Foto: Il Sole 24 Ore (da Google)
Toni Chike Iwobi è il primo nero, afroitaliano, eletto al Senato della Repubblica, con la Lega.
Un paradosso? Solo in (minima) parte.
Iwobi è “uno di quelli che su mille ce la fa”, come recitava una vecchia e famosa (e brutta) canzone di Gianni Morandi, che servono ad alimentare la speranza (di farcela) ai rimanenti novecentonovantanove (che non ce la faranno).
Del resto, è necessario che uno ce la faccia per alimentare in tutti gli altri l’illusione che anche per loro un giorno il piatto potrebbe farsi ricco. Come? Sgobbando, faticando, sgomitando e, manco a dirlo, schierandosi dalla parte giusta, che è quella del padrone. Esattamente quello che ha fatto Iwobi.
Qualcuno lo ha dipinto come un servo sciocco, una sorta di “zio Tom” del XXI secolo, ma non è così. Al contrario, Iwobi è un servo lucido e consapevole, perché lui sa perfettamente che è stato candidato ed eletto con il solo scopo di dimostrare che la Lega non è un partito xenofobo e razzista. Questa è la sua funzione.
Il (giustamente) celebre leader afroamericano Malcom X, come noto, usava distinguere i “negri da campo”, cioè quelli sfruttati e trattati peggio che animali nelle piantagioni di cotone degli stati del sud degli USA, dai “negri da cortile”, quelli adibiti alle cure domestiche, che godevano di uno status migliore (diciamo meno disumano) perché vivevano accanto a lui e, metaforicamente (ma neanche tanto…) raccoglievano le briciole che restavano sulla tavola da pranzo del padrone. Erano ben vestiti, relativamente ben nutriti, non svolgevano lavori di fatica e conoscevano solo di rado la frusta. Essi si identificavano totalmente con il padrone “più di quanto questi – spiegava Malcom X – si identificasse con sé stesso”.
Iwobi fa parte di questa schiera di “negri da cortile”? Solo in parte. Lo è nei fatti e nel ruolo che è stato chiamato a svolgere, però è sicuramente provvisto di un livello di consapevolezza che i neri degli stati schiavisti americani non potevano ovviamente avere, date le condizioni (subumane) in cui erano tenuti ed erano stati “allevati”.
Egli è, dunque, per un verso un cinico opportunista che sa di recitare una parte, per l’altro uno che aderisce al paradigma (truffa…) ideologico dominante, in base al quale, se sei veramente capace, ce la farai. E lui ce l’ha fatta – su questo non c’è dubbio – così come ce la fecero (a livelli ben più alti…) due personaggi come Colin Powell e Condoleezza Rice, divenuti rispettivamente Capo di stato maggiore dell’esercito USA e Segretario di Stato, entrambi durante la presidenza di George W. Bush. Dopo di che nelle galere americane (le più affollate del mondo, circa il 25% dell’intera popolazione carceraria mondiale, roba da non credere…) il 50% dei detenuti sono afroamericani (che costituiscono il 13% circa della popolazione USA…), evidentemente parte di quei novecentonovantanove che non ce l’hanno fatta…
Sia chiaro, la logica, o meglio la psicologia del “negro da cortile” è assai diffusa. Dalle nostre parti preferiamo utilizzare il termine “ascari” (soldati eritrei inquadrati nell’allora regio esercito fascista italiano per combattere contro i loro compatrioti che si ribellavano alla dominazione coloniale italiana) per definire tutti coloro (una schiera molto più ampia e diffusa di quanto si pensi…) che scelgono di schierarsi dalla parte del padrone.
Resta da capire il tasso di consapevolezza di queste persone. E cioè in quale misura siano effettivamente e ideologicamente convinte e quanto invece siano dei lucidi e cinici opportunisti. In molti casi, penso la maggior parte, i due aspetti convivono. Il meccanismo di costruzione del consenso al modello sociale dominante è subdolo quanto ambiguo e per questo agisce su di una sorta di “zona grigia”, della sfera psicologica di ciascuno di noi. Chi, oggi, si pone in una posizione critica nei confronti dell’ordine sociale dominante, non può assolutamente sottovalutare questo ambito che è invece determinante.