Il cimitero dei (piccolissimi) elefanti

Non posso esimermi dal commentare questo post https://www.facebook.com/photo/?fbid=2915775845398681&set=a.1496618270647786 di Giorgio Cremaschi, già dirigente sindacale per una vita, segretario a suo tempo della FIOM ed esponente di punta di Potere al Popolo e di UP  pubblicato su Facebook, di cui riporto testualmente un paio di stralci, quelli che ritengo più significativi:

“Noi maschi in lotta contro le oppressioni di razza e di classe, però inevitabilmente partecipi dell’oppressione di sesso del patriarcato…”

“nelle manifestazioni di ieri era espresso con chiarezza il nesso tra la lotta al patriarcato, quella contro la guerra e la devastazione ambientale, quella contro il capitalismo”.

Il post fa riferimento alla manifestazione delle femministe “antagoniste” di “Non una di meno” in cui la Boldrini, esponente del femminismo liberale istituzionale, è stata contestata e invitata ad andarsene.

Ora, che un personaggio come la Boldrini venga contestata è cosa senz’altro buona e giusta. Ma la questione che voglio ora affrontare è un’altra.

Cremaschi ripropone e rivendica il postulato ideologico femminista, trasversale a tutti i femminismi (con qualche rarissima eccezione negli ultimissimi tempi) in base al quale l’attuale società capitalista sarebbe del tutto sovrapposta al patriarcato. In ragione di ciò tutti i maschi – dice chiaramente Cremaschi – si troverebbero in una condizione di privilegio e di dominio, anche indipendentemente dalla loro volontà.

Una tesi grottesca per quanto obsoleta e priva ormai di ogni fondamento. Ho spiegato più volte in decine di articoli e anche in un libro per quale ragione non ha senso continuare a sostenere una simile tesi. Il sistema capitalista, per lo meno nella sua versione occidentale (che va ben oltre i confini geografici dell’Occidente…), non sa più che farsene di una sovrastruttura ideologica rigida come quella patriarcale che era funzionale in una fase ormai ampiamente superata del suo stesso sviluppo. Ma alla trasformazione della struttura (economica, sociale, del lavoro, tecnologica, industriale) non può non corrispondere necessariamente anche il cambiamento del paradigma ideologico dominante. Cremaschi, come tutti gli altri esponenti della “sinistra radicale” non ha colto questo processo ed è rimasto fermo a prima del ’68 quando quella trasformazione, sia della struttura (economica e produttiva) che della sovrastruttura (culturale e ideologica), non si era ancora pienamente dispiegata in tutta la sua potenza e capacità pervasiva.

Cremaschi è ancora convinto che il sistema capitalista sia declinato secondo il vecchio paradigma ideologico sintetizzabile nel famoso “Dio, Patria e Famiglia”, ma non capisce o forse non vuole capire che in quello schema ideologico non ci crede quasi più nessuno, neanche tra le file della destra conservatrice, al di là dei proclami e del metaforico sventolio delle bandiere sulla famiglia tradizionale. E quindi continua a scagliarsi contro lo spettro del patriarcato e delle sue propaggini. Neanche il celebre personaggio di Cervantes, Don Chisciotte, che pure nella sua nobile follia se la prendeva con i mulini a vento, sarebbe arrivato a tanto.

Del resto, soltanto una persona fuori della realtà e irrigidita nelle sue convinzioni ideologiche non riesce a capire che l’ideologia/falsa coscienza del sistema capitalista post-moderno non viaggia più attraverso le orazioni del parroco durante la messa domenicale, i rimbrotti dei padri ormai spappolati da una ideologia che insieme al patriarcato ha distrutto anche il paterno o le ramanzine di un corpo docente peraltro da tempo femminilizzato e femministizzato, ma attraverso ben altri canali, quelli della mercificazione assoluta di ogni ente e spazio sociale e umano, dell’atomizzazione e della distruzione di ogni legame sociale, dell’arrivismo e del fanatismo carrierista, dell’individualismo sfrenato, della manipolazione mediatica senza soluzione di continuità e, naturalmente, dell’ideologia neoliberale e politicamente corretta, che serve a colorare e coprire ideologicamente tutto ciò.  E non riesce neanche a capire che le guerre imperialiste, contro le quali lui stesso dice di combattere, non si fanno più all’insegna della difesa della patria ma dell’esportazione dei diritti civili e della democrazia.

E’ singolare, in teoria, che un uomo come Cremaschi, che è stato per una vita intera un sindacalista, non sia ad esempio a conoscenza del fatto che a morire sul lavoro siano da sempre pressoché quasi soltanto uomini. Una tragedia di classe occultata nel suo, pur clamoroso, risvolto di genere. E non è neanche a conoscenza del fatto che gli istituti tecnici e professionali, cioè le scuole di serie B per definizione – che si dica senza ipocrisie – sono da sempre popolate da masse di giovani proletari maschi con un destino avvilente, pesante e subalterno già scritto in partenza. Ma gli esempi sulla reale condizione di larghe masse maschili potrebbero moltiplicarsi.

Strabismo, superficialità, ignoranza o malafede? Questo lo sa solo lui. Di sicuro in questo post c’è anche una buona dose di opportunismo politico. Cremaschi cerca di inserirsi in questo conflitto (alla buon’ora…) tra il femminismo “antagonista” e “intersezionale” – un maldestro tentativo di coniugare ciò che non è coniugabile, cioè la lotta di classe con quella di genere – e quello liberale e istituzionale per cercare di aggregare consensi alla sua parte politica che, peraltro, non riesce ormai da tempo immemorabile a superare la soglia dell’1 virgola. Ora, personalmente non ho mai creduto al proverbio “vox populi, vox dei”, sia chiaro, però se dopo più che annosi e ripetuti tentativi il risultato è sempre lo stesso, qualche domanda uno se la dovrebbe porre. Soprattutto se in errore non siano quelle masse popolari, maschili e femminili, che non votano per la sua parte politica, ma la protervia e a questo punto anche l’ottusità di chi continua a reiterare schemi ideologici che non hanno più alcuna attinenza con la realtà concreta.

Guai, naturalmente, dalle sue parti, a sollevare anche il più piccolo dubbio o la più piccola critica. Si viene immediatamente marchiati a fuoco con i peggiori epiteti (maschilisti, misogini, reazionari, fascisti ecc.) , e fine dei giochi, cioè fine della possibile apertura del benché minimo spazio di riflessione. Contento lui e contente/i loro.

Giorgio Cremaschi | Pagella Politica

Fonte foto: Pagella Politica (da Google)

 

 

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