma i rapporti fondati sulla spettacolarità, sulla teatralità delle immagini non sono certo stabili ma effimeri. Effimeri perché non più fondati sull’analisi interiore, sulla partecipazione comune ad ideali, a progetti sulla reciproca valorizzazione della personalità.
Ho già rilevato come l’acquisto sia un esperimento per costruire la propria immagine sociale. Esperimento che viene spesso rinnovato. Ci si orienta verso una merce che sembra meglio realizzare lo stile di vita che vogliamo assumere. Ancora per tentativi ed errori ma non siamo mai esaurientemente soddisfatti. Perché in fondo un oggetto è un oggetto e per quanti sforzi possiamo fare, noi assieme ai creativi, non potrà mai esaudire pienamente le aspettative e le speranze che vi avremmo riposto.
Aumenterà la nostra incapacità di costruirci un’immagine che sia accettabile. Vivendo come nomadi che si autorespingono ci risulterà sempre più incomprensibile la natura dei fenomeni sociali ed economici.
Ci accontenteremo di ritagliare dei frammenti di senso con l’ausilio dei nostri oggetti. E avremo forse più bisogno di regredire e di intrattenerci davanti ai quiz, ai talk show, ai varietà, alle sit-commedies, agli spettacoli sportivi, nell’illusione di esserci dentro anche noi e di non sentirci soli.

Non il mondo di Orwell è alle nostre porte ma “il mondo nuovo” di Aldous Huxley, un mondo seduttivo e alienante. E per dirla con le parole di Neil Postman “…non sarà il Grande Fratello a toglierci l’autonomia, la cultura, la storia. La gente sarà felice di essere oppressa e adorerà la tecnologia che libera dalla fatica di pensare”
La quarta parte a breve

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