Un illustre personaggio politico di nome Debora Serracchiani ritiene che uno stupro, qualora effettuato da un connazionale (Salvini forse potrebbe dire da un lombardo-veneto) sia cosa meno oltraggiosa rispetto alla violenza esercitata da uno straniero.
Penso che avrebbe potuto aggiungere meno grave ancora se il violentatore fosse un membro del governo o un dirigente di una multinazionale a causa dei loro meriti pregressi, in quanto chi sta su nelle gerarchie sociali e che quindi ha ben operato nella crescita del bene collettivo, perché si sa che dal banchetto delle grandi menti dell’ imprenditoria, della finanza, della guerra e dell’intrallazzo, qualche rimasuglio di ricchezza scende per terra…e se si ha la pazienza, l’umiltà e l’accuratezza di leccare con parsimonia il ben di dio disseminato sul pavimento si riesce a sopravvivere con la giusta riconoscenza per il bene ricevuto…
Ma non è proprio dell’illustre personaggio della politica progressista, ma di un mito della cultura italiana su cui voglio soffermarmi, perché il personaggio in questione, autorità internazionale indiscussa, è un geniale stilista di indubbie e riconosciute capacità.
Giorgio Armani, come è noto, disinteressato ad una moda vistosa, pacchiana, portatore invece di uno stile sobrio 1), ha voluto dirci che la liberazione della donna può innescarsi con un look che evidenzi semplicità, sobrietà, eleganza misurata che si accordi con il successo attuale che si manifesta tra le donne nel coprire ruoli di responsabilità pubblica e privata, un tempo di dominio esclusivo dei maschi.
L’eccessiva ostentazione di seni e di fondoschiena non si addice infatti ai nuovi ruoli sociali che la donna ricopre nella nuova società neoliberista in cui un look decoroso deve adeguarsi alla compostezza e all’equilibrio emotivo di cui la donna deve dare mostra di sè nel regno del consumo sovrano, nel paradiso del feticcio aureo della merce.
Non ho nulla da obiettare sui gusti di re Giorgio, sulle critiche che muove ad altri stilisti più desiderosi di scandalizzare, di fantasticare, di provocare…anche se mi viene da dire che non credo al totalitarismo neanche nella moda…e sarebbe cosa deprimente che si avesse una sola tonalità di estetica anche se, a onor del vero, penso che anche le stravaganze, le bizzarrie, gli sdoganamenti, facciano parte sempre di un’egemonia che scende con imperio dall’alto, da stilisti magari non prestigiosi come l’Armani ma sempre adoratori, qualsiasi cosa possano dire di sè e delle loro modelle, dell’oggettivazione degli esseri umani, della mercificazione della bellezza…
Ma ciò su cui desidero, per l’ennesima volta, porre l’attenzione è che la liberazione della donna, così come di coloro che aspirano ad un genere neutro, non avviene nell’occupare posti un tempo predominio del maschio (non più patriarcale in Occidente ma globalizzatore coloniale), nè da un look rigoroso che nelle sue geometriche sinuosità esalti l’immagine somatica della nuova donna che fuoriesce dal decrepito patriarcato, come risulta nei desiderata di Armani, bensì nel riscatto di tutte le donne nel mondo del lavoro e della produzione, nel ribaltamento di classe, nel rovesciamento delle posizioni di dominio di uomini e di donne impegnati/e nello sfruttamento, nel sopruso, nella violenza della guerra, cui sono coinvolti assieme alle destre tradizionali, “progressisti”, “pacifisti con l’elmetto”, “sinistre” di governo e di falsa opposizione, e quindi nella conquista di un ruolo nuovo libero, alla pari nel rapporto di coppia che mai può avvenire a livello universale se non in una prospettiva di reale giustizia e di finalmente realizzata uguaglianza sociale…
NOTE
1) Vedi in proposito il brillante articolo di Anna Maria Lombroso “Gli scheletri nell’Armani” IL SIMPLICISSIMUS 23/2/20