Quinta edizione di “Love sharing”(17-26 ottobre) a Cagliari. Primo Festival internazionale per la pace e la nonviolenza. il tema trattato:famiglie e comunità.
Quale contributo può dare la ricerca nonviolenta alla soluzione dei conflitti generati dalle mutevoli forme che possono assumere le famiglie e le comunità? – si chiedono gli organizzatori.
Ci sarà mai un mondo senza guerre e senza violenza?
Il 22 ottobre il concerto “Voci di donna” nasce dalla volontà dell'”Ensemble trame sonore” di aderire alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Il 23, sempre in una prospettiva di appello alla pace e alla non violenza, lo spettacolo di danza della compagnia israeliana “Tami dance company”. il 26, per favorire un raccoglimento spirituale sempre sulla pace e sulla nonviolenza, si procederà con una camminata meditativa (non sulla propria falsa coscienza, per carità…) dall’Orto dei Cappuccini fino al Parco di Tuvixeddu, ove è silente protagonista la necropoli punica più grande – si dice – del Mediterraneo.
Non posso fare a meno di menzionare coloro che, in questa kermesse, ci hanno riposto denaro, impegno, intelligenza, solidarietà: il Comune di Cagliari, la Regione Sardegna, il Mibac, l’Ufficio culturale dell’ambasciata di Israele, mentre voglio stendere un velo pietoso sulle associazioni ed enti che hanno collaborato all’impresa che è stata gestita dal “Theandric Teatro Nonviolento”, cui auguriamo – sinceramente – di progettare in futuro iniziative veramente di pace.
Informando, per esempio, gli spettatori che Israele è stato più volte condannato dall’ONU e dalla Corte internazionale per crimini di guerra in Palestina, che vi sono 7.000 prigioneri politici (300 minori), che esiste la detenzione amministrativa che permette l’arresto senza capo d’accusa e senza processo, che è praticata nelle carceri la tortura (documentata da numerose testimonianze), che la polizia interviene arbitrariamente nelle abitazioni, che le case possono essere abbattute con varie motivazioni e comunque sempre finalizzate agli interessi strategici di Israele (appropriazione di terra, espulsione, monito per chi si oppone, per chi non accetta il dominio coloniale) ed infine che centinaia e centinaia di migliaia di persone sono state cacciate con violenza armata dalla terra dove abitavano.
Con quale coraggio si può parlare del Festival come un evento che spinga gli individui “a creare legami duraturi e a vivere insieme, riconoscendosi come un’entità unica” quando questo festival è organizzato in comunione con uno dei maggiori protagonisti della violenza nel mondo?
Chi, oggi, voglia realmente un mondo di pace deve, innanzitutto, schierarsi dalla parte dell’offeso, nelle modalità di lotta in cui crede, e contrastare con determinazione non solo l’operato bellico, ma anche quello politico e culturale. Altrimenti è solo un abito egocentrico in cui bearsi che nulla ha a che fare con la pace e con la nonviolenza.