Recitava
l’articolo 17 della Costituzione della Repubblica Italiana che “I
cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le
riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto
preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato
preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per
comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.
“Soltanto
per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”,
sottolineo con una metaforica matita rossa.
Ho
usato in apertura l’imperfetto per evidenziare che, al pari
dell’articolo 11 (quello che ripudia la guerra), anche l’articolo
17 è stato tacitamente abrogato dai governanti della colonia USA
nota come Italia. Lo stesso in verità può dirsi dell’intera Parte
Prima della nostra Legge Fondamentale, svuotata di significato e
cogenza negli ultimi tre decenni con il verboso avallo di teorici
“garanti”.
La
manifestazione romana di sostegno alla Palestina massacrata è stata
vietata sulla base di motivazioni pretestuose e in parte addirittura
menzognere: falsificando persino il calendario, giornalisti
compiacenti hanno cercato di far credere all’opinione pubblica che
sabato 5 cadesse l’anniversario del 7 ottobre 2023 e che dunque
l’appello alle piazze fosse una provocazione “antisemita”. In
effetti l’accusa (sfacciatamente strumentale) di antisemitismo è
un jolly che viene giocato contro chiunque si azzardi a denunciare i
crimini di Israele che, essendo sotto gli occhi di tutti e venendo
boriosamente rivendicati dall’autore, vanno presentati come “buone
azioni” dalla servitù istituzionale e mediatica. Per i moralisti a
gettone che occupano le aule parlamentari e imbrattano i quotidiani
il reo non è lo sterminatore, ma il testimone: guai a contestare il
messaggio psyops
“Israele ha il diritto di difendersi”, gemello siamese del
demenziale “C’è un aggressore e un aggredito” riferito alla
guerra ucraina provocata dalla NATO.
Sui
giornali di regime leggiamo titoli come “Comunità ebraiche in
allarme: a un passo dalla caccia all’ebreo” (Il Piccolo del 30
settembre), anche se – per fortuna – a nessun ebreo italiano è
stato torto un capello, mentre a Gaza, in Cisgiordania e Libano la
mattanza di semiti non ebrei si prolunga senza sosta: poco importa,
sono “danni collaterali”, uomini, donne e bambini che muoiono
sotto le bombe o falciati dalle mitragliatrici ma in assenza di
colpevoli. La pietà è riservata solo alle vittime israeliane: le
altre, infinitamente più numerose, sono nude cifre che non fanno
notizia né destano indignazione.
Capita
che qualcuno provi rabbia per questo indegno stato di cose e riporti
su uno striscione la frase scioccante di una senatrice osannata,
aggiungendovi un epiteto senz’altro fuori luogo: apriti cielo, hoc
est crimen maiestatis!
Stampa e rappresentanti del popolo (statunitense, visto che tutto
viene deciso a Washington e dintorni) si stracciano le vesti e
invocano la giusta punizione dei bestemmiatori, indifferenti al fatto
che una lista di proscrizione – quella dei “putiniani”, la cui
inemendabile colpa consiste nel dire le cose come stanno a proposito
dell’Ucraina “invasa” – pubblicata da testate con decine di
migliaia di lettori suscita un’eco ben più vasta di un rimprovero
scritto su un cartello o di un proclama trasmesso via mail.
Ecco:
contro queste brutture, contro questo clima di immoralità elevata a
indiscutibile morale si voleva protestare democraticamente a Roma
sabato 5 ottobre, ma il potere atlantista si è messo di mezzo:
facendo uso di una di quelle “formulette pigre” (si è parlato di
rischio di esaltazione del conflitto!) note agli studenti di
giurisprudenza, la questura di Roma ha vietato la riunione. Il
pretesto è stato fornito da improvvide, ma assai benvenute
dichiarazioni rese da qualche gruppuscolo, e il TAR si è prontamente
adeguato all’aria che tira, “benedicendo” il provvedimento
poliziesco malgrado l’ammorbante fumus
mali iuris. A poco è
valsa l’ineccepibile presa di posizione di Amnesty International
Italia
(https://www.amnesty.it/dichiarazione-sul-divieto-di-manifestare-il-5-ottobre-a-roma-per-la-palestina/),
che ha ricordato che “Questi
principi (quelli
dell’articolo 17) non
sembrano essere stati rispettati nel prendere questa decisione di
diniego della piazza. Possibili atti o espressioni di odio
antisemita, che vanno condannati nella maniera più netta, non
possono essere attribuiti anticipatamente e automaticamente alla
maggioranza se non addirittura alla totalità della protesta. Lo
stesso vale per eventuali messaggi individuali di incitamento alla
violenza.” Niente
da fare: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire…
Ci
si può chiedere cosa si intendesse ottenere vietando una
manifestazione che – era facile prevederlo, anzi era scontato –
si sarebbe tenuta comunque. La risposta è semplice: esacerbare gli
animi prendendo di fatto posizione per una delle due parti in
conflitto, quella legibus
soluta foraggiata dai
nostri dominatori (casualmente le dimostrazioni pro Israele non
vengono mai proibite…).
Il
risultato è che il corteo si è svolto lo stesso, sia pure a ranghi
ridotti (perché, stando ai media, molti pullman provenienti dal nord
Italia sono stati bloccati dalla polizia prima di raggiungere Roma e
rispediti indietro), e che la profezia si è (auto)avverata, dal
momento che verso il finale alcuni facinorosi – i soliti uomini in
nero che si intrufolano nelle manifestazioni fuoriuscendo dal nulla o
da qualche portone socchiuso – avrebbero attaccato briga con le
forze dell’ordine: solo di questo si parla oggi sui giornali
“liberi e indipendenti”, che d’altra parte assolvono il loro
compito di veline del sistema neoliberatlantista. La notizia sono i
tafferugli, peraltro preannunciati, non la mobilitazione in favore di
un popolo umiliato, offeso e metodicamente decimato in dispregio di
qualsiasi regola umanitaria e di diritto internazionale.
Come avrebbe reagito a questo schifo il nostro Presidente Sandro Pertini? Posso soltanto immaginarlo, ma viene da pensare che quella che veniva definita “la Bulgaria della NATO” fosse un Paese incomparabilmente più libero, democratico e dignitoso dell’Italia di oggi, retta (col benestare altrui) da una parodia di “sovranisti” che, temendo di perdere la greppia, si industriano di compiacere in ogni modo gli azionisti di maggioranza.